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Le linee rosse non sono linee morte

Claude Longchamp a mezzo busto e sullo sfondo il Palazzo federale a Berna.
La strada che porta i grandi progetti politici al successo in Svizzera rimane quella del compromesso, che non favorisce né la destra né la sinistra, rammenta il politologo Claude Longchamp. swissinfo.ch

La politica svizzera deve sciogliere un nodo quasi inestricabile. L'UE chiede il libero mercato anche per quanto riguarda gli stipendi. La Svizzera vuole andare incontro all'UE e nel contempo salvaguardare il suo elevato livello salariale. Non è certo facile trovare una soluzione a questo contenzioso, se non attraverso i negoziati.

Entro le elezioni nazionali del 2019, il governo federale intende raggiungere tre obiettivi prioritari:

● riformare l’imposizione delle imprese,

● fare almeno un passo avanti con la riforma della previdenza per la vecchiaia,

● assicurare il futuro della via bilaterale.

I primi due progetti non hanno superato lo scoglio del referendum. Se in parlamento si è riusciti a trovare una maggioranza, non è stato così invece tra votanti, che hanno bocciato i due oggetti alle urne.

Il prezzo delle rapide vittorie

Nella sua tesiCollegamento esterno di dottorato sulle strutture decisionali della politica svizzera nel 21° secolo, il politologo Manuel Fischer analizza i motivi di simili stalli: il clima politico generale favorisce lo scontro piuttosto che la ricerca del consenso. La metà delle decisioni importanti è determinata dalle alleanze, grazie alle quali è possibile imporre le proprie idee con un minimo scarto di voti e senza avere alcun riguardo per i perdenti.

In Svizzera, queste vittorie in parlamento hanno un prezzo: chi perde può ricorrere al referendum. Le possibilità di ribaltare il risultato sono infatti buone: una votazione popolare su due inverte il rapporto di maggioranza.

L’autore

Claude Longchamp è uno tra i politologi e analisti più stimati ed esperti della Svizzera.

Ha fondato l’Istituto di ricerca gfs.bernCollegamento esterno, che ha diretto fino al suo pensionamento e di cui è attualmente il presidente del Consiglio di amministrazione. Per trent’anni Longchamp ha analizzato e commentato le votazioni e le elezioni per la radiotelevisione di lingua tedesca SRF.

Per swissinfo.ch e per la sua piattaforma sulla democrazia #DearDemocracy, Longchamp scrive ogni mese un testo sulle elezioni federali 2019.

Il politologo e storico è autore di due blog: uno incentrato su temi politici, Zoonpoliticon, l’altro su argomenti di carattere storico Stadtwanderer.

Lotta con l’UE per le linee rosse

Il futuro dei bilaterali potrebbe quindi dipendere da un voto popolare.

Nonostante la profonda spaccatura tra i partiti, si è riusciti comunque a trovare un consenso sulla questione. Solo l’Unione democratica di centro (UDC) e la sua ala euroscettica, l’Azione per una Svizzera neutrale e indipendente (ASNI), sono contrarie alla via negoziale seguita dal Consiglio federale. Sostengono che saranno sempre e comunque i “giudici stranieri” a decidere.

Ora però si è aperto un nuovo cantiere su un tema particolarmente delicato: la protezione dei salari. Il dibattito è stato lanciato dal consigliere federale Ignazio CassisCollegamento esterno. Il ministro degli esteri elvetico ha affermato in un’intervista che solo un allentamento della protezione dei salari avrebbe sbloccato i negoziati con l’UE.

Le dichiarazioni di Cassis hanno sollevato un polverone.

I sindacati, sostenuti dai vertici del Partito socialista (PS), hanno minacciato di lanciare un referendum. Ed è chiaro a tutti: un attacco su due fronti, da parte della sinistra e della destra, contro l’accordo quadro, in una votazione popolare ne sancirebbe la fine. Cassis lo dovrebbe sapere.

Con il suo errore di gioventù, il ministro degli esteri, in carica ha provocato la sinistra. Cassis ha invaso una zona tabù, quella definita dalla Svizzera nell’ultima tornata negoziale.

Un’uscita, quella del consigliere federale ticinese, in carica dallo scorso novembre, che chiama in causa il partenariato sociale, garante della buona collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro e volto a evitare i conflitti di lavoro, come gli scioperi.

Coinvolgere chi ha diritto di veto, per avere successo

I sindacati sono scesi in campo per giocare questa partita imbracciando, simbolicamente, l’arma del veto. Un diritto, il cui influsso alle urne non si misura in percentuale di elettori dei partiti, bensì in possibilità di impedire a una maggioranza di fare approvare un suo oggetto in votazione.

Mostrando i muscoli, i sindacati hanno occupato una posizione vantaggiosa. In Svizzera, per ogni modifica costituzionale occorre ottenere oltre alla maggioranza del popolo anche quella dei cantoni. Inoltre, ogni argomento ha il potenziale mobilitante di gruppi referendari di partiti, partner sociali, gruppi di interesse e movimenti sociali.

I pessimisti sostengono che la Svizzera non ha più una leadership. Io sono di altro avviso e sono ottimista!

Le dichiarazioni di Cassis hanno obbligato i vari attori sulla scena politica elvetica a ribadire il loro punto di vista riguardo alla questione: il Partito liberale radicale (PLR) vuole assicurare l’accesso al mercato europeo anche senza adesione all’UE. Il Partito popolare democratico (PPD) è favorevole al nuovo accordo quadro, vuole però garanzie relative alla sovranità e all’integrazione professionale. Anche le associazioni padronali, le organizzazioni ombrello e di categoria del mondo economico sono favorevoli, in linea di principio, alla protezione dei salari.

Nella sua ultima seduta prima della pausa estiva, il Consiglio federale ha presentato i prossimi passi: in primo luogo ha confermato le linee rosse. Poi ha invitato i cantoni e i partner sociali a partecipare ad una tavola rotonda. Infine ha affidato il compito di trovare una soluzione al contenzioso all’esperto ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann. L’obiettivo è soprattutto quello di trovare il filo rosso per raggiungere un accordo.

Negoziati lontani dai riflettori

La questione rimane comunque complicata. Tuttavia il sistema politico svizzero ha sviluppato una cultura negoziale proprio per risolvere situazioni di questo tipo.

È un dialogo tra le parti che si svolge lontano dai riflettori dell’opinione pubblica. Durante questi incontri è possibile esporre apertamente i problemi legati a una questione e trovare il massimo comune denominatore. Non è certo dai mass media che si passa se si cerca un consenso.

Inoltre la Svizzera ha ottenuto buoni risultati in termini di politica europea quando si è riusciti a stabilire una certa unità d’intenti tra il PS e il PLR. La formula vincente della Svizzera in ambito di cooperazione con l’UE è la seguente: principi liberali legati alle misure d’accompagnamento. È una formula che favorisce soluzioni equilibrate, senza privilegiare né la sinistra né la destra.

Infine vanno rispettate alcune regole: i negoziati interni non sono né un’occasione per fare dell’ostruzionismo sindacale né un appuntamento per fare degli esercizi di purismo normativo. E non sono nemmeno degli incontri da sfruttare per i giochetti di partito, prima delle elezioni federali del 2019.

Senza scendere a compromessi, uno dei grandi atout della politica svizzera, anche il terzo grande progetto rischia di fallire. Il bilancio della legislatura 2015-2019 sarebbe peggiore, non migliore!

I partiti

UDC: Unione democratica di centro (destra conservatrice)

PS: Partito socialista

PLR.I Liberali: Partito liberale radicale (destra liberale)

PPD: Partito popolare democratico

PES: Partito ecologista svizzero

PVL: Partito dei Verdi liberali (centro)

PBD: Partito borghese democratico (centro)

GSS: gioventù socialista

(Traduzione dal tedesco: Luca Beti)

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