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Salari dei manager: il pragmatismo degli svizzeri

L'iniziativa 1:12 della Gioventù socialista non è riuscita a convincere gli elettori. Keystone

Un «magnifico autogoal» della Gioventù socialista, una semplice «vittoria di tappa» per gli oppositori a un tetto salariale oppure un «successo della ragione»? Secondo la stampa svizzera, il no all’iniziativa 1:12 riflette il pragmatismo del popolo svizzero, che non intende cambiare il proprio modello economico.

L’obiettivo degli iniziativisti era di creare un altro sistema economico dove lo Stato definisce tutto nei minimi particolari, rammenta la Basler Zeitung. Il popolo svizzero si è però pronunciato «contro il diktat dello Stato».

«Gli svizzeri non hanno voluto introdurre un controllo statale illusorio e incompatibile con lo spirito di uno Stato liberale», scrive il romando Le Temps. Due terzi degli svizzeri mandano a dire alla Gioventù socialista che il modello economico svizzero, che ha ottenuto fin qui risultati invidiabili, non si cambia, gli fa eco il Corriere del Ticino.

Malgrado gli eccessi di alcuni manager, prosegue il quotidiano di lingua italiana, «la liberaldemocrazia elvetica temperata da una rete sociale solida, da una fiscalità equa e basata sulla trattativa fra partner sociali, non va sostituita da uno Stato dirigista e da un’economia di tipo pianificato».

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Nessun tetto per il divario salariale in Svizzera

Questo contenuto è stato pubblicato al Due terzi dei votanti e tutti i cantoni hanno respinto l’iniziativa “1:12 – Per salari equi”. Lanciata dalla Gioventù socialista e sostenuta dalla sinistra e dai sindacati, chiedeva che all’interno di ogni impresa lo stipendio più elevato potesse essere al massimo pari a 12 volte quello più basso. L’idea era che nessuno in un’azienda potesse…

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La testa prevale sulla pancia

Il popolo sovrano non è sempre immune contro il populismo, annota la Neue Zürcher Zeitung. Ma quando si tratta di un tema centrale, il popolo «rimane pragmatico e rinuncia agli esperimenti». Anche per il Corriere del Ticino, ciò che colpisce maggiormente nell’ampiezza dei contrari all’1:12, è «la capacità del popolo svizzero di discernere fra le ragioni della pancia e quelle della testa».

Il tema, riconosce il giornale, era fra i più populisti, soprattutto dopo i disastri fatti da alcuni manager svizzeri negli ultimi anni. «La voglia di dar loro una spazzolata (sull’onda dell’iniziativa Minder) e la diffusa insofferenza degli svizzeri di fronte ad ogni tipo di eccesso» potevano lasciar credere che l’iniziativa avrebbe ottenuto perlomeno un risultato significativo, scrive l’editorialista del Corriere del Ticino. Così però non è stato e «ancora una volta il popolo elvetico dimostra una notevole capacità di ragionare in modo differenziato e di fare bene i conti, anche su temi dalle complesse implicazioni».

Per La Liberté, il 34,7% di voti contrari rappresenta «il ripudio delle idee della sinistra sulla politica salariale». Con la sua iniziativa, la Gioventù socialista «ha inflitto un magnifico autogol» al Partito socialista (PS). Si tratta di una «pesante sconfessione» del PS, che ne ha fatto un proprio cavallo di battaglia e che si è impegnato a fondo affinché l’iniziativa riuscisse, condivide il Corriere del Ticino.

La sconfitta di domenica, prosegue La Liberté, «lascia la sinistra e i sindacati in difficoltà» anche perché concede alla destra un vantaggio imparabile al momento di iniziare una campagna altrettanto importante: quella del salario minimo.

Il dibattito sulle disuguaglianze non è infatti chiuso, rammenta Le Temps. «Il popolo dovrà esprimersi sull’iniziativa dell’Unione sindacale svizzera per l’introduzione di un salario minimo di 4’000 franchi».

Non solo un paio di anticapitalisti

Un po’ controcorrente, il Tages-Anzeiger ritiene che quella di domenica sia soltanto «una vittoria di tappa» per chi si oppone all’introduzione di una limitazione dei salari.. Il quotidiano di Zurigo sottolinea che un terzo degli aventi diritto in una Svizzera pur sempre liberale vogliono fissare un tetto salariale nella Costituzione. «Una percentuale considerevolmente elevata. Non si tratta soltanto di un paio di anticapitalisti».

I salari della categoria di persone che guadagnano oltre 10’000 franchi al mese è aumentata del 20-30%, mentre i salari della classe media sono rimasti uguali, rammenta il Tages-Anzeiger. «Questi divari salariali sono il risultato dell’apertura delle frontiere e del potere negoziatore dei dirigenti aziendali. Nei prossimi anni, la sfida sarà di opporre loro un contropotere dei lavoratori».

Se così non sarà, avverte il Tages-Anzeiger, «la pace sociale potrebbe presto venir sconvolta con azioni di protesta e scioperi. Oppure il popolo dirà di sì a iniziative radicali, come quella sul salario minimo».

Mobilità in crisi?

Sulla stampa elvetica erano numerosi anche i commenti sugli altri due oggetti in votazione, entrambi bocciati: l’aumento del prezzo della vignetta autostradale e l’iniziativa per le famiglie.

Il rifiuto di aumentare il contrassegno autostradale da 40 a 100 franchi rappresenta «una pesante battuta d’arresto» per la politica della mobilità, che rischia di «creare grossi problemi nel finanziamento delle future opere stradali», ritiene La Regione. «E ora chi costruirà le nostre strade?», s’interroga il Blick.

Anche 24 Heures e Tribune de Genève sottolineano che il no massiccio alle urne «non disegna alcuna soluzione concreta per migliorare la rete stradale». Mancano infatti miliardi di franchi per finanziare i progetti di trasporti dei prossimi decenni. Secondo i due giornali romandi, il voto potrebbe riaccendere la lunga contesa tra strada e ferrovia.

«Gli svizzeri saranno chiamati ad approvare il fondo ferroviario (di oltre 6 miliardi) nel febbraio 2014. Se anche questo finanziamento verrà bloccato, la crisi dei trasporti sarebbe totale», prevede l’editorialista di 24 Heures e Tribune de Genève.

Per La Regione, sul futuro della mobilità in Svizzera incombe una seconda incognita relativa al raddoppio del tunnel stradale del Gottardo. «Se gli svizzeri, pure in questo caso, non fossero disposti a porre mano al borsello, cosa succederà?».

Famiglie, una questione aperta

L’iniziativa sulle famiglie dell’Unione democratica di centro (UDC), seppur vista di buon occhio all’inizio della campagna, «non ha convinto col passar del tempo», commenta il Corriere del Ticino. In particolare, «non è riuscita a dimostrare che preponderante non era l’incitazione rivolta alle donne a rimanersene a casa, bensì il sostegno fiscale alle famiglie, un tema quest’ultimo parecchio sentito in Svizzera».

La questione rimane comunque aperta poiché la situazione fiscale delle famiglie con figli «è lungi dall’essere soddisfacente», aggiunge il quotidiano. «Il problema è reale» e «il popolo dovrà quindi tornare ad esprimersi su questo tema in tempi abbastanza ravvicinati».

Malgrado la sconfitta, l’UDC è riuscita a raccogliere una vittoria, osservano 24 Heures e Tribune de Genève. Il partito di destra conservatrice è riuscito a «mostrare un attaccamento a valori molto sentiti nella popolazione». A due anni dalle elezioni federali, commentano, l’UDC «ha messo mette un piede in una porta che non era mai riuscito ad aprire».

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