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«La relazione tra islam e cristianesimo è centrale»

Gottfried Locher: «Dobbiamo comunicare di più». Sandra Dominika Sutter/SEK

La coabitazione tra le religioni può rivelarsi difficile. È la constatazione del nuovo presidente del Consiglio svizzero delle religioni Gottfried Locher. Le relazioni tra cristiani e musulmani vanno curate, afferma il bernese di 48 anni, che si dice anche preoccupato per l’aumento dei casi di antisemitismo. Intervista.

Presidente della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, Gottfried Locher è stato eletto a inizio luglio alla testa del Consiglio svizzero delle religioniCollegamento esterno. Succede al presidente della Federazione delle organizzazioni islamiche della Svizzera, Hisham Maizar, deceduto in maggio.

Un dialogo al servizio della pace

«Parlare gli uni con gli altri piuttosto che gli uni degli altri». L’obiettivo del Consiglio svizzero delle religioni (CSR) è esposto sul suo sito Internet. L’organizzazione vuole contribuire alla pace religiosa e sociale in Svizzera. Quest’organo si compone di sette personalità di religione cristiana, musulmana ed ebraica. Il CSR è stato fondato il 15 maggio 2006 su iniziativa del pastore Thomas Wipf, ex presidente del Consiglio della Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera.

swissinfo.ch: L’anno prossimo il Consiglio svizzero delle religioni (CSR) festeggia i dieci anni di attività. L’istituzione rimane tuttavia poco conosciuta dal grande pubblico. Ha intenzione di essere meno discreto?

Gottfried Locher: Sì e no. Da un lato, dobbiamo comunicare maggiormente con il pubblico. Finora abbiamo pubblicato al massimo due prese di posizione all’anno. Non è abbastanza. Dobbiamo rafforzare i nostri legami con la popolazione e dare la nostra opinione sui temi d’attualità che interessano alla gente. Dovremmo anche approfondire una tematica attraverso uno studio specifico. Il CSR deve ancora trovare il suo modo di comunicare.

D’altro lato, gli scambi interni funzionano bene ed è necessario preservare un clima protetto in seno all’organizzazione affinché i rappresentanti delle diverse religioni possano discutere liberamente tra loro. Abbiamo bisogno dei due aspetti: i dibattiti teologici interni e la comunicazione con i cittadini.

swissinfo.ch: La sua ultima presa di posizione risale agli attentati che hanno decimato la redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo, nel gennaio 2015 a Parigi. Quale è l’analisi del CSR di questo attacco?

Scuse del vescovo di Coira 

In una lettera inviata mercoledì sera a circa 800 collaboratori della Diocesi, il prelato cattolico Vitus Huonder si è scusato “nei confronti delle persone di sensibilità omosessuale” che si sono sentite ferite dal discorso da lui pronunciato a Fulda (D) il 2 agosto scorso, in cui aveva citato versetti del Vecchio Testamento che condannano a morte i gay. 

Il vescovo Huonder, noto per le sue posizioni conservatrici, aveva in particolare citato il Levitico: “Non avrai con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna: è cosa abominevole. Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro”. 

In seguito a queste citazioni, due denunce sono state presentate contro il vescovo di Coira presso il Ministero pubblico grigionese: una da parte della Federazione svizzera dei gay (Pink Cross) e l’altra da un privato cittadino. Huonder ha ora assicurato che la Chiesa non vuole escludere nessuno.

G. L.: Eravamo tutti d’accordo sulla necessità di condannare fermamente questi atti di violenza atroci. Ed è quello che abbiamo fatto. Tuttavia, questi tragici avvenimenti hanno portato i membri del Consiglio a discutere sulla libertà di espressione e sui limiti della provocazione. E su questo punto ci sono state delle divergenze.

Personalmente, trovo che si debba poter esprimere il proprio senso critico e persino fare dell’ironia o dell’umorismo nei confronti delle religioni. La democrazia ne ha bisogno. I rappresentanti di altri religioni non condividono però tutti la mia opinione, in particolare i musulmani.

La ricerca del consenso in seno al CSR è difficile, a volte addirittura impossibile. Quando non troviamo un terreno d’intesa dobbiamo spesso fare dei compromessi.

Sarebbe d’altronde sorprendente giungere facilmente a un compromesso. Ogni religione ha il suo modo di spiegare la vita. Per questo motivo, la mia priorità è di promuovere la pace tra le religioni. Non è la stessa cosa che ricercare un consenso. La pace è a volte delicata, come mostra la situazione in Medio Oriente, e il Consiglio può svolgere un ruolo per preservarla. Il suo compito è di creare un clima di discussione sano tra i rappresentanti delle religioni per permettere scambi onesti e sinceri sulle questioni da discutere.

swissinfo.ch: Quali sono i temi che dovrà affrontare il Consiglio?

G. L.: Dobbiamo innanzitutto discutere della coesistenza tra l’islam e il cristianesimo. La relazione tra queste due religioni è centrale. Hanno una storia comune difficile ed è meglio non rivivere i conflitti del passato. I musulmani in Svizzera rappresentano una parte importante della nostra popolazione. In nessun caso dobbiamo “disimparare” a vivere insieme.

Inoltre, constatiamo che gli ebrei non si sentono più a loro agio nel nostro paese. Si sentono minacciati. Il CSR deve esaminare questo problema. Non so come spiegare l’apparizione di queste tensioni, ma ho l’impressione che siano dovute al cambiamento di situazione. Una volta, la maggioranza della popolazione era cristiana, con una piccola minoranza ebrea. Attualmente, in Svizzera vive anche un’importante minoranza di musulmani. Quest’espansione dell’islam suscita timori e tensioni. Il clima generale è cambiato.

Svizzera e religioni

Secondo le cifre del censimento della popolazione del 2013 pubblicate dall’Ufficio federale di statistica, il 71% degli abitanti della Svizzera di più di 15 anni dice di essere cristiano, il 21% senza religione, il 5% musulmano, lo 0,3% ebreo e il rimanente 2,7% di altre comunità religiose.

swissinfo.ch: I timori sono anche legati al problema dell’estremismo e in particolare agli atti di violenza commessi in nome di una religione. Come reagire di fronte a queste derive?

G. L.: Il CSR è unito sulla questione dell’estremismo: bisogna combattere questo fenomeno, ma dobbiamo ancora trovare come riuscirci. In merito ai giovani che partono per lottare al fianco dello Stato Islamico, bisogna dire loro che non parteciperanno soltanto a una guerra, ma che arriveranno anche in un inferno da cui non usciranno indenni. Si tratta però soltanto di una parte dell’estremismo. È difficile sapere come lottare contro i fondamentalismi. Penso che si debba soprattutto poter parlare apertamente, senza temere di discutere di questioni delicate.

swissinfo.ch: Seguendo questa logica, il CSR non dovrebbe intervenire maggiormente nelle polemiche che toccano la Chiesa, come quella suscitata dal vescovo di Coira Vitus Huonder, che ha citato pubblicamente un passaggio della Bibbia che condanna a morte gli omosessuali?

G. L.: Di solito, su questo tipo di questioni, non prendiamo posizione. Devono dapprima essere esaminate dalla Chiesa cattolica. Il problema è interno. È quindi la Conferenza dei vescovi svizzeri a prendere posizione. Se però la polemica assume una dimensione maggiore, il CSR potrebbe discuterne. Ogni religione deve, in un primo tempo, affrontare i propri problemi, prima che noi interveniamo.

Traduzione dal francese di Luigi Jorio

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