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Il CICR teme un effetto boomerang

A causa del conflitto in Mali, migliaia di persone hanno attraversato la frontiera in cerca di un rifugio. Keystone

La guerra in atto in Mali potrebbe innescare nuovi conflitti anche nei paesi vicini, spiega il presidente del Comitato internazionale della Croce rossa (CICR) Peter Maurer. «Le migliaia di rifugiati che stanno attraversando le frontiere rischiano infatti di accentuare le tensioni già esistenti».

Dall’inizio della primavera araba, due anni fa, l’intera regione sahariana è stata fortemente destabilizzata: le armi in circolazione sono aumentate, così come le tensioni politiche. L’11 gennaio 2013 la Francia è intervenuta in Mali, a sostegno dell’esercito nazionale, per tentare di bloccare i gruppi islamisti del nord che volevano conquistare la capitale. Ora anche paesi come la Nigeria, la Mauritania, il Burkina Faso e il Niger rischiano di essere presi nelle maglie di questo conflitto.  

Una situazione che preoccupa il presidente del CICR Peter Maurer. Swissinfo.ch lo ha incontrato a margine del Forum economico mondiale di Davos.

swissinfo.ch: La primavera araba era stata inizialmente percepita come la premessa di una svolta positiva per l’intera regione. Ora non teme che la situazione stia volgendo al peggio?

Peter Maurer: Non sorprende il fatto che questi cambiamenti non abbiano avuto solo conseguenze positive, ma siano anche all’origine  di molti problemi. Le trasformazioni politiche e i vuoti di potere sfociano spesso situazioni di conflitto e tensione.

Ad essere toccati sono paesi come la Libia e soprattutto la regione sahariana. In questa zona vi sono sempre più armi in circolazione e stanno emergendo nuovi conflitti. È una situazione preoccupante.

Quest’anno, il CICR dovrà impiegare più risorse ed energie nella regione, perché temo che possano scoppiare nuove guerre.

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Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR)

Questo contenuto è stato pubblicato al Il Comitato internazionale della Croce Rossa è un’organizzazione umanitaria imparziale, neutrale ed indipendente basata a Ginevra. Il CICR è stato fondato nel 1863 dallo svizzero Henri Dunant. Secondo il mandato delle leggi internazionali, l’organizzazione si occupa in particolare di condurre operazioni d’assistenza ai civili in caso di conflitti e di soccorrere i feriti e i…

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swissinfo.ch: Oltre al Mali, quali altri paesi la preoccupano?

P.M.: Paesi vulnerabili come il Niger, la Mauritania, il Burkina Faso e la Nigeria stanno pagando le conseguenze dell’afflusso di migliaia di rifugiati provenienti dal Mali. Questi paesi hanno segnalato un aumento delle pressioni politiche ed economiche.

swissinfo.ch: Qual è la situazione attuale sul terreno?

P.M.: È difficile sapere come evolverà il conflitto. Alcuni combattenti sembrano essersi rifugiati semplicemente nel deserto.  Non sappiamo se ci sarà una grande battaglia.

Il nostro team è di stanza a Mopti e in altre regioni del Mali. Cerchiamo di raggiungere quelle zone che sono appena state colpite dai combattimenti. Le testimonianze indicano che vi sono famiglie costrette ad abbandonare la propria casa a causa delle violenze. Non siamo però di fronte a un esodo di massa. Per quanto riguarda i feriti, ne abbiamo visti, ma non in gran numero.

swissinfo.ch: Anche la Siria è un paese prioritario per il CICR. Come valuta la crisi attuale?

P.M.: La violenza è in aumento. La crisi umanitaria è profonda: ovunque andiamo incontriamo gente che non riesce a sovvenire ai propri bisogni vitali.

Fino a metà dello scorso anno, gli scontri erano ancora piuttosto sporadici, mentre ora sono onnipresenti. Vi sono anche gruppi che combattono per questioni religiose o etniche, che si distanziano dalle cause originali del conflitto.

Lo scorso anno siamo riusciti a distribuire acqua potabile a 15 milioni di siriani e cibo a circa tre milioni. Dovremmo fare di più, ma le attuali condizioni di sicurezza non ci permettono di accedere alle popolazioni più bisognose.

swissinfo.ch: Qualche nota positiva dai paesi toccati dalla primavera araba?

P.M.: Abbiamo visto anche molti sviluppi positivi. La situazione in Tunisia, ad esempio, fa ben sperare.

Il nostro lavoro, in ogni caso, non finisce quando inizia un processo di trasformazione democratica.

Prendiamo ad esempio la Libia. D’improvviso abbiamo avuto accesso alle prigioni e così ora abbiamo lanciato una vasta operazione per migliorare le condizioni dei detenuti. È un lavoro diverso rispetto al passato, ma ha connotazioni molto positive. Si tratta di una ridefinizione del nostro impegno umanitario e non della sua fine.

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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