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Berna e Washington vicine ad un accordo fiscale

Manuel Sager, un ambasciatore che a Washington non si annoia mai swissinfo.ch

Banche in difficoltà, negoziati fiscali, Iran: per Manuel Sager, il primo anno come ambasciatore svizzero negli Stati uniti è stato intenso. Intervista.

swissinfo.ch: Nel 2006, al momento di entrare in funzione, il suo predecessore dichiarò a swissinfo.ch che la priorità nei rapporti tra la Svizzera e gli Stati uniti era la lotta al terrorismo. Qual è la priorità oggi?

Manuel Sager: Sicuramente quella di chiudere le trattative riguardanti le informazioni sui conti bancari e le imposte americane. Il nostro obiettivo è evitare un conflitto tra giurisdizioni e negli ultimi mesi abbiamo fatto molti progressi.

Siamo giunti a un consenso sul quadro legale e sulla procedura da seguire per lo scambio d’informazioni. Gli USA hanno accettato il principio del rispetto delle leggi svizzere. Restano ancora alcuni problemi da risolvere, ma sono fiducioso.

swissinfo.ch: I due paesi sono vicini ad un accordo?

M. S.: Direi di sì. Certo, è sempre difficile fare delle previsioni su negoziati in corso: niente è risolto fino a quando non è tutto risolto. Penso però che ci si possa aspettare un accordo in tempi ragionevoli.

swissinfo.ch: Dopo il caso dei fondi ebraici in giacenza, il dossier riguardante le banche svizzere e i conti di cittadini statunitensi in fuga dal fisco del loro paese rappresenta senza dubbio la crisi più importante nelle relazioni tra la Svizzera e gli Stati uniti. Sapendo che ci sono voluti anni per riparare il danno d’immagine legato ai beni delle vittime dell’olocausto, crede che il contenzioso fiscale peserà a lungo sulla percezione americana della Svizzera?

M. S.: Non sono sicuro che si possa dire che la questione dei fondi ebraici abbia avuto un impatto fortissimo o perdurante nel tempo sulle relazioni tra gli svizzeri e gli statunitensi. In generale, gli americani sono bravi nel tenere separati i dossier.

Negli anni novanta si è riconosciuto che c’era un problema con la restituzione ai legittimi proprietari degli averi depositati in Svizzera dalle vittime dell’olocausto. In seguito si è trovato un accordo con le due principali banche svizzere e il caso è stato risolto nell’interesse della gente. È vero che il ricordo di questo caso è perdurato nel tempo, ma non mi pare che abbia avuto un impatto negativo sull’insieme delle relazioni bilaterali.

Per quanto riguarda il dossier fiscale, penso che sia ben presente allo spirito delle persone che, in seno all’amministrazione statunitense, se ne occupano direttamente. Ma non ha un grande impatto sull’opinione pubblica. Quando incontro i deputati al Congresso, noto che c’è una certa consapevolezza in merito al contenzioso fiscale; non ha però effetti negativi sulle discussioni riguardanti altri temi.

swissinfo.ch: La Svizzera si occupa per conto degli Stati uniti delle relazioni con l’Iran e con Cuba. Immagino che il dossier iraniano abbia generato più lavoro.

M. S.: Siamo stati particolarmente felici della soluzione trovata in settembre per il rilascio di Josh Fattal e Shane Bauer, gli ultimi due turisti americani trattenuti in Iran. Nel 2010 c’era stata la liberazione di Sarah Shourd.

L’ambasciata svizzera di Washington è stata direttamente coinvolta nell’operazione che ci ha tenuti occupati soprattutto nei mesi e nelle settimane immediatamente precedenti la liberazione. A questo proposito abbiamo avuto frequenti riunioni con il Dipartimento di stato e diversi parlamentari americani.

swissinfo.ch: L’amministrazione Obama e il Congresso hanno dimostrato di apprezzare l’impegno svizzero in Iran?

M. S.: Sì, per loro è molto importante. I membri del Congresso o dell’amministrazione accennano ai buoni uffici ogni volta che li incontro. L’impegno svizzero in favore degli interessi degli Stati uniti è una cosa che menzionano con riconoscenza. Quando gli ho presentato le mie lettere di credito, il presidente Obama mi ha ringraziato per i grandi servizi resi dalla Svizzera al suo paese in Iran.

swissinfo.ch: Lei è stato accreditato il 7 dicembre 2010. A un anno di distanza, come valuta la situazione politica ed economica degli Stati uniti, un paese che sta per affrontare le elezioni primarie in vista delle presidenziali?

M. S.: In questo momento, gli USA sono un paese molto diviso. In politica, il centro sembra perdere terreno. La situazione è esacerbata dal clima economico e dalla crisi budgetaria. Il fossato tra le entrate e le uscite non è sostenibile. In questa situazione è molto difficile trovare un’intesa. È necessario aumentare le tasse, ridurre la spesa o sostenere la crescita, oppure fare le tre cose insieme.

Inoltre c’è l’impressione – reale o no – che a perderci, o perlomeno a stagnare a causa della crisi immobiliare, sia la classe media. Questa è una novità per gli Stati uniti. Le banche sono state salvate con i soldi dei contribuenti e contemporaneamente i bonus versati nel settore finanziario sono paragonabili a quelli di prima della crisi. Questo ha fatto crescere il risentimento nella classe media, risentimento che ha alimentato il Tea Party e l’Occupy Wall Street, il movimento degli indignati statunitensi.

swissinfo.ch: Questa polarizzazione rende più difficile il suo lavoro?

M. S.: A noi interessano i risultati del processo legislativo concernente alcuni dossier dibattuti al Congresso. Uno di questi è il trattato di doppia imposizione, fondamentale per qualsiasi accordo sulla questione fiscale tra i nostri paesi. Al momento sembrano esserci degli ostacoli che riguardano questioni di fondo, ma anche le querele partigiane [tra repubblicani e democratici, n.d.r.].

swissinfo.ch: Che cosa l’appassiona del suo mestiere d’ambasciatore? E che cosa invece trova frustrante?

M. S.: Le frustrazioni sono poche. Faccio fatica a trovare degli esempi e lo dico sinceramente. Certo, ci sono dei dossier che richiedono più tempo di altri prima di giungere a una conclusione, ma fa parte del lavoro. La pazienza è una virtù, e noi diplomatici cerchiamo di coltivarla.

Stando all’estero è più difficile curare le relazioni con i membri della famiglia e gli amici rimasti in Svizzera. Mi ripaga però quello che ritengo essere uno degli aspetti più interessanti del mio lavoro: cercare nuovi contatti, curare la rete di relazioni, invitare delle persone, organizzare degli eventi all’ambasciata o alla residenza. È più di un anno che vivo qui e non ho mai passato una serata noiosa. È tutto molto stimolante. I nostri invitati sono persone estroverse, amano comunicare e desiderano condividere le loro esperienze e le loro informazioni. È un aspetto molto gratificante del mio lavoro.

Ambasciatore svizzero negli Stati uniti dal dicembre 2010.

Nato nel 1955 a Menziken, Argovia.

Dottorato in diritto all’Università di Zurigo, master alla Duke University (Durham, Carolina del Nord).

Lavora dapprima come giurista in uno studio di Phoenix, Arizona.

Intraprende la carriera diplomatica nel 1988; a Washington ricopre per la prima volta il ruolo di ambasciatore presso un governo.

È sposato da 28 anni con Christine, una statunitense diventata svizzera.

È l’ambasciata svizzera col servizio visti più importante (60 impiegati) dopo quella di Pechino (75 impiegati).

A Washington, l’ambasciata organizza 300 manifestazioni l’anno. Altre 250 vengono organizzate nel resto degli Stati uniti con la collaborazione dei consolati.

La serata svizzera è l’evento numericamente più importante dell’anno. Nel 2011 sono intervenuti 1200 invitati, un record.

L’ambasciata accoglie 10’000 visitatori l’anno.

La rete diplomatica negli Stati uniti conta, oltre all’ambasciata, cinque consolati (Atlanta, New York, Chicago, Los Angeles, San Francisco), 23 consolati onorari, una missione all’ONU, il Business Hub di Chicago e i due Swissnex di Boston e San Francisco.

Si stima che negli Stati uniti vivano 75’250 svizzeri. Solo 4’120 sono iscritti all’ambasciata. (Fonti: ambasciata svizzera e Ministero statunitense del commercio).

Traduzione, Doris Lucini

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