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Il dilemma degli aiuti sulla rotta dei Balcani

Gli operatori di Medici nel Mondo effettuano circa 200 consultazioni al giorno tra i profughi che sostano a Idomeni, località greca al confine con l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Thierry Dutoit

Hanno bisogno di aiuto, ma sono solo di passaggio. Nei Balcani, i migranti a volte sostano soltanto per una decina di minuti nello stesso posto, per poi continuare il viaggio europeo. Una nuova sfida per le organizzazioni umanitarie sostenute dalla fondazione svizzera Catena della Solidarietà.

“La sfida è quella di aiutare delle persone che si spostano”. Thierry Dutoit ha coordinato l’intervento di Medici del MondoCollegamento esterno (MdM), al confine tra la Grecia e la Macedonia. L’organizzazione fornisce assistenza medica ai quasi 6’000 profughi che transitano quotidianamente da Idomeni, località ellenica al confine con l’ex Repubblica jugoslava.

“Il grosso problema è che i migranti non rimangono a lungo a Idomeni. Il loro passaggio talvolta dura solo dieci minuti e al massimo sei ore. La loro priorità è quella di attraversare il confine e proseguire il viaggio”, dice Thierry Dutoit. In così poco tempo è difficile fornire un aiuto efficace a persone che spesso hanno subito un trauma e avrebbero bisogno in particolare di un sostegno psicologico. “Per quanto riguarda la salute mentale, siamo impotenti perché non abbiamo abbastanza tempo per agire”, osserva l’operatore umanitario svizzero.

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MdM deve cercare di porre rimedio ai problemi più urgenti. L’organizzazione fornisce circa 200 consultazioni al giorno, di cui il 44% a minori. “Oltre che per le emergenze mediche, si possono fornire trattamenti per il resto del viaggio a persone con malattie croniche. Cerchiamo anche di agevolare il transito di persone in situazioni difficili grazie a un sistema di riferimento”, spiega Thierry Dutoit.

Una ripartizione contestata

Il progetto di MdM fa parte delle azioni sostenute finanziariamente dalla Catena della SolidarietàCollegamento esterno. In totale, la Fondazione svizzera ha raccolto 24,6 milioni di franchi per l’assistenza ai profughi, tramite una campagna lanciata nel mese di settembre.

La ripartizione dei fondi raccolti ha tuttavia sollevato molte critiche. Solo il 10% delle donazioni era stato inizialmente destinato a progetti di aiuto nei Balcani, mentre oltre il 90% del totale era stato previsto per progetti in corso in Siria, Iraq e nei paesi limitrofi. Una scelta che ha suscitato l’incomprensione di molti attori dell’aiuto umanitario, tra cui la Caritas.

La Catena della solidarietà ha quindi corretto il tiro. Ha così deciso di destinare 5 milioni di franchi (circa il 20%) agli aiuti ai profughi in viaggio verso l’Europa e circa 15 milioni di franchi (60%) a quelli nei paesi limitrofi della Siria. I rimanenti 4,6 milioni costituiscono una riserva da utilizzare in base all’evoluzione delle necessità. La soluzione sembra convincere: “È una buona decisione, perché permette di essere flessibili”, commenta il direttore della Caritas, Hugo Fasel, intervistato dal quotidiano Tages-Anzeiger.

Da parte sua, la Catena della solidarietà spiega che investe di più negli aiuti ai paesi confinanti con la Siria (Giordania, Turchia, Iraq e Libano), in quanto ritiene che in questa regione vi sia la parte preponderante delle necessità. In questi paesi sono ospitati più di 4 milioni di profughi, ossia il 90% dei migranti della crisi siriana.

“C’è stata un’enorme copertura mediatica del fabbisogno sulla rotta dei Balcani, ma si parla molto meno della situazione nei paesi vicini. Eppure constatiamo che ci sono ancora più necessità in questa regione, e lì i progetti sono più costosi”, precisa la portavoce della Catena della Solidarietà, Sophie Balbo.

La strategia della Fondazione è di assicurare ai rifugiati l’accesso a beni e servizi di base nei paesi di prima accoglienza, al fine di garantire loro condizioni di vita decenti ed evitare così che intraprendano il pericoloso viaggio verso l’Europa.

Flessibilità e reattività

Dato che la situazione sulla strada dei migranti è in continua evoluzione, la Catena della Solidarietà rivaluta regolarmente la ripartizione dei fondi. Gli aiuti devono essere flessibili e reattivi. “Le necessità evolvono con le popolazioni che si spostano. Occorre dunque essere in grado di cambiare posto”, commenta Sophie Balbo.

Non è facile anticipare gli spostamenti dei profughi. La chiusura di una frontiera può per esempio cambiare completamente la situazione. “Lo scorso settembre, quando l’Ungheria ha deciso di chiudere la frontiera, i rifugiati erano bloccati lì e dunque gli aiuti arrivavano lì. Successivamente, alcune persone sono ancora riuscite a passare il confine, poi ognuno se n’è andato”, racconta Sophie Balbo.

Thierry Dutoit teme che alcuni paesi (ad esempio l’Austria, che intende erigere una barriera sul confine con la Slovenia) decidano di chiudere le frontiere e che altri seguano la tendenza. “La situazione può degenerare in pochi giorni. Abbiamo già sperimentato una chiusura temporanea del confine a causa di un problema ferroviario, e in cinque ore ci siamo ritrovati tremila persone in un campo previsto per 1’500”, rammenta l’operatore umanitario.

Le organizzazioni umanitarie temono una serie di chiusure delle frontiere. Thierry Dutoit

L’inverno alle porte

L’arrivo dell’inverno e del freddo sono un’altra fonte di preoccupazione per le organizzazioni non governative. Medici del Mondo ha già iniziato a registrare casi di lieve ipotermia tra i rifugiati. La Catena della Solidarietà prevede perciò di finanziare attività mirate per rispondere alle necessità legate al freddo. “Siamo in attesa di vedere cosa propongono i nostri partner, ma siamo disposti a stanziare più soldi, ad esempio per edifici in cui i migranti possono stare al caldo”, afferma Sophie Balbo. Alcune organizzazioni prevedono di allestire rifugi riscaldati o distribuire coperte.

La responsabile per i media dell’Aiuto delle Chiese evangeliche svizzere (ACESCollegamento esterno), Joëlle Herren, che ha appena trascorso tre giorni al confine tra Serbia e Croazia, dove l’organizzazione caritativa distribuisce beni di prima necessità e generi alimentari, ha vissuto la difficoltà di una situazione che cambia da un momento all’altro. “Quando ero lì, la notte sono arrivate fino a 4’000 persone. Di fronte a un tale picco, le organizzazioni umanitarie non avevano più viveri e materiale per rispondere alla quantità di bisogni. In tali situazioni, ci si sente completamente impotenti”. L’atteggiamento dei migranti di fronte all’emergenza l’ha colpita. “Non c’è calca. I bambini non piangono. Le persone sono solidali, si aiutano a vicenda. Sono scene di incredibile dignità”.

La situazione non è facile nemmeno per gli operatori umanitari, che prestano un’assistenza delimitata, senza possibilità di monitoraggi, e che si identificano molto nei migranti. Il coordinatore per le emergenze di MdM Thierry Dutoit sottolinea: “Non siamo di fronte giovani di 25 anni, come a volte si sente dire in Europa. Si tratta di famiglie come le nostre, persone alle quali possiamo paragonarci. È come se si spostasse un villaggio svizzero”.

Catena della Solidarietà

La Catena della Solidarietà.è una fondazione svizzera che organizza collette per finanziare progetti di aiuto mirati. A tal fine collabora con la Società svizzera di radiotelevisione (SRG SSR, di cui fa parte anche swissinfo.ch) e con 25 organizzazioni umanitarie elvetiche.

Oltre a beneficiare del sostegno di radio e tv pubbliche, la fondazione collabora anche con media privati. Con i fondi raccolti, finanzia progetti delle organizzazioni partner di grande esperienza, sia per aiuti urgenti che per la riabilitazione e la ricostruzione.

Per il progetto di Medici del Mondo svizzeri a Idomeni, località greca al confine con la Macedonia, la Catena della Solidarietà ha stanziato 190mila franchi. Per l’azione dell’Aiuto delle Chiese evangeliche svizzere al confine serbo-croato, ha messo a disposizione 193mila franchi, su un budget totale di 320mila franchi per quattro mesi.

Fonte: www.catena-della-solidarieta.ch

(Traduzione dal francese: Sonia Fenazzi)

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