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Scamarcio e Rohrwacher, le star dei “Pardini”

Louis Garrel, Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher protagonisti di "Diarchia", opera prima di Ferdinando Cito Filomarino. pardo.ch

Un cast d'eccezione – con Riccardo Scamarcio, Louis Garrel e Alba Rohrwacher – per un cortometraggio giocato sul tema del doppio, dove niente è quel che sembra: Ferdinando Cito Filomarino sbarca a Locarno con "Diarchia", in concorso nella sezione Pardi di domani.

«Fino a poco tempo fa, per me il Festival di Locarno era un luogo di magia e di scoperta. Ora il fatto di poter essere qui come regista, di presentare al pubblico il mio primo cortometraggio, mi confonde, mi spiazza, ma soprattutto mi onora», racconta a swissinfo.ch Ferdinando Cito Filomarino.

La sua è una partenza col botto. Dopo aver lavorato come assistente alla regia di “The Other Man” (Richard Eyre) e “Io sono l’amore” (Luca Guadagnino), Ferdinando Cito Filomarino viene selezionato per il Festival di Locarno con il suo primo cortometraggio “Diarchia”. E arriva con un cast da fare invidia ai registi più affermati: gli italiani Riccardo Scamarcio e Alba Rohrwacher, e il francese Louis Garrel.

“Diarchia” è una storia sul doppio, la colpa, le pulsioni nascoste in ognuno di noi. È un duello implicito tra giovani separati da una classe sociale diversa, che si conoscono appena ma si cercano, si scrutano e infine si svelano. «Ho scritto la sceneggiatura pensando proprio a questi tre attori nel ruolo di protagonisti», racconta il regista. E anche se all’inizio lo avranno preso per pazzo, la sua spericolata ambizione è riuscita a sedurre attori e produttori.

«Appena Ferdinando mi ha presentato il suo progetto, ho risposto: “Io ci sono, anche se compaio e scompaio in un attimo, voglio essere con te”», racconta una timidissima Alba Rohrwacher, che nel 2009 ha ricevuto il David di Donatello per “Il Papà di Giovanna” di Pupi Avati.

«”Diarchia” presenta due personaggi che giocano da specchio, mostrando all’altro le proprie paure e i propri mostri», spiega Riccardo Scamarcio, sguardo tenebroso e sorriso sconvolgente. «È una storia che si sviluppa sull’arco di cinque o sei ore e mette in scena la paura cercando poi di esorcizzarla. Paradossalmente, questo piccolo viaggio – che è quasi un incubo – alla fine lascia uno spiraglio di serenità».

Nato e cresciuto a Milano, Ferdinando Cito Filomarino ha vissuto per diversi anni a Boston e Londra. Poi si è laureato in storia del cinema all’Università di Bologna. Dopo aver lavorato come assistente alla regia di “The Other Man” di Richard Eyre e “Io sono l’amore” di Luca Guadagnino, ha realizzato diversi lavori in video. “Diarchia”, in concorso per i Pardi di domani, è il suo primo cortometraggio.

Una perla rara

«Abbiamo scoperto “Diarchia” un po’ per caso, attraverso tutta una rete di conoscenze che abbiamo costruito in questi vent’anni e che a volte ci riserbano delle sorprese», racconta a swissinfo.ch Alessandro Marcionni, responsabile della sezione Pardi di domani. «Diarchia è una di queste sorprese. Ferdinando Cito Filomarino è un regista alla sua prima esperienza che non solo è riuscito a fare un lavoro molto interessante, ma anche a costruire un’operazione intorno alla sua storia che rende il film una piccola perla».

Ma quanto ha pesato la presenza di attori così noti nella selezione di “Diarchia”? «Paradossalmente, all’inizio può essere uno svantaggio perché si ha tendenza ad interrogarsi molto di più sull’influenza di questo o quell’attore che sulla pellicola stessa. Nel caso di “Diarchia”, però, la riflessione è durata pochissimo perché il cortometraggio ha una forza davvero intensa, che va al di là dell’esperienza e delle capacità dei singoli attori».

Girato interamente in francese, “Diarchia” è un cortometraggio di poco più di venti minuti. Per com’è costruito, però, ha tutte le sembianze di un film. «Provocatoriamente potrei dire che ogni cortometraggio è un film», ci dice sorridendo Marcionni. «È vero che alla base questo cortometraggio è costruito in maniera molto classica – nonostante ci sia una dinamica particolare e un po’ ermetica all’interno del film –. Ma trovo che in secondo e in terzo grado emergano un grande amore per il cinema e molti riferimenti ai maestri italiani».

Il cortometraggio, l’anima del Festival

Da diversi anni, il Festival di Locarno riserva particolare attenzione al cortometraggio. Ma qual è la forza di questo tipo di cinematografia? «Il cortometraggio ha due anime veramente distinte», ci spiega Alessandro Marcionni. «Da un lato è una palestra e un territorio di sperimentazione per tutta una generazione di giovani autori, che possono osare prima di fare quello che per il grande pubblico è ancora “il grande salto” verso il lungometraggio. Dall’altro – come prova la sezione Corti d’autore – ci sono registi affermati che scelgono di tornare ai corti, così come uno scrittore alla forma del racconto».

Agli occhi di molti, il cortometraggio – così come il documentario – resta però un film di nicchia, difficile da commercializzare e dunque poco redditizio. «Sostenere una pellicola come “Diarchia” è in fondo un atto di fiducia nei nuovi registi, un omaggio al talento», ha dichiarato il regista e sceneggiatore Luca Guadagnino, coproduttore del film. «Il cinema è per chi ha coraggio, determinazione, umiltà e coscienza di prendere in mano la macchina da presa. È per chi ha un’urgenza di raccontare e il talento per farlo, anche se secondo gli standard biografici del cinema italiano è ancora un bambino».

Oltre alla partecipazione di due tra gli attori più promettenti del cinema italiano, “Diarchia” ha potuto contare anche su produttori come Luca Guadagnino e lo stesso Riccardo Scamarcio. L’attore pugliese ha infatti fondato una casa di produzione assieme alla compagna Valeria Golino, che lo ha accompagnato a Locarno per presentare il suo cortometraggio “Armandino e il MADRE”.

«In Italia c’è una grande necessità di trovare canali diversi per potersi esprimere e il cortometraggio è uno di questi», ha spiegato Riccardo Scamarcio. «Confrontati alle esigenze crescenti di produttori e distributori, si ha sempre la sensazione di essere messi alla prova, di dover accontentare tutti. In queste condizioni è difficile tirar fuori qualcosa di originale. C’è una battuta che illustra molto bene questa tensione. Un macchinista chiede al regista “Allora stai facendo due film in uno?”. “In che senso”, risponde il regista. “Come in che senso? È il primo e l’ultimo”».

Il pardino compie 20 anni

Per i giovani registi, essere selezionati per i Pardi di domani rappresenta spesso un trampolino di lancio. Ne è testimone la svizzera Andrea Staka, che ha mosso i suoi primi passi nel 1999 proprio a Locarno, con il cortometraggio “Hotel Belgrad”, per poi tornare qualche anno dopo con il documentario “Yugodivas” e vincere il Pardo d’oro nel 2006 con “Das Fräulein”.

«I pardi di domani – che quest’anno sono giunti alla 20esima edizione – hanno una funzione molto precisa. Si tratta di identificare quegli autori che possono crescere, che hanno il potenziale per dire qualcosa di personale e innovativo nel mondo del cinema. Questa è la prima domanda che ci poniamo ancora prima di capire se il film funziona, se può essere accettato, apprezzato», sottolinea Alessandro Marcionni.

Quest’anno al Festival di Locarno sono pervenute oltre 2’500 candidature. Ne sono state selezionate 25 per il concorso internazionale, 14 per quello nazionale e sei per i Corti d’autore. Tutti i cortometraggi di provenienza europea concorreranno per una nomination agli European Short Film Awards, mentre i vincitori di entrambi i concorsi avranno accesso alla preselezione per gli Oscar.

La selezione 2010 offre ampio spazio anche alla produzione italiana, con il lungometraggio “Pietro” di Daniele Gaglianone in lizza per il Pardo d’oro.

Con il film “Uomini contro”, Piazza Grande offre un tributo al regista e sceneggiatore Francesco Rosi, uno dei padri del film-inchiesta.

Il Festival rende omaggio anche all’attore e regista fiorentino Corso Salani, deceduto in giugno. Il pubblico potrà rivedere “Gli occhi stanchi” (1995) e due episodi inediti de “I casi della vita”, il documentario-fiction al quale stava lavorando

Fuori concorso è presentato il film del siciliano Franco Maresto, “Io sono Tony Scott. La storia del più grande clarinettista del Jazz”.

Nella sezione Pardi di domani, il Festival propone il cortometraggio “Diarchia” di Ferdinando Cito Filomarino (Concorso internazionale) e “Armandino e il MADRE” di Valeria Golino (Corti d’autore).

Dopo diverse esperienze teatrali, debutta nella serie TV “Compagni di scuola” (2001) al fianco di altri giovani talenti come Laura Chiatti.

Nel 2003 fa il suo esordio sul grande schermo con il film “La meglio gioventù”, di Marco Tullio Giordana, e un anno dopo riceve il Globo d’oro come miglior attore esordiente in “Tre metri sopra il cielo” (Luca Lucini).

Sul set di “Texas” (2005) incontra la futura compagna Valeria Golino e ottiene una nomination ai Nastri d’argento come miglior attore non protagonista.

Viene selezionato da Daniele Lucchetti per “Mio fratello è figlio unico”, presentato in prima internazionale proprio sulla Piazza Grande nel 2007.

Scamarcio ha recitato in “Colpo d’occhio” (Sergio Rubini), “Italians” (Giovanni Veronesi), “Il Grande sogno” (Michele Placido) “La prima linea” (Renato De Maria) e “Mine vaganti” (Fernand Ozpetek).

Locarno

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