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Le partite di calcio dalla parte degli arbitri

Novanta di minuti di concentrazione, di tensione, di corse e rincorse con un compito in più, quello di giudice di gara. Al Festival internazionale del film di Locarno un documentario rende loro giustizia. E umanità.

Il titolo inglese Kill the Referee (Uccidi l’arbitro) non è, come vedremo, casuale ed è certamente molto più incisivo dell’anonima versione francese Les Arbitres del film di Yves Hinant; un film dal ritmo travolgente che mostra la partita di pallone dalla parte degli arbitri.

Realizzato durante Euro 2008 (in Svizzera e in Austria), ha come protagonisti gli arbitri Massimo Busacca (Svizzera), Howard Webb (Inghilterra), Enrique Gonzalez Mejuto (Spagna), Roberto Rosetti (Italia) e Peter Fröjdfeldt (Svezia).

Filmate nel cuore dell’azione, le scene permettono – grazie a microfoni nascosti – di ascoltare i commenti degli arbitri durante le partite, dando così allo spettatore la possibilità di vivere un viaggio inedito e avvincente all’interno del mondo degli arbitri professionisti.

Si scoprono gesti rituali e scaramantici, si colgono attimi di vanità davanti allo specchio. Ma ciò che in assoluto traspare maggiormente sono gli stati d’animo, la tensione che accompagna i minuti prima di fischiare l’inizio della gara, l’ansia, la paura di commettere errori, l’inevitabile confronto con imprevisti e imponderabili. Insomma c’è tanta adrenalina. Il battito cardiaco accelera, anche per loro. La posta in gioco è alta, anche per loro.

Massimo Busacca… ma che tempo fa?

Le prime immagini, a tratti spassose, sono per l’arbitro ticinese Massimo Busacca. Concentratissimo negli spogliatoi, si fa il segno della croce e poi via, verso il terreno da gioco. Corre, guarda, fischia. Ad un certo punto il quarto uomo gli dice: “In città sta per piovere, fra un po’ il temporale verrà anche qui”. “Ma che cosa stai dicendo?” risponde incredulo Busacca mentre, correndo, segue l’azione in campo. Il quarto uomo insiste sulle sue notizie meteo. A quel punto l’arbitro ticinese sbotta e lo manda letteralmente a farsi benedire.

L’italiano Roberto Rosetti e la sua terna arbitrale sanno perfettamente che puntati su di loro non ci sono solo gli occhi di milioni di tifosi, ma anche gli sguardi dell’affetto, quello dei familiari che la telecamera mostra alternando le immagini in diretta della partita. Eh si, perché la vita difficile degli arbitri – esposti regolarmente ad insulti, ingiurie e pressioni – si ripercuote anche sulla famiglia.

Il documentario svela anche un’altra realtà. Gli arbitri sono una squadra, si conoscono, si aiutano, si sostengono. Ma rivaleggiano tra di loro perché ognuno vorrebbe arbitrare la finale. Così, paradossalmente, potrebbero anche fare il tifo contro la propria nazione che, accedendo alle fase finale del torneo, impedirebbe loro la grande avventura.

E’ proprio così che il sogno di Enrique Gonzalez Mejuto, si trasforma in una delusione: la sua Spagna è in finale e lui, che sta per terminare la sua carriera di arbitro, può solo guardare la partita. Mentre Massimo Busacca, uno dei candidati, abbraccia il prescelto Roberto Rosetti: “Certo che tu cominci proprio a rompere…”.

La rabbia dei tifosi e le minacce di morte

L’arbitro inglese Howard Webb, tra i migliori d’Europa, era stato selezionato per Euro 08. Motivatissimo e sostenuto da un padre orogoglioso di lui, sognava di arbitrare la finale. Ma la vita degli arbitri è fatta di molte incognite.

Sul suo caso, infatti, si innesta buona parte del film, che ispira il titolo nella versione inglese Kill the Referee. La partita è Austria-Polonia e l’Austria gioca in casa. Un’azione d’attacco molto confusa, porta a convalidare una rete polacca realizzata in fuorigioco.

Webb e i suoi guardialinee se ne rendono conto. Ma ormai è fatta. A due minuti dalla fine un difensore polacco prende un attaccante austriaco per la maglia e lo mette a terra. Webb fischia il rigore. Una decisione giusta, ma ricca di conseguenze: la rabbia dei polacchi, come un fiume in piena, si trasforma in una guerra personale contro l’arbitro inglese.

Ma ci si mette anche la politica, con il primo ministro polacco che dichiara di avere avuto la tentazione di “uccidere qualcuno”: frase esplosiva che genera nella rete minacce di morte contro Webb, compresi i suoi famigliari. I suoi colleghi arbitri e i responsabili dell’UEFA sono sconvolti, increduli. Il calcio è anche questo.

“Non siamo robot, possiamo sbagliare”

“Questo film ha il pregio di mostrare che gli arbitri non sono robot, ma esseri umani e pertanto possiamo anche sbagliare” dice apertamente lo svedese Peter Fröjdfeldt. A Locarno manca solo Massimo Busacca per confermare un sentimento condiviso da parte dei diretti protagonisti. “Noi ci prepariamo a fondo – aggiunge Roberto Rosetti – cerchiamo di arrivare nella migliore forma possibile. Con i nostri valori, la nostra etica ma anche con le nostre emozioni”.

Enrique Gonzalez Mejuto è entusiasta. Ritiene che oggi “sia un giorno importante per tutti coloro che amano il calcio. Non ho mai visto qualcosa del genere perché il filmato cambia il punto di vista degli spettatori sul nostro lavoro. Un lavoro amato, che dà prestigio, visibilità”. Ma poi basta un solo errore, e tutto diventa un inferno.

Il senso dell’operazione – riuscita – era proprio quello di cambiare prospettiva, mostrare l’arbitro per quello che è: una persona con moglie, figli, parenti, amici. Un uomo che può anche sbagliare ma che scende in campo per fare anche lui una buona partita.

E’ spettato al celeberrimo arbitro italiano Pierluigi Collina – ora designatore dei direttori di gara italiani e membro della Commissione UEFA – il compito di chiosare: “Ci vuole un bel fegato a scendere in campo sotto gli occhi di tutti e decidere in un attimo cosa fischiare. Fegato che giornalisti, tifosi e anche giocatori non è detto che abbiano”.

Françoise Gehring, Locarno, swissinfo.ch

Dopo una prima domanda depositata alla UEFA nel 2000, il produttore Jean Libon (celebre per la sua emissione Strip Tease, RTBF, France3), in occasione di Euro 2008 (il campionato europeo di calcio svoltosi in Svizzera e Austria), ottiene finalmente l’autorizzazione ad accedere al circuito chiuso dell’arbitraggio.

Attorno a Jean Libon e Yves Hinant, si sono così riuniti talenti desiderosi di creare un nuovo genere di film: la montatrice Françooise Tourmen, ma anche il designer di produzione Josh Norton (Big Star NYC), il sound designer Van Romaine (Live Wire Audio), senza dimenticare lo specialista della color correction Mike Morris.

Il documentario realizzato da Yves Hinant – che per la prima volta esplora il terreno di calcio dal punto di vista inedito dei tecnici di gara, permette di captare l’ansia di un mestiere in cui il minimo errore è sotto gli occhi di milioni di tifosi e può essere causa di gravi conseguenze.

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