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L’Europa brilla, gli Stati Uniti retrocedono

Convention repubblicana a Cleveland, luglio 2016. Donald Trump non ha (ancora) nessuna colpa per l'abbassamento dell'indice della democrazia negli Stati Uniti. Le cause sono piuttosto da ricercare nella sfiducia nell'establishement, ossia le stesse ragioni che hanno favorito l'elezione del nuovo presidente americano. Keystone

Gli Stati Uniti sono ormai solo una "democrazia imperfetta" – come l'Italia – e lo sono diventati già prima dell'elezione di Donald Trump. Questa è una delle sorprese dell'Indice mondiale della democrazia 2016 stilato dal gruppo britannico The Economist. Notevolmente stabile, la Svizzera è ottava.

Meno del 5% della popolazione mondiale vive in una democrazia a titolo completo. Sui 19 paesi classificati in questa categoria, 14 sono in Europa e – ironia della sorte – sette sono monarchie. Non sorprende che i primi tre e il quinto sono nordici (rispettivamente Norvegia, Islanda, Svezia, Danimarca). Al quarto posto si classifica la Nuova Zelanda, una delle cinque democrazie modello non europee, insieme a Canada, Australia, Mauritius e Uruguay.

La categoria inferiore, delle cosiddette “democrazie imperfette”, conta 57 paesi, la maggior parte dei quali in Asia, America latina, Europa dell’est e Africa, ma anche Francia, Italia, Portogallo, Belgio, Giappone e – una novità della classifica 2016 – gli Stati Uniti. I decreti liberticidi del neoletto presidente americano non c’entrano (ancora) per nulla. Secondo quanto scrive The Economist, “è piuttosto un effetto delle stesse cause che hanno portato Trump alla Casa Bianca: una continua erosione della fiducia nel governo e negli eletti in generale”.

Un’erosione che gli analisti del gruppo britannico osservano in molti altri paesi, soprattutto nell’Europa dell’est e in America latina, con l’ascesa dei populismi. Rispetto alla classifica 2015, l’indice di democrazia di 70 paesi è retrocesso, mentre quello di 38 paesi è progredito. E al solito (l’indice è stato aggiornato sette volte dal 2006), i paesi con regimi “ibridi” o “autoritari” sono la maggioranza: 91 su 167. Fanalino di coda rimane la malfamata “Repubblica popolare democratica di Corea” (del Nord).

Anche la Svizzera non è perfetta

La Svizzera, habitué dei posti d’onore, quest’anno retrocede di due posizioni e si ritrova ottava. Il paese della democrazia diretta ha tuttavia mostrato una notevole stabilità. Dal 2010, il punteggio complessivo è rimasto invariato: 9,09 su 10 (da notare che nessuno ha raggiunto la perfezione Quest’anno, la Norvegia, al primo posto, ha ottenuto 9,93 punti). In realtà, la Svizzera non è veramente regredita, sono altri che sono progrediti.

Tuttavia: il paese della democrazia diretta dovrebbe almeno essere sul podio. Perché è invece “solo” all’ottavo posto? Per capire, occorre guardare più da vicino la composizione dell’indice. Gli analisti si basano su 60 criteri, raggruppati in cinque categorie: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzionamento del governo, partecipazione politica e cultura politica. La Svizzera ottiene molto di più di 9 punti in quattro di queste categorie, ma la penultima trascina la sua media verso il basso.

Infatti, nella categoria “partecipazione”, gli svizzeri ottengono solo 7,78 sul 10. E questa categoria comprende l’adesione a partiti e altri movimenti politici, l’interesse della popolazione alla vita pubblica e, soprattutto, il tasso di partecipazione alle votazioni. Come noto, gli svizzeri votano molto spesso, ma non esattamente in massa. Dal 1971, il tasso medio di partecipazione a votazioni ed elezioni stagna attorno al 40%.

La mancanza di trasparenza nel finanziamento delle campagne per le votazioni e le elezioni, spesso denunciata dall’OCSE e dal Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) non affonda il punteggio della Svizzera. Gli indicatori su questo tema sono inclusi nella categoria “processo elettorale e pluralismo”, ovvero proprio quella in cui la Svizzera ottiene il suo punteggio più alto: 9,58.

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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