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Gli anni svizzeri di un repubblicano DOC

Il busto di Giuseppe Mazzini a Grenchen. Nella cittadina solettese, Mazzini visse un anno e mezzo in clandestinità. swissinfo.ch

Giuseppe Mazzini ammirava la Svizzera repubblicana, ma ne criticò aspramente la chiusura verso l'Europa. Il rivoluzionario italiano trascorse in tutto quasi dieci anni della sua vita da esule nella Confederazione.

«Gli Svizzeri, anche patrioti, non sono gran cosa in fatto di spirito Europeo, o simpatia per gli altri popoli», scrisse Giuseppe Mazzini nell’ottobre del 1832. Si trovava in Francia, a Marsiglia. L’anno prima aveva fondato la Giovine Italia, prototipo dei moderni partiti rivoluzionari.

Un cospiratore a Ginevra 

Mazzini era passato dalla Svizzera per la prima volta nel febbraio del 1831. Lasciava l’Italia da esule, dopo aver scontato due mesi e mezzo di carcere a Savona, per appartenenza alla Carboneria. Era diretto a Parigi, ma fece tappa a Ginevra, per rendere visita allo storico Simonde de Sismondi, studioso delle repubbliche italiane del Medioevo.

A Ginevra, Mazzini tornò nell’estate del 1833. Prese dimora nel quartiere dei Pâquis, all’Hôtel de la Navigation, che divenne il quartier generale della Giovine Italia. «Questa città è sempre il riparo sicuro di tutti i proscritti», annotò un cronista dell’epoca. «Ve ne sono a nuvole, d’ogni nazione, d’ogni colore».

Mazzini fu ben presto coinvolto in un tentativo di insurrezione armata in Savoia, fallito miseramente. Non si perse d’animo, nonostante i dubbi che lo tormentavano: fondò la Giovine Europa, prima manifestazione dell’idea di un’Europa unita, e lavorò assiduamente alla nascita di una Giovine Svizzera.

«Né padrone, né re» 

«La Svizzera era ed è paese importante non solamente per sé, ma anche e segnatamente per l’Italia. Dal 1° gennaio 1338 quel piccolo popolo non ha padrone né re», affermò anni dopo nelle sue Note autobiografiche. Per Mazzini, la Svizzera era un modello di repubblicanesimo. Aveva tenuto alta la bandiera della repubblica per cinque secoli.

La Svizzera contemporanea però gli piaceva poco. La considerava in crisi, dominata dagli interessi cantonali, priva di spirito nazionale e quindi particolarmente soggetta alle pressioni delle potenze vicine. Sognava una Svizzera che si estendesse dalla Savoia al Tirolo, una forte repubblica delle Alpi capace di mediare le tensioni tra il nord e il sud dell’Europa.

Sulle pressioni internazionali, Mazzini non si sbagliava. Le potenze europee, ispirate dal cancelliere austriaco Klemens von Metternich, chiesero a gran voce l’espulsione dalla Svizzera dei profughi che avevano partecipato al tentativo di insurrezione in Savoia.

Clandestino nei bagni termali

 La Svizzera dovette cedere, Mazzini entrò in clandestinità. Visse nascosto a Losanna, Berna, Bienne. Alla fine di settembre del 1834 si trasferì a Grenchen, nel canton Soletta. Vi rimase, con qualche interruzione, oltre un anno e mezzo, ospite del direttore dello stabilimento termale di Bachtelen.

In quei mesi, Mazzini scrisse: «La Svizzera, dove il sentimento dell’eguaglianza è radicato: dove ognuno fa il suo ufficio, serve in tavola, sbarba, scopa o peggio – poi, finito quell’incarico, è vostro eguale».

L’idillio durò poco. Nel maggio del 1836 Mazzini fu arrestato, nel gennaio dell’anno successivo dovete lasciare la Svizzera alla volta di Londra. Non dimenticò la Svizzera: «L’amo come una seconda Patria. L’amo per il suo passato per il suo avvenire. Siamo stati trattati in modo indegno, in Svizzera; ma sono abituato, in accordo con le mie idee, a non contare per nulla sugli uomini del presente».

«La polizia per conto dell’Austria»

Mazzini tornò più volte in Svizzera. Nell’agosto del 1848 fuggì in Ticino, insieme ad altri 10’000 profughi, dopo la disfatta dell’esercito piemontese a Custoza. Due anni e mezzo dopo fu espulso. Tornò nel 1853, fu nuovamente coinvolto in una congiura. I suoi compagni furono arrestati, lui riuscì a fuggire.

Braccato dalla polizia, scelse il contrattacco. Inviò al quotidiano Neue Zürcher Zeitung una lettera aperta al governo federale, che accusava di fare «la polizia per conto dell’Austria». Pochi mesi dopo dovette lasciare il paese.

Mazzini soggiorno per l’ultima volta in Svizzera nel febbraio del 1872. Poi andò a Pisa, malato e in incognito. Si faceva chiamare Giorgio Brown; morì un mese dopo.

Un cittadino mancato

Mazzini aveva amato la Svizzera, a modo suo. Deluso dalle autorità, amareggiato per il trattamento riservato ai profughi, non rinnegò mai la sua fiducia nelle virtù repubblicane del popolo svizzero.

I cittadini di due comuni ricambiarono la simpatia e gli conferirono la cittadinanza, nel tentativo di evitargli un’espulsione: Grenchen nel 1836 ed Epiquerez, nel Giura bernese (oggi canton Giura), nel 1869.

«È veramente degno di essere svizzero, quali che siano le sue credenze religiose, colui che è un vero repubblicano», scrisse in quell’occasione il sindaco di Epiquerez.

In entrambi i casi le autorità cantonali bloccarono la naturalizzazione.

Giuseppe Mazzini (22 giugno 1805 – 10 marzo 1872) fu uomo politico e rivoluzionario del Risorgimento italiano.

Nato a Genova, nel 1827 divenne membro della Carboneria, un’associazione segreta con obiettivi politici (da cui sarebbero nati i susseguenti moti mazziniani).

La sua attività rivoluzionaria lo costrinse a rifugiarsi a Marsiglia dove organizzò un nuovo movimento politico chiamato «Giovane Italia». Il suo scopo era l’unione degli stati italiani in un’unica repubblica, quale unica condizione possibile della liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri.

L’obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con una insurrezione popolare. Mazzini fondò altri movimenti politici per la liberazione e l’unificazione di altri stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa.

Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall’esilio con inflessibile costanza. Tuttavia la sua importanza fu più ideologica che pratica. Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo della breve esperienza della Repubblica di Roma, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re di Sardegna e in Cavour i leader del movimento di riunificazione.

Ciò significò separare l’unificazione dell’Italia dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini. La natura politica della nuova compagine statale nata nel 1861 era ben lontana dalla repubblica sognata da Mazzini.

Mazzini non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per l’ideale democratico. Nel 1870 fu di nuovo arrestato e costretto all’esilio ma egli riuscì a rientrare sotto falso nome a Pisa dove visse fino alla sua morte (1872).

Giannino Bettone, Mazzini e la Svizzera, Pisa 1995

Giuseppe Martinola, Gli esuli italiani nel Ticino, 2 volumi, Lugano 1980/1994

Giuseppe Mazzini, Note autobiografiche, Milano 1986

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