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Cinema: addio a Zulawski, raccontò l’amore balordo

(Keystone-ATS) A 75 anni tace la voce solitaria, provocatoria, rabbiosa e potente del regista Andrzej Zulawski, polacco di formazione, francese di mentalità e cultura.

Nato a Leopoli il 22 novembre del 1940, figlio di un diplomatico con la passione per la scrittura e personalità culturale di spicco nella Polonia post-bellica, cresciuto in giro per il mondo e in particolare a Parigi, Zulawski è sempre stato un autore segnato dalla “duplicità”. Frequentava i corsi alla Sorbona ma si era iscritto anche all’università di Varsavia, ammirava la cultura francese ma ottenne di diventare assistente di Andrzej Wajda, il cineasta più autorevole del suo paese.

Da Wajda imparò il mestiere, la coerenza morale, l’idea della cultura come impegno civile e l’ansia per la libertà, ma di fatto non ne fu mai l’erede. Altro lo spingeva all’invenzione narrativa: i diavoli della mente, la forza dell’inconscio, il rovello interiore. Grazie alla sua formazione internazionale e a una natura ribelle e apolide ottiene consensi per il suo primo lavoro, il mediometraggio “Il canto dell’amore trionfante” soprattutto all’estero, con una menzione speciale dell’Academy of Televisione Arts and Sciences di Los Angeles nel 1968.

È quello un anno cruciale per l’Europa tutta, percorsa da fermenti di contestazione e di emancipazione giovanile che in Francia sono acuti e che in Polonia si traducono in rivolta verso l’establishment comunista. Nel 1971 firma il suo primo lungometraggio, “La terza parte della notte” che fa circolare soprattutto all’estero vincendo premi in molte rassegne attente al nuovo linguaggio del cinema. Il film, come il successivo “Il diavolo” viene guardato con sospetto in patria per le idee e le immagini sovversive, tanto che rimarrà censurato e inedito per ben 16 anni.

Ma al fondo si tratta di un clamoroso equivoco perché è già l'”amour fou”, la forza liberatrice del sesso e la paura del lato oscuro di noi a guidare il talento del giovane autore. E saranno questi gli aspetti che verranno invece colti e abbracciati dall’élite culturale parigina a cui Zulawski si rivolge per trovare consensi nella sua seconda patria.

Nel frattempo dà spazio alla sua seconda vocazione, quella letteraria, imponendosi come scrittore maledetto e capace di suscitare forti emozioni, al apri di roventi polemiche. A Parigi dirige Romy Schneider nel bellissimo “L’importante è amare” (1975), a Varsavia ottiene di realizzare “Il globo d’argento” (da un romanzo di suo zio Jerzi) che, girato nel 1977, rimarrà però inedito fino alla fine degli anni ’80 per nuovi problemi di censura. Nel 1981 riesce finalmente a raccogliere i capitali per il suo nuovo film, “Possessione” grazie all’entusiasmo della protagonista, Sophie Marceau, diventata una diva del cinema parigino grazie al successo planetario de “Il tempo delle mele”.

Con “Possessione” Sophie Marceau si rivela attrice completa e donna matura e passionale, lontanissima dal suo personaggio di successo. Il film, selezionato al Festival di Cannes, colpisce per la furia creatrice (e distruttrice) della passione tra una donna borghese e una creatura fantascientifica, un mostro osceno e attraente generato dall’inconscio. Allora Sophie Marceau ha ben 26 anni meno del suo pigmalione ma si getta in un’appassionata relazione con lui: durerà 17 anni, produrrà il film più celebre della coppia (“L’amour braque” del 1985, libero adattamento da “L’idiota” di Dostoevskij) e un figlio amatissimo, nonché due romanzi che Zulawski dedica allo strazio della separazione.

Dopo “La femme publique” del 1984 (con Valérie Kaprisky e Lambert Wilson) un buon successo con “Le mie notti sono più belle dei vostri giorni” nel 1989, sceglie sempre più spesso la via della scrittura. Per il cinema dirigerà ancora “La sciamana” (1996), “La fidelité” (2000) e il visionario “Cosmos” con cui un anno fa ottiene il Pardo d’oro per la regia al festival di Locarno. È quasi un riconoscimento alla carriera quello che la giuria svizzera intende tributargli: un omaggio al sui talento fiammeggiante che nell’ultima opera diventa quasi un sogno ad occhi aperti, un “viaggio al termine della notte”, una discesa negli inferi di un inconscio che sembra non trovare mai pace.

Per paradosso la sua scrittura, con gli anni si raffredda, si fa composta e quasi accademica ma ogni volta rivela un nocciolo duro di passione e follia che di Zulawski resta l’eredità più originale. Uomo affascinante e vero seduttore della parola, lo scrittore-regista attraversa la cultura della seconda metà del secolo con uno spirito romantico che molto deve all’incontro tra letteratura e psicoanalisi.

Ma Zulawski sceglie di usare la narrazione del sesso, dell’amore, delle pulsioni segrete dell’individuo come rivelatori della sua doppia anima di animale selvaggio ed essere razionale: l’impossibile convivenza di queste due spinte interiori genera ogni volta un’esplosione vitale che si fa plastica nelle sue immagini sconvolgenti. Talento irregolare e solitario, ha scolpito fino in fondo un’immagine di sé analoga a quella dell’artista che è stato: autentico Jekill e Hyde della sua vita, Andrzej Zulawski amava stupire e cesellava con narcisismo il suo personaggio. Tuttavia rivelava con ingenuità dolcissima e quasi infantile gli incubi delle sue notti e le illuminazioni dei suoi giorni.

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