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Arte sacra dalla Terra del Drago tonante

I monaci che vegliano sulla mostra durante il rito di venerazione swissinfo.ch

Il buddismo tantrico del Buthan e le opere d'arte a cui ha dato origine tra l'VIII e il XIX secolo sono al centro di una suggestiva e singolare esposizione in corso al Museo Rietberg di Zurigo.

Già da dietro le grandi porte di vetro che ci introducono alla mostra l’imponente e coloratissimo portale in legno e l’altare decorato con gli stessi motivi catturano il nostro sguardo. E una volta all’interno è palpabile l’impressione che le sale espositive del Rietberg siano state trasportate per incanto in uno spazio sacro e lontano.

Siamo consapevoli di non trovarci dentro un tempio, eppure le piccole statue di Buddha esposte lungo le pareti, come gli stendardi dipinti appesi di fronte all’altare ci danno l’impressione di essere entrati in un luogo di riflessione e preghiera.

Del resto quelle che abbiamo di fronte non sono vere e proprie opere museali, ma in primo luogo oggetti sacri, che per la prima volta si trovano raccolti insieme in un’esposizione e che, di ritorno in patria, saranno usati nuovamente nei riti religiosi.

L’importanza del buddhismo in Bhutan

Situato nel versante sud dell’imponente catena montuosa dell’Himalaya il reame del Bhutan – che ha all’incirca la stessa superficie della Svizzera ma una popolazione 10 volte inferiore – condivide molti aspetti culturali con il Tibet, tra cui la religione.

Il buddhismo occupa un posto estremamente rilevante in questo paese ed è profondamente ancorato in ogni forma ed espressione della cultura – dalla musica, all’arte, alla danza fino alla medicina – oltre che nella vita quotidiana di tutti i suoi abitanti.

«In Bhutan, non è possibile separare la religione dalla cultura», ha dichiarato Penden Wangchuk, segretario del ministero degli affari culturali presente alla conferenza stampa indetta per presentare la mostra. «Per i bhutanesi, il buddhismo è uno stile di vita; è parte della nostra cultura».

Un segno di apertura verso il mondo

Vissuto per secoli in una sorta di isolamento volontario che l’ha reso immune al passare del tempo, è solo dal 1974 che – con giustificata diffidenza e una vigilanza estrema – il Bhutan ha aperto le proprie porte al mondo e a un numero ristrettissimo e controllato di turisti.

Ma oggi il piccolo stato himalayano si avvia con fiducia verso la modernizzazione, una modernizzazione che con un piede nel passato e un altro nel futuro protegge in modo fiero la sua antica cultura, le sue meravigliose risorse naturali e il suo stile di vita profondamente buddhista.

La mostra Arte sacra dall’Himalaya ne rappresenta un esempio. Il Rietberg è l’ultima tappa di una tournée internazionale partita nel 2007, l’esposizione costituisce un’occasione straordinaria per ammirare opere che fino al presente non avevano mai oltrepassato i confini del paese.

«Per le istituzioni religiose del Bhutan non è stato facile separarsi da queste opere», ha detto il ministro Penden Wangchuk. «Finora la scuola di pensiero indicava che tutto ciò che è sacro e antico doveva essere conservato con cura e non reso accessibile al grande pubblico. Ma questo modo di pensare sta lentamente cambiando. Noi crediamo che ogni oggetto sacro, ogni antichità di proprietà dello stato debba poter essere vista dalla popolazione che crede nella benedizione che può ricevere da questi oggetti».

Il folto olimpo del buddhismo bhutanese

Oltre che da piccole e preziose statuette e oggetti rituali la mostra è composta soprattutto dai coloratissimi Thangkas, raffinati e preziosi stendardi in cotone e seta, dipinti o ricamati, che raggiungono anche grandi dimensioni e che in patria sono conservati arrotolati e appesi sugli altari dei monasteri o portati in processione solo in occasione di particolari cerimonie o rituali.

Queste opere narrano storie prodigiose e avvincenti sia sull’origine del mondo – come ad esempio nei Mandala – che sull’affollato olimpo del buddhismo bhutanese con i suoi Bodhisattva (essere illuminati), gli Arhats (discepoli del Buddha storico Shakyamuni) e altre divinità con origini anteriori, vinte e convertite dai grandi maestri del buddhismo.

Ricche di particolari e molto suggestive sono le immagini che raccontano la vita del leggendario maestro indiano Padmasambhava, primo e più importante diffusore del buddhismo in Tibet, ovvero quello della scuola Vajarayana o buddhismo tantrico.

In Bhutan egli è venerato come un secondo Buddha ed è chiamato in modo affettuoso Guru Rinpoche, Maestro Prezioso. In questa manifestazione è rappresentato vestito come un re, con un copricapo ornato da sole e luna, segno dell’unità cosmica, e un bastone con tre teste, simbolo della vittoria sui 3 ostacoli fondamentali incontrati sulla via dell’illuminazione: la cupidigia, l’odio e l’ignoranza. Ma l’arte del Bhutan lo ritrae anche in diverse altre forme che alludono alle esperienze mistiche da lui fatte nel corso della vita.

Rituali quotidiani

Il carattere eccezionale di questa mostra è sottolineato anche dalla presenza di due monaci bhutanesi che vegliano sulle opere sacre e ogni giorno – alle 10.30 e alle 15 – compiono dei rituali all’interno dello spazio espositivo.

Quella del mattino è una cerimonia di purificazione che aiuta a ristabilire nelle sale l’armonia disturbata dagli influssi negativi che i visitatori portano con sé e serve a rafforzare l’aura spirituale delle opere esposte.

«La preghiera delle 15 è invece una cerimonia di offerta alle divinità», ci dice il giovane Lama Kinzang Thinlay. «Rivolgiamo dapprima le nostre preghiere alle maggiori divinità del Bhutan e poi alle divinità locali della regione di Zurigo. Nel nostro paese abbiamo divinità alle quali dedichiamo cerimonie di offerta perché abbiamo molti oggetti sacri che vogliamo siano protetti. Ma siamo convinti che ogni villaggio, ogni luogo, ogni montagna abbia divinità locali che bisogna rispettare e onorare per avere la loro benedizione».

Paola Beltrame, Zurigo, swissinfo.ch

La mostra si può visitare al Museo Rietberg fino al 17 ottobre 2010. Quella di Zurigo è l’ultima tappa di una tournée iniziata nel 2007. L’esposizione è stata prima a Honolulu, San Francisco, New York, Parigi e Colonia.

Organizzata dall’Accademia delle Arti di Honolulu e dal Dipartimento della cultura del ministero degli interni del Bhutan, propone 117 opere d’arte religiosa provenienti dai monasteri e templi del paese.

Completano la mostra proiezione di filmati inediti consacrati alle danze buddhiste rituali (cham) compiute dai monaci durante feste particolari e da due documentari, uno sul giro mensile di un postino (5 giorni a piedi fino alla frontiera settentrionale), l’altro sul tragitto giornaliero verso la scuola di un ragazzino di 10 anni (2 ore e 30 andata e ritorno).

È inoltre presentato il film SMS de Shanri-La (2009) di Dieter Fahrer e Lisa Röösli che intercalando il racconto di viaggio di sette musicisti svizzeri in Bhutan, presenta il ritratto di 5 bhutanesi che spiegano cosa significa per loro la felicità.

Piccolo stato himalayano che confina con Cina e India, il Bhutan si divide in 3 regioni geografiche: le alte vette della catena dell’Himalaya a nord, le colline e le valli nel centro e le pianure ai piedi delle colline a sud.

La storia del paese è fortemente marcata dal buddhismo, introdotto nella regione dell’Himalaya intorno all’8° secolo, e che nel Bhutan si è espanso grazie ai monaci tibetani che vi hanno eretto numerosi monasteri divenuti i centri culturali e politici del paese.

Nel 16° secolo il monaco tibetano Shabdrung Ngawang Namgyal riunisce le strette vallate in un singolo reame nel quale il potere viene ripartito tra un sovrano e un capo religioso. Nel 1907 il Bhutan diventa una monarchia ereditaria e nel 2008 il quinto re, Jigme Khesar Namgyel Wangchuck, introduce una monarchia costituzionale organizzando le prime elezioni legislative per eleggere i rappresentanti del parlamento.

Il Bhutan cerca di mantenere uno stile di vita tradizionale che rinforzi la coscienza culturale del paese. Persegue una strategia che mira non solo alla crescita del prodotto nazionale lordo ma anche a quello della «felicità nazionale lorda», un concetto introdotto per misurare il benessere della popolazione che ha attirato sul paese l’interesse del mondo.

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