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La Svizzera dice no all’abbandono accelerato del nucleare

Il popolo svizzero non ha voluto seguire la via verso un abbandono anticipato dell'atomo. Keystone

Il popolo svizzero ha respinto l’iniziativa popolare che chiedeva la chiusura di tutte le centrali nucleari del paese entro il 2029. A influire sul risultato alle urne è stato, tra l'altro, il timore di una maggiore dipendenza energetica dall'estero. 

La Svizzera continuerà a produrre energia atomica per almeno i prossimi 20-30 anni. L’iniziativa degli ecologisti “Per un abbandono pianificato dell’energia nucleareCollegamento esterno” non ha infatti superato lo scoglio delle urne ed è stata bocciata domenica dal 54% dei votanti, come raccomandavano governo e parlamento.

Il testo non ha ottenuto nemmeno la maggioranza dei cantoni. Per essere approvata, l’iniziativa necessitava della doppia maggioranza di popolo e cantoni. A dire di no sono stati quasi tutti i cantoni germanofoni e il Ticino (53,7%), in quella che appare come una nuova spaccatura tra le regioni di lingua tedesca e quelle francofone.

Altro dato interessante: i contrari all’iniziativa hanno raggiunto il 60,5% nel cantone di Soletta, dove si trova la centrale di Gösgen, e il 62,9% in Argovia, che ospita le due centrali di Beznau e quella di Leibstadt. Nel canton Berna, in cui si trova l’impianto di Mühleberg, la proposta è stata respinta al 56,2%. La partecipazione al voto a livello nazionale è stata del 45%.

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Il risultato odierno conferma la tendenza emersa durante i due sondaggi pre-elettorali realizzati dall’istituto bernese su mandato della Società svizzera di radiotelevisione (SSR), che aveva visto il campo dei contrari all’iniziativa guadagnare sempre più terreno.

No all’atomo, ma più lentamente

Figlia della catastrofe nucleare di Fukushima nel marzo 2011, l’iniziativa popolare dei Verdi svizzeri chiedeva non solo di vietare la costruzione di nuove centrali (un divieto peraltro già deciso dal parlamento nel quadro della Strategia energetica 2050).

Il testo chiedeva anche di limitare a 45 anni la durata d’esercizio dei cinque impianti esistenti, che attualmente forniscono circa il 35% dell’elettricità del paese. A detta degli ecologisti, si sarebbe potuto sostituire l’atomo con lo sviluppo delle energie rinnovabili in Svizzera (acqua, vento e sole).

grafica: carta geografica della svizzera, su cui sono segnati i cinque luoghi in cui vi sono centrali nucleari.
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Nonostante la chiara bocciatura alle urne, quello odierno è un risultato importante, secondo i promotori dell’iniziativa. «Non abbiamo fatto niente di sbagliato», ha reagito Regula Rytz, presidente dei Verdi svizzeri e copresidente dell’Alleanza per l’uscita pianificata dal nucleare.

La Strategia energetica 2050, che prevede un abbandono graduale dell’energia atomica senza però fissare delle date limite, è stata trattata come una specie di controprogetto all’iniziativa e dopo il voto di domenica la strada per questo progetto è stata spianata, ha affermato Regula Rytz.

Il popolo svizzero si è rifiutato di procedere troppo velocemente, ma non sostiene più l’atomo, ritiene il deputato socialista e presidente di Swissolar Roger Nordmann. La questione della sicurezza e la situazione finanziaria delle centrali nucleari verranno costantemente monitorate, per il bene della popolazione, ha aggiunto Regula Rytz.

Timore del carbone tedesco

Diversa l’interpretazione del deputato popolare radicale Christian Wasserfallen, membro del comitato direttivo dell’Azione svizzera per una politica energetica ragionevole, un potente gruppo di pressione favorevole all’atomo. «La gente non ne vuole sapere di un abbandono del nucleare», ha affermato alla Radio svizzera di lingua tedesca SRF.

L’argomentazione che gli impianti nucleari dovranno rimanere in funzione fino a quando saranno considerati sicuri ha convinto gli svizzeri. Per il politico di centro-destra, a condurre al “no” è anche stata la minaccia di una maggiore dipendenza energetica dall’estero e in particolare dalle centrali a carbone tedesche.

«Sono sollevata da questo risultato», ha dichiarato in conferenza stampa la ministra dell’energia Doris Leuthard. La bocciatura odierna, ha detto, lascia al paese «il tempo necessario per trasformare progressivamente l’approvvigionamento elettrico e per ampliare la rete elettrica». Il popolo non ha voluto correre rischi e ha indicato di non voler importare più elettricità dall’estero, ha commentato Doris Leuthard.

«Gli svizzeri hanno votato con la testa invece che con la pancia», si è rallegrato dal canto suo il deputato popolare democratico (centro) Yannick Buttet, affermando che questo no mostra semplicemente che gli svizzeri preferiscono un abbandono ordinato a una rinuncia caotica.

Per la democentrista Céline Amaudruz, membro del comitato che in ottobre ha lanciato un referendum contro la Strategia energetica 2050, il popolo svizzero ha respinto un testo «irrealista. Il prossimo logico passo è l’accettazione del referendum contro un progetto concepito male».

Contattato dall’Agenzia telegrafica svizzera, il presidente della federazione delle imprese svizzere (economiesuisse) Heinz Karrer ha spiegato che la decisione di sostenere o meno il referendum non è ancora stata presa.

Una centrale in meno dal 2019

Nonostante l’esito finale alle urne, la Svizzera dovrà rinunciare a breve a una parte della sua produzione di energia atomica. La società elettrica bernese BKW ha infatti annunciato che il suo impianto di Mühleberg, che fornisce circa il 5% della corrente, verrà definitivamente spento nel 2019.

Nucleare in Svizzera: sei volte no dal 1979

Il popolo svizzero si è già espresso a sette riprese sull’energia atomica. L’unico “sì” risale al 1990, quando la maggioranza dei votanti aveva approvato una moratoria di dieci anni sulla costruzione di impianti nucleari.

Questa iniziativa, lanciata dopo la catastrofe di Chernobyl (1986), aveva ottenuto il 55% dei consensi malgrado l’opposizione di governo e parlamento. Lo stesso giorno, un’iniziativa socialista che chiedeva l’abbandono progressivo dell’atomo era stata respinta dal 53% dei votanti.

La prima iniziativa sull’energia nucleare era stata bocciata di poco (51% di no) nel 1979. Lanciata dagli oppositori al progetto di Kaiseraugst (Argovia), poi abbandonato nel 1988, chiedeva in particolare che la popolazione interessata potesse esprimersi sulla costruzione di centrali.

Nel 1984, il popolo aveva respinto due iniziative presentate da organizzazioni ecologiste con il 55% e il 54% dei voti: la prima chiedeva «un futuro senza nuove centrali nucleari», mentre la seconda proponeva di favorire le energie rinnovabili, introducendo delle tasse sulle altre fonti energetiche.

Nel 2003, il popolo aveva poi bocciato (58%) la proposta di prolungare di dieci anni la moratoria e de limitare il ciclo di vita degli impianti a 40 anni. Parallelamente, il 66% dei votanti aveva respinto un’iniziativa che chiedeva lo spegnimento dei due reattori di Beznau e della centrale di Mühleberg al più tardi nel 2005, di Gösgen nel 2009 e di Leibstadt nel 2014.

Fonte: ATS

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