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Il dialogo prosegue all’insegna del pragmatismo

Didier Burkhalter, sulla destra, è stato ricevuto a Roma dal suo omologo Giulio Terzi Keystone

Il ministro degli esteri Didier Burkhalter era giovedì a Roma, dove ha incontrato il suo omologo Giulio Terzi. Un’occasione per dare un ulteriore slancio alla risoluzione del contenzioso fiscale che oppone Roma e Berna. Una vertenza su cui si inizierà a negoziare tra dieci giorni.

Trasporti, cooperazione transfrontaliera, esposizione universale di Milano nel 2015, energia, situazione in Siria, politica europea della Svizzera e soprattutto fiscalità… Sono questi alcuni dei temi abbordati dai due capi della diplomazia durante il loro colloquio alla Farnesina. Un colloquio che il consigliere federale Didier Burkhalter ha definito efficace e pragmatico.

La visita di giovedì ha costituito un ulteriore consolidamento del riavvicinamento intrapreso negli scorsi mesi tra i due paesi, dopo le note vicende legate alla vertenza fiscale. In giugno, la presidente della Confederazione nonché ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf aveva incontrato il presidente del consiglio italiano Mario Monti. L’incontro aveva di fatto segnato l’inizio del disgelo nei rapporti tra Roma e Berlino.

Dopo una fase preparatoria, i negoziati veri e propri per risolvere i cinque spinosi dossier (vedi a fianco) su cui si è deciso di discutere possono ora iniziare. L’avvio delle trattative è previsto il 24 settembre, ha indicato giovedì il portavoce del Dipartimento federale degli affari esteri Jean-Marc Crevoisier. 

Urge una soluzione

Una notizia che il deputato Franco Narducci, rappresentante del Partito democratico eletto nella circoscrizione estero (risiede in Svizzera) deve aver accolto con un certo sospiro di sollievo.

Contattato da swissinfo.ch prima della visita di Burkhalter, il vicepresidente della commissione esteri della Camera, ha sottolineato che la situazione si fa sempre più urgente e non solo per quanto concerne la questione fiscale. Narducci ha ricordato, ad esempio, le discriminazioni a cui vanno incontro in Italia i lavoratori frontalieri che rimangono disoccupati. Discriminazioni che vanno combattute non solo modificando la legge italiana (una proposta è stata approvata dalla Camera dei deputati in febbraio), ma anche bilateralmente con la Svizzera.

Le aziende elvetiche sono dal canto loro penalizzate dalla presenza della Svizzera su due liste nere italiane, ciò che comporta tutta una serie di ostacoli. «È già difficile lavorare nelle condizioni attuali e la situazione non migliorerà visto che le esigenze nei confronti dei paesi che figurano sulle liste nere continuano ad aumentare», ha dichiarato al giornale romando Le Temps Luca Albertoni, direttore della camera di commercio ticinese.

La chiave di volta per risolvere i diversi punti conflittuali tra Berna e Roma è costituita sicuramente dalla regolarizzazione degli averi che i cittadini italiani detengono nelle banche svizzere. Le parti stanno trattando per giungere a un accordo sul modello di quello già concluso (ma non ancora ratificato) con Germania, Gran Bretagna e Austria.

Dar prova di pragmatismo

Secondo le stime più ottimiste, grazie al cosiddetto accordo ‘Rubik’ il fisco italiano potrebbe recuperare tra 30 e 40 miliardi di euro. La Svizzera, dal canto suo, salvaguarderebbe il segreto bancario.

In Germania la convenzione fiscale siglata con la Confederazione è stata definita un «commercio delle indulgenze» da socialdemocratici e verdi, che potrebbero bocciarla quando sarà presentata alla Camera dei Länder, verosimilmente in novembre.

Uno scenario che rischierebbe di avere gravi ripercussioni sui negoziati con l’Italia, da alcuni mesi piuttosto ben disposta nei confronti dell’accordo ‘Rubik’. «Se l’accordo con la Germania salta, vi lascio immaginare cosa accadrà con l’Italia», ha recentemente dichiarato l’ex ministro delle finanze Giulio Tremonti, spauracchio negli ultimi anni della piazza finanziaria elvetica.

Franco Narducci è invece più ottimista. Per il deputato del Partito democratico si tratta semplicemente di dar prova di pragmatismo. «Se la Germania vuole assumersi il rischio che i capitali detenuti dai suoi cittadini siano trasferiti in altri paradisi fiscali e sfuggano così al fisco sono affari suoi. In Italia dobbiamo condurre una lotta serrata all’evasione. Il problema è come farla e con quali mezzi. Conviene continuare come negli ultimi 50 anni, oppure avere degli strumenti di controllo? A mio avviso è meglio avere strumenti che permettono di tassare questi capitali sfuggiti al fisco, secondo aliquote concordate a livello bilaterale, anziché lasciare questo buco nero, che rappresenta un grande svantaggio per il nostro paese. E penso che sia un’opinione condivisa dalla maggior parte del parlamento».

Rimane però un’incognita: il parlamento che uscirà dalle prossime legislative dell’aprile 2013 sarà dello stesso avviso?

Il gruppo di pilotaggio istituito dopo la ripresa del dialogo tra Berna e Roma, decisa il 9 maggio 2012, ha fissato cinque temi di negoziazione.

Il primo riguarda la regolarizzazione degli averi italiani nelle banche svizzere e l’imposta alla fonte. Le parti negoziano sulla base degli accordi ‘Rubik’, che la Svizzera ha già firmato con Germania, Gran Bretagna e Austria. Questo modello prevede il pagamento di un importo forfettario unico sui capitali non dichiarati per regolarizzare il passato e il prelievo di un’imposta alla fonte per il futuro.

In contropartita, Berna vuole un migliore accesso al mercato italiano per gli istituti bancari elvetici.

Un altro tema sul banco dei negoziati è la revisione della Convenzione contro la doppia imposizione, che dovrebbe essere modificata sulla base delle norme in materia di scambio di informazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Da rivedere anche l’Accordo sui frontalieri, risalente al 1973. Il canton Ticino chiede in particolare che l’aliquota del 38,8% prelevata sui redditi dei frontalieri e retrocessa all’Italia sia ridotta.

L’ultimo punto dolente riguarda la presenza della Svizzera sulle liste nere italiane dei paradisi fiscali. Ciò comporta una serie di misure che penalizzano gli scambi transfrontalieri, gli investimenti diretti e l’industria di esportazione elvetica.

Per la Svizzera, l’Italia è il secondo principale fornitore di beni e servizi (19 miliardi nel 2011) e il terzo mercato d’esportazione (16 miliardi nel 2011).

Gli investimenti italiani nella Confederazione, a cui sono legati quasi 14’000 posti di lavoro, hanno raggiunto 5 miliardi di franchi a fine 2010. Tra le maggiori imprese italiane attive in Svizzera vi sono Generali, Fiat, Pirelli e Bulgari.

La Confederazione figura invece al sesto rango tra i partner economici dell’Italia per quanto riguarda le esportazioni e al nono tenendo conto delle importazioni.

Gli investimenti svizzeri in Italia corrispondevano a 20 miliardi di franchi nel 2010. Le imprese elvetiche – tra cui ABB, Nestlé, Novartis, Roche, Zurich, UBS, CS e Swisscom – danno lavoro a circa 76’000 persone nella Penisola.

Inoltre, circa 55’000 cittadini italiani attraversano i ogni giorno la frontiera per lavorare sul territorio elvetico.

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