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«Ho sbagliato i miei calcoli»

Pozzi si è servito di Guglielmo Tell per meglio vendere i suoi servizi Collection Giorgio Cheda

Leonardo Pozzi non fece fortuna in Australia, analogamente a molti suoi compatrioti. L'emigrante originario dalla Valle Maggia ha tuttavia deciso di trascorrere il resto della sua vita tra lo Stato del Victoria e la Nuova Zelanda.

Nella lettera autobiografica di Pozzi sono raccolte le riflessioni di uomo che ha trascorso 50 anni lontano da casa, tra mille tribolazioni e sacrifici. L’amarezza contenuta nelle sue parole è significativa della sorte toccata a molti ticinesi che pensavano di realizzare i loro sogni in Australia.

A differenza delle altre due lettere di Leonardo Pozzi (riportate nella sezione “Viaggio verso l’ignoto”), quella spedita nel 1905 è scritta in inglese. Gli errori ortografici, la struttura delle frasi e la punteggiatura sono state mantenute nella forma originale.

Le lettere di Leonardo Pozzi sono raccolte nel doppio volume di Giorgio Cheda “L’emigrazione ticinese in Australia” (Armando Dadò Editore, 1979).

252 Johnston Street Fitzroy, Melbourne

4 gennaio 1905

Cara Josephine,

L’anno 1904 è andato per sempre e qui siamo ora nell’anno 1905 e speriamo che la salute e la prosperità si mantengano nel modo giusto per tutti noi nel passaggio del nuovo anno e per tutti gli anni futuri. La mia salute e quella della mamma è al momento piuttosto soddisfacente e speriamo che sia lo stesso per tutti i membri della famiglia.

[…] In questo periodo dell’anno c’è l’usanza di fornire un resoconto o un riassunto delle grandi cose in tutte le regioni del mondo civilizzato; se vi interessa vi posso fornire qui un riepilogo delle mie gesta private e raccontare la storia della carriera della mia vita.

Infanzia difficile

Sono nato il 18 febbraio 1831, cioè 74 anni fa. Sono nato assieme ad un fratello gemello di nome Alessandro, nel villaggio di Giumaglio, canton Ticino, Svizzera.

Quando ero un bambino la mia famiglia ha fatto in modo che non potessi vivere a lungo (…). Non essendo capace di difendere i miei diritti, sono stato privato del latte materno e per la mia sussistenza sono stato affidato ad una madre putativa, mentre il forte e sano Alessandro ha avuto tutti i privilegi della mamma. Non è stato questo una crudeltà sugli animali?

[…] Dopo tre anni di apprendistato sono andato a lavorare dal Signor Jaccard, un ortopedico di Losanna reputato a livello europeo; lì sono stato assunto per costruire apparecchi o strumenti per curare le deformazioni di persone giovani e in particolar modo di bambini, come talismo, gambe arcuate, deformazioni della spina dorsale e delle braccia,…

Il mio compenso era di quattro franchi al giorno, vitto e alloggio (cinque pasti al giorno se lo desideravi) e una mancia alla domenica. Dopo esserci stato per circa 12 mesi sono ritornato a casa (circa tre giorni di viaggio in carrozza) per andare in Australia e stare lì per solo tre anni, ovvero il tempo per fare fortuna nelle miniere d’oro e poi ritornare di nuovo a casa. Devo ammettere che ho sbagliato i miei calcoli. Il Signor Jaccard mi ha avvertito via lettera di non andare in Australia (era un buon consiglio) e di ritornare da lui, ma io ero un ragazzo troppo furbo, sai no, sapevo meglio di lui e ho rifiutato il suo buon consiglio.

Arrivo a Melbourne

[…] Così siamo approdati a Melbourne e coi nostri bagagli siamo andati a cercare un hotel. Prima di lasciare Losanna ho imparato un pochino d’inglese, di conseguenza i miei compagni sulla nave si rivolgevano sempre a me come traduttore inglese, ma io sapevo soltanto parlare un po’ e non conoscevo il significato di tutte le parole. Così mentre stavamo cercando l’hotel siamo giunti di fronte ad un edificio sulla cui porta stava un uomo. Gli ho chiesto – con prudenza – avete dei letti – pieno rispose. Ho chiesto di nuovo – avete letti – e lui ripeté – pieno, pieno, e poi dissi ai circa 40 compagni che erano con me, andiamocene, non ne ha.

Mentre ce ne stavamo andando ci fece segno di tornare indietro e ho chiesto di nuovo – avete letti – e disse sì, così tutti ci siamo fermati lì. Il proprietario dell’hotel mi offrì gentilmente qualcosa da bere, con moderazione dissi che avrei preso un bicchiere di vino, così mi ha versato un bicchiere minuscolo (…) con un gambo lungo e sottile, e lo riempì ma non interamente. Guardandolo pensai che poteva trattarsi di essenza di vino, portandolo alle labbra e bevendolo lo trovai assai poco saporito.
Lo stesso successe con il caffè all’ora del thè, quando c’era solamente una piccola caraffa di circa mezza pinta di latte per 20 persone. Ciò mi fece cattiva impressione: trovarmi in un paese povero, quando giungevo da un paese dove il vino e il latte sono bevuti in abbondanza.

Da Melbourne andai a Jim Crow, oggi chiamata Hepburn, ma prima di lasciare Melbourne il capitano della nostra nave mi offrì una buona somma in denaro, se avessi tradito i miei compagni di viaggio sulla questione del contratto di navigazione, ma rifiutai la mazzetta. A Jim Crow ho iniziato i tre anni di fortuna spingendo una carriola in un tunnel molto basso, di proprietà di mio fratello Alexander & Co. e dove mi dovevo abbassare per entrare e uscire se volevo salvare la mia testa e la sera la mia schiena mi faceva male; essendo stato un gentiluomo per mesi vi potete immaginare in che situazione mi trovavo. In nessun modo tutto questo mi ha scoraggiato nel mio tentativo di fare fortuna e poi tornare a casa dopo tre anni, ma la quantità di oro ottenuta dai minatori mi fece perdere quasi tutte le speranze di realizzare il successo previsto.

Sterline in fumo

Nel 1856, i due fratelli, Alessandro, Stefano ed io abbiamo dato avvio ad un’attività nel settore della panetteria, nella Old Race Course a Jim Crow, e dopo qualche tempo abbiamo aperto anche una drogheria. Dopo 7 mesi di questa attività tutta l’azienda è completamente bruciata e abbiamo perso circa 700 sterline (1 sterlina = 25 franchi dell’epoca, ndr) e ci lasciò in rovina.

[…] I commercianti di Melbourne e altre persone hanno insistito perché riprendessimo l’attività, perlomeno ricostruendo il magazzino. Così facemmo. Costruimmo l’edificio con tavole per le mura e il pavimento e mettendo scandole sul soffitto. Un edificio lussuoso per l’epoca. Appena terminati i lavori i commercianti ci fornirono tutto ciò di cui avevamo bisogno, e prima di avere di nuovo un buon inizio, fummo in debito con loro di circa 3000 sterline. L’attività era intensa e facevamo credito a tutti i cercatori d’oro.
Nel 1859 lasciai il negozio siccome c’erano troppe persone sgradevoli. Facendo i conti avevamo circa 2400 sterline in tre anni di lavoro, e senza la minima sicurezza. Vendendo il negozio abbiamo stabilito che a me sarebbero andate 400 sterline e le provviste rimaste, gli edifici, i cavalli e tutto il resto ai due fratelli.

Il 22 gennaio 1859 mi sono sposato con una ragazza tedesca di 18 anni, io ne avevo 28, il suo nome era Margherita Leichner di Felterweil, Germania. Siamo stati sposati da un prete cattolico obeso al Mount Franklin Hotel, ci ha fatto pagare, o derubato, 10 sterline per la performance e poi si è ubriacato e ha dormito all’hotel. Io e Lewis Tognini e John Body […] abbiamo poi acquistato il Mount Franklin Hotel per 1000 sterline e […] un dancing e una sala da biliardo nella Old Race Course per 250 sterline. Per qualche tempo abbiamo fatto ottimi affari, ma quando i lavori nelle miniere si esaurirono, anche i nostri affari cessarono. Quest’albergo era situato dove oggi c’è il Roleri Hotel, di fronte alla fonte di acqua minerale, oggi non c’è più nessuna traccia. Ho gestito gli affari nella Old Race Course, Tognini e Body quelli del Franklin Hotel. Poi la corsa (all’oro) è scoppiata a Yandoit e lì ci siamo diretti per costruire il primo albergo della zona chiamato Yandoit Hotel. Per la costruzione dell’albergo e l’arredamento abbiamo speso circa 900 sterline e 250 sterline per costruire a nostre spese una stalla, per i proprietari di carrozze Gobbs & Co. in modo che transitassero dall’hotel e ci portassero dei clienti.
La prima notte dall’apertura dell’hotel abbiamo noleggiato una band di ottoni per un ballo e abbiamo comperato del vino per 60 sterline (…). Per qualche tempo abbiamo fatto buoni affari e poi tutto finì come il Franklin Hotel.

In Nuova Zelanda per l’oro

[…] Nel febbraio 1863, siccome gli affari erano scarsi a Yandoit, ho organizzato una spedizione di cinque persone con l’intenzione di andare nei giacimenti auriferi di Otago in Nuova Zelanda. Abbiamo acquistato due cavalli da soma e due selle e ci siamo precipitati a Cadrona con l’intenzione che tre di noi sarebbero andati ad ispezionare e gli altri due avrebbero pensato ai rifornimenti e venduto materiale ai minatori. Ma le circostanze hanno fatto sì che la mia intenzione e il mio piano non si realizzassero, e invece di questo abbiamo sottoscritto una concessione al fiume Molinou a Dunstong, dove stavamo lavorando sulla sponda; ma più che altro stavamo aspettando che il livello dell’acqua scendesse, con la speranza di trovare del buon oro. Ma il fiume non si abbassò per noi e dopo aver scavato per circa 4 mesi mi sono stancato e ho fatto ritorno a Yandoit nel giugno 1863. Ho perso 90 sterline in questa speculazione.

[…] In tutte le mie speculazioni sulle miniere ho perso in totale 600 sterline, ma non ho mai ricevuto indietro un penny, a parte i pochi soldi guadagnati quando lavoravo da solo. Quindi, come potevo tornare a casa dopo tre anni come avevo previsto?

Dopo tutta questa vita a battermi ho deciso di viaggiare e andai a Hokitika in Nuova Zelanda, con le 22 sterline che mi son guadagnato facendo ritratti come un principiante, ho preso con me anche il tavolo da biliardo che avevo a Yandoit e tutti gli apparecchi fotografici. Ho lasciato la mia metà che ha sopportato con me tutte le fatiche che ho dovuto affrontare in queste colonie, e ho pure lasciato con lei a Jim Crow 4 bambini, Giglia, Matilda, Emilia e Valerio.

[…] Nel 1879 ho deciso di farla finita con le colonie australiane. Così ho messo in vendita l’hotel ed ero pronto a venderlo per 500 sterline, il prezzo che mi era costato. Mi hanno offerto 400 sterline ma rifiutai, ciò che da allora rimpiango e considero il più grande sbaglio della mia vita, se avessi preso le 400 sterline sarei andato in America parecchi anni fa. Invece ho dovuto cedere la proprietà per 100 sterline.

[…] Concludendo questa lunga lettera di storia sono felice di sapere che tutta la mia famiglia, e le loro rispettive famiglie stanno ora bene e auguro di tutto cuore un futuro di salute, felicità e prosperità alle mie cinque figlie, a mio figlio, ai miei quattro generi, a mia nuora, ai miei sei nipoti, alle mie quattro nipoti. Rimango affezionatamente vostro padre, padrino e nonno.

Leonard Pozzi

La corso all’oro in Australia inizia nel 1851, quando il prospettore Edward Hammond Hargraves scopre un giacimento vicino a Bathurst, nel Nuovo Galles del Sud. Sei mesi dopo l’oro è trovato anche a Warrandyte, Ballarat e Bendingo (Stato di Victoria).

Il prezioso metallo attira in Australia migliaia di emigranti da tutto il mondo. Nel solo 1852 approdano 370mila immigrati e nello spazio di pochi anni la popolazione dello Stato di Victoria passa da 77mila a 540mila persone.

I cercatori provengono soprattutto dall’Europa (Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Polonia, Ungheria e Svizzera), dall’America e dall’Asia (Cina).

Nei primi anni l’oro è estratto tramite il lavaggio individuale delle sabbie alluvionali. Dal 1854 bisogna cercare nelle profondità della terra, ciò che esclude dalla corsa gli emigranti con poche disponibilità finanziarie e che quindi non possono dotarsi delle attrezzature necessarie. Tra questi vi sono parecchi ticinesi.

Il periodo della febbre dell’oro è segnato dalle persecuzioni e dai maltrattamenti del popolo aborigeno, proprietario dei terreni sui quali i cercatori hanno costruito i loro accampamenti.

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