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Cile, la globalizzazione tra arte e politica

L'artista Juan Castillo ha raccolto le testimonianze di diversi cileni sul significato di una vita senza più radici. 2011 ProLitteris Zürich

La globalizzazione come oggetto di investigazione culturale: è l'ambiziosa sfida che hanno affrontato 14 artisti svizzeri e cileni in occasione del bicentenario dell'indipendenza del Cile. I loro lavori – confluiti nel progetto "Dislocación" – sono presentati al Kunstmuseum di Berna.

Quali sono le ragioni storiche della globalizzazione? E quali effetti ha sulla nostra vita quotidiana? A partire dall’esperienza del Cile, a poco più di vent’anni dalla fine della dittatura di Augusto Pinochet, 14 artisti sono stati invitati a riflettere sul tema della dislocazione e dello sradicamento.

Le loro opere hanno dato vita al progetto “Dislocación”, ideato e curato dall’artista svizzero-cilena Ingrid Wildi Merino, e presentato lo scorso anno a Santiago del Cile in occasione del bicentenario dell’indipendenza. Sostenuto dall’ambasciata elvetica e da Pro Helvetia, “Dislocación” ha ora invaso gli spazi del Kunstmuseum di Berna grazie all’allestimento di Kathleen Bühler.

«Con la globalizzazione, sempre più individui sono costretti ad abbandonare la loro terra alla ricerca di migliori condizioni economiche e sociali. Queste migrazioni rendono le strutture sociali ancor più fragili e rimettono in questione le identità culturali esistenti», spiega Ingrid Wildi Merino. «”Dislocación” propone un nuovo sguardo sui problemi causati dal neoliberalismo in Cile, quale specchio del mondo: lo sradicamento e l’esistenza apolide, i problemi legati ai deficit di integrazione, la repressione degli emarginati, l’assenza di un lavoro e di prospettive».

Tra gli artisti svizzeri che hanno partecipato al progetto spicca anche Thomas Hirschhorn, chiamato a rappresentare la Svizzera alla Biennale di Venezia, e le cui opere hanno più volte fatto gridare allo scandalo. «Con “Made in Tunnel of Politics”, Hirschhorn ha scelto di rappresentare la divisione sociale di classe attraverso un pick-up rosso della Ford, il primo “lusso” che i cileni si concedono quando hanno qualche soldo in più», commenta Kathleen Bühler. «La vettura è divisa in due e poi riunita attraverso un nastro adesivo, quasi a simboleggiare la difficoltà di un paese a far fronte al proprio passato».

Rielaborare la memoria

In Cile, la nascita del neoliberalismo coincide con l’arrivo al potere di Augusto Pinochet, nel 1973. Parallelamente alla repressione politica, il generale fu infatti tra i primi leader al mondo a mettere in pratica le teorie monetaristiche di Milton Friedman. Pochi mesi dopo il golpe, la giunta militare soppresse i movimenti sociali iniziati da Salvador Allende, vietò tutte le forme di organizzazioni popolari e sindacali, e ridusse drasticamente la spesa pubblica.

A farne le spese furono soprattutto i quartieri più poveri e le popolazioni indigene del Sud, costrette per l’appunto a dislocare, come titola la mostra. «Le conseguenze di questa politica sono ancora presenti nella memoria del popolo cileno, la sua quotidianità ne è impregnata», spiega Kathleen Bühler, curatrice al Kunstmuseum di Berna. «”Dislocacion” è dunque anche un simbolo del trauma della dittatura di Pinochet che necessità prima di tutto di un lavoro di rielaborazione storica».

E proprio da questa necessità è scaturita l’originale opera di Voluspa Jarpa che, in una “Biblioteca de la non storia”, presenta un archivio digitale di 220’000 documenti raccolti dal Dipartimento di stato americano sulla società cilena tra il 1968 e il 1991. «Si tratta di materiale di archivio, difficile da leggere e interpretare: schizzi di case o persone, fotografie segnaletiche, testi indecifrabili perché coperti da censura», spiega l’artista cilena. «Ho riunito questi documenti in 608 libri e ho deciso di dare la possibilità al pubblico di portarli via con sé. Quest’opera sarà conclusa quando in questa biblioteca non ci sarà più nulla. Resterà però una domanda: quale segno hanno lasciato queste pagine di storia? Apparentemente nessuno o almeno non ancora».

Sulla memoria e i simboli del potere gioca anche Camilo Yanez Pavez. Attraverso due installazioni video, questo artista cileno propone le immagini dello stadio nazionale della capitale, durante i lavori di rinnovo in vista dei festeggiamenti per il bicentenario. Lo stesso stadio in cui migliaia di persone furono imprigionate, picchiate, torturate ed uccise nelle settimane e nei mesi seguenti al golpe di Augusto Pinochet.

Anche l’arte è politica

Al di là dell’aspetto artistico, il progetto “Dislocacion” ha dunque anche una forte valenza politica. Una scelta coraggiosa non solo per la fondazione Pro Helvetia ma anche per lo stesso Kunstmuseum di Berna.

«Uno dei nostri obiettivi è proprio quello di affrontare delle problematiche culturali e sociali attraverso esposizioni artistiche. E in questo senso non c’è problematica più attuale dell’impatto della globalizzazione sulla nostra società», spiega Kathleen Bühler. «Attraverso l’esempio del Cile, abbiamo voluto mostrare come le decisioni economiche e politico-finanziarie hanno un impatto importante anche al di là delle frontiere nazionali. Come dire che il Cile è ovunque».

Il bicentenario, prosegue Kathleen Bühler, non è soltanto un’occasione per festeggiare, ma anche per riflettere su chi siamo e come viviamo. «Questa esposizione deve aiutarci a capire che tutto ciò che facciamo e tutto ciò che ci accade è sempre fondamentale politico. “Dislocación” spinge il pubblico a riflettere su temi di stretta attualità, favorendo una presa di coscienza collettiva. E questo è il dono più grande che un artista possa darci».

Promosso dall’ambasciata svizzera in Cile in occasione del bicentenario dell’indipendenza, il progetto “Dislocación” è stato curato dall’artista cilena Ingrid Wildi Merino, immigrata in Svizzera durante al dittatura di Augusto Pinochet.

Al progetto hanno collaborato 14 artisti svizzeri e cileni, tra cui anche Thomas Hirschhorn e la stessa Ingrid Wildi Merino.

La mostra è stata presentata nel 2010 a Santiago del Cile e riproposta nella primavera del 2011 al Kunstmuseum di Berna, grazie al sostegno della Fondazione svizzera Pro Helvetia.

La presidenza del democristiano Eduardo Frei (1964-1970) apre un’era liberale che prosegue fino all’elezione del socialista Salvador Allende nel 1970.

Spinto dalla destra cattolica, dall’economia e dagli Stati Uniti, il generale Pinochet prende il controllo del paese l’11 settembre 1973 (Allende viene trovato morto nel palazzo presidenziale).

Secondo le organizzazioni umanitarie, 3000 persone sono morte o sono sparite tra il 1973 e il 1990. Più di 30’000 sono state torturate.

Nel 1990 Augusto Pinochet cede la presidenza e si proclama senatore a vita, una carica che gli garantisce l’immunità.

Nel 1998 viene posto agli arresti domiciliari a Londra in seguito ad un mandato di arresto internazionale emesso dalla giustizia spagnola.

Dopo il ritorno in Cile nel 2000, nel 2004 la Corte suprema gli leva l’immunità per frode fiscale e nel 2005 per l’assassinio di opponenti politici. Muore nel 2006 senza essere mai stato condannato.

Nel 2006, la socialista Michelle Bachelet viene eletta presidente. Perderà le elezioni al ballottaggio quattro anni più tardi, superata dall’attuale presidente di centro-destra Sebastian Pinera.

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