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Tony Scott e gli altri della 52esima strada

Tony Scott, il più grande clarinettista del jazz modern pardo.ch

"Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz". Questo è il titolo emblematico del documentario sul musicista italo-americano del regista Franco Maresco presentato al Festival di Locarno.

“Io sono Tony Scott, il più grande clarinettista del mondo”. Sono le ultime parole che il musicista italo-americano pronuncia con un filo di voce, prima di spirare. A raccontarlo è una delle figlie nelle battute finali del documentario, un affresco a tinte forti sulla storia della musica jazz, sull’emigrazione e sugli Stati Uniti d’America.

Il film “Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz”, presentato al Festival di Locarno nella sezione Fuori concorso, racconta la vita del clarinettista siculo-americano Antonio Giuseppe Sciacca, divenuto alla fine degli anni Quaranta Tony Scott, il più grande clarinettista del jazz moderno.

«Ripercorrere la vicenda musicale e personale di Tony – ha scritto il regista palermitano Franco Maresco – significa raccontare sessant’anni di jazz, di incontri umani e artistici incredibili. Ma anche, nello stesso tempo, la storia americana della seconda metà del secolo scorso, con le sue battaglie per i diritti civili e umani, di cui Tony Scott fu uno dei principali e appassionati sostenitori».

Quella del clarinettista italo-americano è una storia molto speciale e poco conosciuta, caratterizzata da un successo in ascesa fintanto che l’artista si trova negli Usa. Il suo genio artistico e il suo naturale talento vengono infatti alla luce a New York, nei mitici locali della 52esima strada, durante le jam-session con Charlie Mingus e Dizzy Gillespie.

Nel ’43, poi, avviene il “fatale” e determinante incontro con Charlie Parker, che cambia la vita al “più bianco dei neri”, l’unico musicista non di colore ad essere ammesso alla corte di Parker, detto “Bird”. «Di Charlie Parker – riconosce il jazzista Don Byron nel documentario – Tony ha ereditato lo spirito».

Billie Holiday, una grande amica

Al film – prodotto da Cinico Cinema, Rai Cinema e dalla Film Commission Sicilia, realizzato sull’arco di tre anni e basato su immagini provenienti dagli archivi cinematografici di tutto il mondo – hanno preso parte oltre cento testimoni, tra parenti, amici, musicisti e critici.

Tutte persone che, in un modo o nell’altro, hanno fatto parte dell’universo incredibilmente ricco, ma anche tormentato, del musicista. Di un musicista irrequieto spinto dalla passione, dalla curiosità e dalla ricerca in giro per il mondo, soprattutto in Oriente (Giappone, Indonesia e Thailandia).

Tony Scott ha suonato con i più grandi jazzisti della epoca d’oro. Impossibile non citare qualche nome: Erroll Garner, Buck Clayton, Billy Taylor, Trummy Young, Art Tatum, Ben Webster, Lester Young, Charlie Parker, Dizzy Gillespie, Bill Evans, Thelonious Monk, Bud Powell, e, fra le cantanti, Peggy Lee, Sarah Vaughan, Carmen McRae e soprattutto Billie Holiday, che fu sua grande amica.

Quanti sanno, per esempio, che “Banana Boat”, una delle più celebri canzoni del pianeta attribuita ad Harry Belafonte,è stato in realtà l’arrangiamento di un canto di lavoro giamaicano scritto proprio da Tony Scott. Il celebre inizio “Day-O” fu, insomma, una sua invenzione.

Italia, l’irreparabile errore

«Dei tanti sbagli che Tony Scott ha compiuto nella sua vita – racconta Franco Maresco nel documentario – il più grave è stato senza dubbio quello di stabilirsi in Italia alla fine degli anni Sessanta. Con Tony, l’Italia dimostrerà di essere il paese incivile e imbarbarito che tutto il mondo conosce».

L’Italia non l’ha capito affatto, commentano musicisti e musicologi contemporanei che lo hanno conosciuto e che non hanno mancato di sottolineare la complessità del personaggio, non sempre di facile lettura nei suoi eccessi, nelle sue stranezze egocentriche e nei suoi lampi di lucida follia. «L’Italia non l’ha capito e proprio per questo l’ha emarginato».

Il film racconta, per esempio, che negli anni Settanta – ovvero gli anni della militanza e della trasgressione – Tony Scott era stato additato dai musicisti dell’avanguardia di allora, come un fascista «semplicemente perché – spiega Maresco – vestiva di nero e suonava in un quartetto con Romano Mussolini» con il quale ha finito per litigare.

«Ci sarebbe da ridere – commenta sconsolato il regista – se non fossimo già impegnati a piangere. Seguendo le tracce di Tony Scott, raccontiamo gli ultimi trent’anni di vita italiana. Uno peggiore dell’altro, fino alla deriva attuale».

Riflessioni amare, quelle del regista, mentre sullo schermo appare il volto di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio italiano, accompagnato dal seguente commento: «La peggiore catastrofe innaturale che ha colpito l’Italia».

Emigrazione e umiliazione

Il documentario, sorretto mirabilmente dalle suggestive e sensuali note jazz, ci trascina anche nella storia dell’emigrazione, con le sue tragedie umane e sociali, con i suoi piccoli miracoli. Antonio Giuseppe Sciacca sapeva bene che cosa significava essere emigranti ed emarginati in un paese straniero. Proprio per le sue radici, è sempre stato in prima linea nelle battaglie contro ogni forma di discriminazione politica ed etnica.

Figlio di siciliani partiti in America per rincorrere il sogno di una vita migliore, aveva vissuto sulla propria pelle l’umiliazione di essere definito un “dago”, ossia un italiano secondo l’epiteto razzista coniato dagli americani. Si è sentito anche dare del mafioso, come accadeva regolarmente anche a molti altri suoi compatrioti, diventati poi delle stelle del jazz.

Lui stesso stella luminosa nel firmamento del jazz americano, di ritorno in Italia trova una terra matrigna e avara, dove raccoglie precarietà, esclusione, umiliazioni. «E’ stato umiliato nella sua dignità», riconoscono – non senza un senso di colpa – musicisti e critici italiani chiamati a dare la propria testimonianza nel documentario.

Un’umiliazione – che contribuirà al suo doloroso declino – il cui peso è drammaticamente e desolatamente condensato nelle immagini di apertura: Tony Scott, barba e capelli lunghi e canuti, ad una trasmissione condotta da Paolo Bonolis (20 dicembre 2005), uno degli animatori più pagati d’Italia.

Durante la trasmissione, con crassa ignoranza e senza il minimo rispetto, Bonolis gli usa – ridendo e divertito – questa scortesia: «Ma lei chi è? Babbo Natale? O magari Leonardo da Vinci?» No, lui ha voluto essere, nel bene e nel male, Tony Scott. Lo ha voluto con tutte le sue forze.

Françoise Gehring, swissinfo.ch, Locarno

Tony Scott, pseudonimo di Antonio Giuseppe Sciacca (Morristown New Jersey, 17 giugno 1921 – Roma, 29 marzo 2007), è stato un clarinettista statunitense di musica jazz.

Nasce da genitori siciliani emigrati negli Stati Uniti da Salemi nei primi anni del Novecento.
Inizia molto presto gli studi musicali, diplomandosi in clarinetto alla Juilliard School di New York.

A New York studia successivamente alla Scuola di Musica contemporanea, con il compositore Stephan Volpe.

Coinvolto dall’atmosfera musicale profondamente stimolante che nella metà degli anni 1940 si respira soprattutto a New York, scopre presto il jazz e suona con i più grandi musicisti di questo genere musicale.

Diventa un jazzista di fama internazionale.
Oltre al clarinetto suona il sassofono.

È compositore, pianista e direttore d’orchestra. È considerato un precursore della World Music.

Spinto dalla curiosità e dall’interesse per il genere umano, Tony Scott vive in diverse parti del mondo, stabilendosi di volta in volta nei paesi che gli offrivano ospitalità ed esperienze musicali (Africa, Giappone, Indonesia, Cina, Europa), fermandosi definitivamente a Roma, dove è morto il 29 marzo 2007 all’età di 86 anni.

È sepolto nel cimitero di Salemi.

Io sono Tony Scott è stato realizzato sull’ arco di tempo di tre anni.

Racconta la vita del clarinettista siculo-americano Anthony Joseph Sciacca, divenuto alla fine degli anni Quaranta Tony Scott, il più grande clarinettista del jazz moderno.

Il documentario ripercorre la vicenda musicale e personale di Tony, ma racconta anche 60 anni di jazz, di incontri umani e artistici.

Nello stesso tempo,si sofferma sulla storia americana della seconda metà del secolo scorso, con le sue battaglie per i diritti civili e umani, di cui Tony Scott fu uno dei principali e appassionati sostenitori.

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