Prospettive svizzere in 10 lingue

Leggermente hippy, ma rigorosa

Anno scolastico 1976/77, classe d'asilo della maestra Madeleine Herzog. Coll. David Tarallo

Dopo quasi quarant'anni di attività, nel 1983 la scuola svizzera di Firenze chiudeva definitivamente i battenti. Spariva così un'esperienza felice dal panorama educativo italiano. Ricordi e storia di un istituto cosmopolita.

Le relazioni tra alunni e insegnanti e i rapporti tra gli stessi alunni creano qui un ambiente invidiabile che vorrei potesse ripetersi in tutte le scuole, anche in Svizzera. […] Né la mancanza di spazio interno ed esterno, né la scarsità di attrezzi tecnici sono elemento che faccia diminuire l’atmosfera di serenità. Alla nostra scuola si concretizza un pezzo di quello che molti sognano: una scuola europea, scriveva nel 1980 il direttore della scuola svizzera di Firenze, Paul Zürcher.

Tre anni dopo, questa “esperienza felice” chiudeva però definitivamente i suoi battenti. E in un aula di questo istituto, dove incontriamo un ex allievo, i ricordi si animano di nuovo. «Ho frequentato questa scuola negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta», racconta David Tarallo, giornalista e autore di un saggio dal titolo “La scuola svizzera di Firenze”.

«In quel periodo, alla grande apertura mentale si sovrappose una filosofia leggermente hippy, che non significava mancanza di rigore – spiega Tarallo. Le maestre prestavano particolare attenzione ai temi dell’ambiente. Ci portavano in campagna per farci apprezzare la bellezza dell’acqua pulita, dei boschi. Avevano inoltre una grande avversione nei confronti dell’aggressività, della guerra. Noi avevamo invece la fissazione delle armi, che comparivano spesso nei nostri disegni».

Questa impostazione dell’insegnamento non fu tuttavia sufficiente per garantire il futuro all’istituto. Dopo nemmeno quarant’anni dall’apertura, avvenuta nel 1946, la scuola svizzera scomparve infatti dal panorama educativo di Firenze. «I motivi della sua chiusura furono molteplici: problemi di tipo sindacale con alcuni insegnanti, il rifiuto da parte del governo elvetico di versare ulteriori fondi per continuare l’attività didattica, la mancanza di compattezza nella stessa colonia svizzera», continua Tarallo.

Tre anni di agonia

La chiusura non giunse come un fulmine a ciel sereno. La spada di Damocle pendeva da alcuni anni sulla scuola. Nel 1979, la Confederazione informò infatti gli istituti scolastici all’estero della necessità di chiudere in pareggio i conti e di avere una quota di allievi svizzeri del 30%, richieste alle quali la scuola di Firenze non ottemperava.

Comitato e corpo insegnante cercarono di trovare modi e mezzi per abbattere il deficit preventivato. A fine febbraio la scuola inviò a Berna le sue proposte di riduzione costi, che vennero esaminate nel maggio 1980 e considerate insufficienti, scrive David Tarallo nel suo articolo. Anche il rapporto di una commissione di esperti recatasi sul posto per valutare la situazione giunse alla stessa conclusione: a Firenze mancavano i presupposti per assicurare un avvenire tranquillo.

L’agonia della scuola proseguì ancora per tre anni. Il consiglio federale accordò alla scuola contributi fino all’anno scolastico 1982/83 e inviò una sovvenzione straordinaria per coprire i precedenti debiti. Ufficialmente, la scuola chiuse il 30 giungo 1983. «Alcuni insegnanti non accettarono tuttavia questo triste destino. Nello stesso anno e all’inizio di quello seguente, si incontrarono per ricreare un’altra scuola svizzera, questa volta ufficiosa. Il progetto non sfociò però in qualcosa di concreto», spiega Tarallo.

Un sogno cullato a lungo

L’esigenza di avere un istituto scolastico elvetico risaliva già alla prima metà dell’Ottocento. Erano le famiglie svizzere emigrate nella città sull’Arno a sentirne la necessità. Nel 1838 vide la luce un istituto chiamato “dei padri di famiglia”, che negli anni migliori contava quasi una settantina di allievi e dodici insegnanti. Difficoltà finanziarie tolsero all’istituto il titolo di scuola svizzera nel 1872. Le lezioni continuarono però per altri dieci anni.

Dopo questa prima esperienza, figli e genitori dovettero armarsi di pazienza prima di poter sedere di nuovo nei banchi di un’altra scuola svizzera. Molti erano infatti i motivi che impedivano la realizzazione di questo sogno. La mancanza di un edificio adatto, il costo degli stipendi degli insegnanti, la necessità di arredi ed equipaggiamenti erano tutte cause di continui rinvii, evidenzia Tarallo.

Soltanto dopo l’istituzione dell’Associazione Scuola svizzera nel 1930 il progetto fece decisivi passi avanti. Dopo aver collaborato con la scuola tedesca, nel Dopoguerra il comitato direttivo poté finalmente acquistare uno stabile, Villa Gondi, che divenne la sede della scuola svizzera, aperta nel 1946.

Il bambino al centro

La creazione di questo nuovo istituto scolastico venne seguita con uno sguardo piuttosto critico dai fiorentini. Negli anni Quaranta e Cinquanta era vista come una scuola elitaria, per snob, anche perché all’epoca era luogo comune considerare ricchi tutti gli svizzeri. «Nei banchi di scuola sedevano però bambini appartenenti a famiglie ricche e povere», sottolinea Tarallo.

«L’attività didattica innovativa, basata su un approccio empirico al sapere, la sua grande apertura a tutti gli strati sociali e le nazionalità cambiarono in pochi anni questa opinione», prosegue Tarallo, soffermandosi poi su un aspetto altrettanto importante.

«La scuola offriva tante attività collaterali, quali lo judo, il flauto, le attività manuali, il doposcuola, la settimana verde e bianca. C’era una grande valorizzazione dei talenti di ciascuno. Ognuno era incitato a dare il meglio di sé, ma non per superare gli altri. È stato un atteggiamento che non ho più ritrovato altrove».

Attualmente all’estero ci sono 17 scuole svizzere riconosciute. Sono istituti privati delle singole comunità di svizzeri all’estero e sono sostenute, consigliate e assistite dall’Ufficio federale della cultura, i cantoni patroni e il Comitato per scuole svizzere all’estero.

Sono frequentate da 6’700 allievi circa e offrono un insegnamento secondo i principi svizzeri, permettendo ai bambini di mantenere un legame con la Svizzera e di beneficiare di un insegnamento impartito in due lingue.  In tutte le scuole è il tedesco, oltre alla lingua nazionale o all’inglese, la seconda lingua d’insegnamento.

Le prime scuole vengono fondate in Italia. Alla fine del 19° e all’inizio del 20° secolo gli svizzeri tedeschi protestanti sentono la necessità di istituire scuole proprie, aconfessionali, dove l’insegnamento è impartito in lingua tedesca.

Nel 2008/2009 e nel 2009, la Confederazione ha versato quasi 17 milioni per le scuole svizzere all’estero.

Negli anni passati le scuole sono state colpite da misure di risparmio (-12% tra il 2004 e il 2007) che hanno portato a ridurre gli stipendi degli insegnanti, aumentare le tasse scolastiche e rinunciare agli investimenti nelle infrastrutture.

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