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“È bello fare dei film, ma bisogna anche poterli mostrare”

Frédéric Mermoud, 46 anni, torna a Locarno con il suo nuovo film "Moka" pardolive.ch

Dopo il successo del suo primo lungometraggio "Complices", Frédéric Mermoud torna al festival di Locarno con "Moka", il suo nuovo film presentato in Piazza Grande. Emigrato a Parigi, il regista vallesano ha unito per la prima volta sul grande schermo le grandi attrici francesi Emmanuelle Devos e Nathalie Baye, in un thriller psicologico intriso di dolore e vendetta. Intervista.

Girato tra Losanna ed Evian, con il lago Lemano a fare da “arena”, il nuovo film di Frédéric Mermoud racconta la storia di una madre e della sua ossessione: ritrovare la conducente delle Mercedes color moka che ha investito il figlio e devastato la sua vita. Il cammino della vendetta si intreccia con quello della rielaborazione di un lutto e mette faccia a faccia due personaggi agli antipodi: la bruna Emmanuelle Devos, “lunare e ciclotimica”, e la bionda Nathalie Baye, “solare e comunicativa”. Un duo dal talento incontestabile.

Con “Moka”, il regista 46enne segna un altro film di genere, dopo il giallo “Complices”, in concorso a Locarno nel 2009, e gli episodi della serie “Les revenants” (Emmy Awards nel 2013).

swissinfo.ch lo ha incontrato poche ore prima della presentazione del film in Piazza Grande.

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swissinfo.ch: Come è nata la sua passione per il cinema?

Frédéric Mermoud: Da bambino andavo spessissimo al cinema. Il mio padrino gestiva il cinema di Sion e per me quella sala era diventata una specie di salotto o di parco giochi. Poi al liceo ho fatto parte di un gruppo teatrale e ciò mi ha probabilmente dato il gusto per le arti vive. Così, dopo aver studiato letteratura francese e filosofia all’università, ho sentito il bisogno di tornare alla mia infanzia, se così si può dire, e mi sono iscritto all’ECAL, la scuola di cinema di Losanna.

swissinfo.ch: Terminata la scuola, è partito per Parigi. Cosa l’ha spinta a fare questa scelta?  

F.M.: È stata una scelta dettata dall’amore, poiché ho raggiunto la mia compagna, che è francese. È diverso affrontare una città o una nuova vita quando si persegue unicamente un obiettivo professionale o quando esiste un legame affettivo. Trasferirmi a Parigi è stato naturale, anche se è chiaro che emigrare ha sempre qualcosa di eccitante e al contempo destabilizzante.

In quanto regista romando sono inoltre cresciuto col cinema e la cultura francese. Già da adolescente leggevo le notizie che arrivavano dalla Francia e guardavo i film di François Truffaut, Maurice Pialat o Michel Deville. Partire a Parigi non è dunque stato un salto nel buio. In un certo senso ho ritrovato cose, codici e perfino quartieri che conoscevo attraverso dei viaggi precedenti ma anche attraverso la filmografia.

swissinfo.ch: Al di là dei motivi personali, diversi registi svizzeri partono a lavorare all’estero o per lo meno collaborano sempre più con paesi come la Francia. È una necessità per emergere in quanto cineasti svizzeri?

F.M.: Non credo. Da parte dei registi romandi, per lo meno, c’è sempre stato un desiderio di apertura verso uno spazio francofono in senso ampio. Anche perché a livello identitario c’è un’opposizione minore rispetto magari al rapporto che lega svizzero-tedeschi e germanici o ticinesi e italiani. È chiaro che a volte abbiamo l’impressione che il giardino del vicino sia sempre più verde, ma non credo che il desiderio di collaborare sia dettato da una necessità. Lo vedo più che altro come un’opportunità.

swissinfo.ch: A differenza di altri registi, legati ad un unico genere, lei è passato dal giallo al thriller psicologico, passando dagli zombi… 

F.M.: Sì, effettivamente mi piace esplorare nuovi territori. Quando faccio un film è come se camminassi sulla cresta di una montagna, in bilico tra la ricerca di un nuovo genere e la volontà di accompagnare un personaggio. Mi sembra che l’identità del mio cinema si situi proprio su questa linea. Nel caso di “Moka” il punto di partenza è stata la voglia di lavorare nuovamente con Emmanuelle Devos, protagonista anche di “Complices”, e di far gravitare il film attorno a lei.

Nonostante i successi registrati nel 2015, con il film “Heidi” venduto in 125 paesi, il cinema svizzero ha bisogno di maggior sostegno per essere più competitivo sul mercato internazionale: ne è convinto il consigliere federale Alain Berset, che a Locarno ha parlato di una “vera e propria offensiva” da parte della Confederazione.

In programma vi sono nuovi accordi di produzione con una serie di paesi, come la Danimarca e il Canada, e una promozione più mirata del cinema svizzero in Cina, Corea del Sud, Messico e in diversi paesi del nord Europa.

Esclusa dal programma europeo MEDIA dal 2014, la Svizzera è stata infatti costretta a passare al contrattacco o per lo meno a parare il colpo. Basterà? Le misure presentate a Locarno sono certo rassicuranti, ma non brillano tuttavia per originalità.  

swissinfo.ch: Proprio a Locarno, il ministro della cultura Alain Berset ha annunciato una vera e propria offensiva per promuovere i film svizzeri all’estero. Cosa ne pensa? 

F.M.: Trovo che sia importantissimo che un piccolo paese come la Svizzera raddoppi gli sforzi per garantire una certa visibilità al nostro cinema. Anche perché la concorrenza è sempre più grande. È certo bello fare dei film, ma bisogna anche poterli mostrare.

Non è importante solo che i film svizzeri vengano presentati durante i festival, ma devono uscire nelle sale, o più in generale essere accessibili a un pubblico all’estero. La Confederazione sostiene già la distribuzione all’estero, ma perché non aiutare anche la diffusione su altri canali, come la televisione o le piattaforme online?

Vi è poi anche un effetto ciclico che non va sottovalutato. Ci sono periodi in cui è il cinema svizzero ad attirare l’attenzione del pubblico, poi tocca a quello belga o a quello canadese. E domani sarà nuovamente il cinema svizzero. Non dobbiamo lasciarci scoraggiare e continuare a lavorare con perseveranza, un po’ come i maratoneti.

swissinfo.ch: L’esclusione della Svizzera dal programma europeo Media ha complicato ulteriormente la situazione oppure le misure compensatorie della Confederazione sono riuscite a mettere una pezza?

F.M.: Diciamo che la Confederazione ha fatto del suo meglio per far fronte all’esclusione da Media. Ma uno degli aspetti fondamentali del programma era proprio il fatto di poter far parte di una rete più ampia che permetteva giustamente di poter distribuire più facilmente un film. E questa rete non può essere rimpiazzata da un sostegno finanziario. Più la Svizzera si isola culturalmente e più è difficile convincere la gente a mostrare o a vedere i nostri film. 


Aspettando il 70esimo…

La 69esima edizione del Festival del film Locarno si tiene dal 3 al 13 agosto 2016 e conta quest’anno una forte presenza svizzera.

Due i film in lizza per il Pardo d’Oro: “Marija”, del giovane Michael Koch, e “La idea de un lago”, della svizzero-argentina Milagros Mumenthaler. La Svizzera sarà inoltre presente sulla Piazza grande con “Moka”, del romando Frédéric Mermoud. Vi è poi grande attesa per due film fuori concorso: il ritratto di Jean Ziegler firmato Nicolas Wadimoff, e “Un juif pour l’exemple”, di Jacob Berger, sulla Svizzera e il nazismo.

Diversi gli ospiti attesi a Locarno: Stefania Sandrelli, Alejandro Jodorowsky, Bill Pullman, Ken Loach, Howard Shore, Valeria Bruni Tedeschi e Isabelle Huppert. 

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