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Dal neoimpressionismo all’arte contemporanea

Privatbesitz, Schweiz

Prendendo le mosse dal Neoimpressionismo la nuova esposizione del Kunsthaus di Zugo mette in luce l'importanza svolta da questo movimento per l'arte del 20° secolo.

In modo curato e intelligente la mostra ricostruisce i legami tra le opere e le teorie neoimpressioniste e le più importanti posizioni dell’arte Moderna e Contemporanea.

Troppo influenzati dalle denominazioni delle categorie storiche, quando pensiamo al neoimpressionismo siamo più portati a considerarlo una fase finale e conclusiva dell’impressionismo.

La nuova esposizione del Kunsthaus di Zugo – intitolata “Guardare il vedere. Neoimpressionismo e Moderni. Da Signac a Eliasson” – propone di cambiare punto di vista. Il neoimpressionismo non viene presentato in rapporto alle correnti artistiche che l’hanno preceduto, ma piuttosto come un movimento proiettato nel futuro.

“Il punto di partenza della mostra è una collezione, mai esposta finora, che inizia dal neoimpressionismo e comprende soprattutto un gruppo di opere di Paul Signac”, spiega a swissinfo Marco Obrist, collaboratore scientifico del Kunsthaus.

“Si tratta di una collezione privata svizzera, una delle più importanti per il neoimpressionismo forse a livello mondiale. In più noi abbiamo aggiunto posizioni che ci portano fino all’arte contemporanea, al minimalismo americano di Donald Judd, Dan Flavin, fino a Olafur Eliasson.”

La pittura neoimpressionista

Le prime due sale – divise anche fisicamente dal resto della mostra – consentono al visitatore un tuffo immediato nella luminosità dei colori che hanno caratterizzato la ricerca dei neoimpressionisti.

Le bellissime opere di Georges Seurat, Paul Signac, Camille Pissarro e Maximilien Luce che troviamo qui esposte, rivelano immediatamente l’essenza della tecnica pittorica neo-impressionista chiamata ‘puntinismo, dal francese ‘pointillisme’.

Viste da vicino queste tele sembrano una sorta di mosaico composto da pennellate puntiformi di colori accostati tra loro – e non sovrapposti o mescolati. Solo se guardate ad una certa distanza il motivo diventa visibile e le immagini si ricompongono in sfumature e tonalità di colore che creano inaspettati effetti di brillantezza.

Con questa tecnica, sperimentata per la prima volta a Parigi intorno al 1880 da Georges Seurat (1859-1891), si voleva creare una pittura che tenesse conto in maniera scientificamente esatta dei fenomeni luminosi e del modo in cui gli occhi percepiscono la luce e i colori.

Alla ricerca di un ‘impressionismo scientifico’

Dopo il viaggio nel colore puro offerto dalle prime sale, la seconda parte dell’esposizione inizia proponendo al visitatore una riflessione teorica sul neoimpressionismo e sulle teorie scientifiche che più l’hanno influenzato.

Sono presentati estratti di studi sui colori e sugli effetti ottici del fisico americano Ogden Rood (1831-1902) e quelli del chimico francese Michel E. Chevreul (1786-1889) sulla ruota dei colori primari e secondari e sui contrasti simultanei, studi che prendevano le mosse dalle teorie di Newton sulla mescolanza della luce.

Nella stessa sala troviamo esposto, naturalmente, il libro “D’Eugène Delacroix au néo-impressionisme” (1899), nel quale Paul Signac (1863-1935) – raccogliendo l’eredità dell’amico Seurat, morto a soli 32 anni – formulò i fondamenti teorici del neoimpressionismo.

Partendo dalle intuizioni sulla percezione del colore formulate più di 30 anni prima dal pittore di punta del romanticismo, in questo testo Signac fonde lo sguardo artistico di Delacroix alle teorie scientifiche di Rood e Chevreul.

“Signac era interessato a come si vede, a cosa si vede, cosa ci dice il cervello, cosa ci dice l’occhio, a cosa c’è veramente sulla tela e come funziona il colore”, precisa Marco Obrist. “Questi sono temi che nel 20° secolo sono diventati importanti per artisti come Paul Lohse e Josef Albers soprattutto, che collega il tutto con l’arte del dopoguerra negli Stati Uniti.”

Verso una visione consapevole

“Signac è stato un teorico molto importante e, con questa mostra, abbiamo cercato di far vedere il suo lato moderno”, spiega Marco Obrist. “Abbiamo cercato di reinterpretarlo un po’ e di dimostrare che ha influenzato l’arte moderna e contemporanea. Infatti un Piet Mondrian, un Kandinsky, un Malewitsch, hanno avuto tutti una fase neoimpressionista prima di diventare pittori astratti.”

Nelle sale successive, questi legami con la modernità vengono sottolineati esponendo accanto a dipinti neoimpressionisti lavori di artisti via, via più recenti. Un confronto questo che permette di cogliere una sorta di progressione in cui l’immagine neoimpressionista si trasforma in un oggetto specifico (con Donald Judd e Dan Flavin), fino a diventare con James Turrel e Olafur Eliasson uno strumento di mediazione dell’esperienza.

Ciò che questa mostra sottolinea e fa vedere è che l’approccio razionale, la rinuncia ad una pittura virtuosa, il dinamismo tra dimensione estetica e fisiologica proprio dei neoimpressionisti ha portato alla perdita d’importanza dell’autore-creatore a favore di uno spettatore attivo, a cui è offerta la possibilità di diventare sempre più consapevole del suo atto di vedere.


swissinfo, Paola Beltrame, Zugo

La mostra “Guardare il vedere. Neoimpressionismo e Moderni: da Signac a Eliasson” rimarrà aperta al Kunsthaus di Zugo fino al 22 giugno. Oltre a 70 opere neoimpressioniste – ca. 50 del solo Signac – provenienti da un’importante collezione privata svizzera esposta per la prima volta, l’esposizione presenta anche una selezione di 50 lavori – dipinti, installazioni e lavori su carta – rappresentativi delle più importanti posizioni artistiche del 20° secolo.

La mostra è accompagnata da un ricco programma di concerti di musica minimalista, un fenomeno parallelo alla minimal art newyorchese di Dan Flavin o di Donald Judd. Evento di punta del programma è la presentazione della “Symphonie Monoton Silence” composta dal pittore francese Yves Klein e suonata in Svizzera per la prima volta.

Partendo dalla pratica impressionista che mescolava direttamente sulla tela pigmenti puri per donare maggior brillantezza ai colori, intorno al 1880 Georges Seurat sperimenta il “melange optique” per ottenere una pittura ancor più luminosa.
Mettendo in pratica le teorie ottiche sul contrasto simultaneo formulate da Chevreul e Rood, Seurat giustappone dei punti miniscoli di colori complementari che, grazie al meccanismo della visione, nella retina dell’osservatore si fondono creando un nuovo colore. Per ottenere un verde, ad esempio, anziché mescolare blu e giallo, Seurat giustapponeva il giallo e il blu direttamente sulla tela, lasciando così ai colori tutta la loro luminosità.
Questa tecnica chiamata “pointillisme”, base del neoimpressionismo, venne condivisa da diversi altri artisti tra cui spicca Signac che oltre all’attività pittorica si dedicò a quella di teorico. Nel suo libro “Da Delacroix al neoimpressionismo” egli segnò i fondamenti del “pointillisme” che in realtà preferiva chiamare “divisionismo” perché l’obiettivo non era fare piccoli punti ma tenere separato il colore. Il punto era un mezzo e non un fine ed effetti identici, come dimostrò lui stesso, si potevano ottenere anche accostando tratteggi.

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