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Determinata, coraggiosa e caparbia: i momenti forti della diplomazia svizzera

stemma con la croce svizzera appeso a un muro
La diplomazia svizzera, solitamente discreta, si è dimostrata in più occasioni determinata e ostinata. Qui l'ambasciata svizzera a Pechino. Keystone

La Svizzera agisce solitamente con molta prudenza in materia di politica estera. Uno sguardo al passato evidenzia però che la diplomazia elvetica ha anche dato prova di determinazione e coraggio, ciò che non ha mancato di sollevare critiche.

Di recente, il consigliere federale Ignazio Cassis ha rilasciato delle dichiarazioni sull’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi (UNRWA) che hanno fatto parecchio discutere. Inaspettate, e criticate, sono anche state le affermazioni del ministro degli esteri svizzero relative ai negoziati sull’accordo istituzionale tra Berna e Unione europea.

Si è trattato di intuizioni? Di una tattica? O semplicemente di gesti maldestri? Non lo sappiamo. Una cosa è però certa: in Svizzera, le discussioni sul modo di fare diplomazia sono ricorrenti, come dimostrano alcuni episodi eclatanti.

1. Velo: compiacenza o tutto secondo il protocollo? La visita a Teheran del 2008

Micheline Calmy-Rey col velo sul capo è seduta a un tavolo con Mahmud Ahmadinejad
La ministra degli esteri svizzera Micheline Calmy-Rey durante l’incontro a Teheran con il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, il 17 marzo 2008. Keystone

Nel 2008, Micheline Calmy-ReyCollegamento esterno è stata la prima ministra degli affari esteri occidentale a recarsi in Iran per incontrare l’allora presidente Mahmud Ahmadinejad. Scopo principale della visita era di suggellare l’accordo sulla fornitura di gas tra il gruppo energetico svizzero Axpo e un’azienda iraniana. Per l’occasione, la ministra si era presentata con il capo ricoperto da un ampio velo bianco.

Un gesto che in Svizzera aveva sollevato un’ondata di proteste, alimentata dalle dichiarazioni di politici di vari partiti.

“Non è necessario indossare un velo”, aveva detto Christine Egerszegi del Partito liberale radicale. Christophe Darbellay, allora presidente del Partito popolare democratico, aveva persino chiesto alla consigliera federale socialista di spiegare “l’imbarazzante genuflessione al cospetto di Ahmadinejad” di fronte alla commissione parlamentare della politica estera.

Contrariamente all’Arabia Saudita, in Iran la legge obbliga le donne di qualsiasi religione a portare il velo. I sostenitori di Calmy-Rey avevano così affermato che senza quel gesto, il presidente iraniano non avrebbe avuto nemmeno il diritto di accogliere la ministra svizzera.

La controversia sulla visita di Calmy-Rey era andata oltre la questione del velo. Gli Stati Uniti avevano infatti rimproverato alla Svizzera di aver concluso un accordo sul gas in violazione delle sanzioni imposte dalle Nazioni Unite e da Washington. La reazione della ministra degli esteri elvetica non era tardata: “La Svizzera non deve chiedere l’autorizzazione degli Stati Uniti”.

L’accordo non è comunque mai entrato in vigore e nel 2016 è stato definitamente accantonato poiché le parti non sono riuscite a trovare un’intesa sul prezzo e il trasporto.

2. Intuito del ministro degli esteri Petitpierre: il riconoscimento della Repubblica popolare cinese già nel 1950

due uomini discutono seduti a un tavolo
Il consigliere federale Max Petitpierre (a destra) con l’ambasciatore Walter Stucki durante la conferenza degli ambasciatori del 1949 a Berna. Swiss Federal Archive

La Svizzera è stata tra i primi Stati occidentali ad aver riconosciuto la Repubblica popolare cinese, tre mesi dopo l’ascesa al potere del Partito comunista, nell’ottobre 1949.

A rendere quell’atto particolarmente insolito è il fatto che la Svizzera abbia preceduto di alcuni decenni numerose potenze occidentali, così come le Nazioni Unite (l’ONU ha riconosciuto la Repubblica popolare cinese soltanto nel 1971, gli Stati Uniti nel 1979). All’epoca, il governo svizzero agiva soprattutto in base al diritto internazionale e al pragmatismo politico, tralasciando le considerazioni ideologiche.

A sorprendere è anche stata la decisione della Svizzera di riconoscere esplicitamente non soltanto la Cina in quanto Stato, ma pure il suo governo. Un passo alquanto inusuale per la politica estera elvetica.

Per la Confederazione, gli interessi in giocoCollegamento esterno erano concreti. La sorte dei missionari imprigionati in Cina, la ristretta libertà di movimento degli imprenditori elvetici e gli indennizzi finanziari per gli investimenti svizzeri danneggiati dalla guerra sono stati dei buoni motivi per normalizzare rapidamente le relazioni tra i due paesi.

Le reazioni della stampa elvetica sono state divergenti. Da una parte, c’era chi affermava che ad essere importanti per la Svizzera erano le opportunità economiche. Dall’altra, venivano invece abbozzati dei parallelismi con il controverso riconoscimento del regime di Franco in Spagna.

Quello elvetico è comunque stato un passo coraggioso che ha dato i suoi frutti. All’epoca, nessuno poteva prevedere per quanto tempo il governo comunista guidato da Mao Tse Tung sarebbe rimasto al potere. Inoltre stava per scoppiare la guerra di Corea. Ciononostante, il ministro degli esteri Max PetitpierreCollegamento esterno era convinto che un celere riconoscimento avrebbe comportato vantaggi per la comunità svizzera in Cina e per gli interessi economici del paese.

Ancora oggi, questa decisione diplomatica è molto apprezzata nella Repubblica popolare cinese.

3. La precipitazione della Svizzera nel riconoscere il Kosovo nel 2008

una donna sorridente davanti a un uomo con la testa abbassata
La consigliera federale Micheline Calmy-Rey assieme al primo ministro kosovaro Hashim Thaci, il 28 marzo 2008 a Pristina. Keystone

Già nel 2005, la Svizzera è stata tra i primi paesi a esprimersi in favore dell’indipendenza del Kosovo, offrendosi come mediatrice per un eventuale dialogo tra Pristina e Belgrado. All’epoca, la Svizzera è stata l’unica nazione, oltre agli Stati Uniti e alla Danimarca, a manifestare sin dall’inizio una posizione così chiara.

Non sono mancate le critiche. Josef Lang, deputato ecologista, aveva presentato un’interpellanzaCollegamento esterno in parlamento in cui sosteneva che la presa di posizione prematura sull’indipendenza del Kosovo avrebbero potuto mettere a repentaglio i progetti per il promovimento civile della pace e compromettere i buoni uffici della Svizzera.

Il pieno riconoscimento del Kosovo da parte della Svizzera nel 2008 è stato sorprendente, se paragonato con il tradizionale ritegno elvetico in materia di controverse questioni di diritto internazionale. I partiti di governo, con l’eccezione dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice), hanno accolto la decisione con una certa riluttanza. Per gli esponenti dell’UDC Hans Fehr e Oskar Freysinger, la Svizzera, in quanto paese neutrale, non avrebbe dovuto manifestarsi prematuramente, dal momento che la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo non era conforme al diritto internazionale.

Nel 2010, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha però stabilito la legittimità della separazione del Kosovo dalla Serbia.

4. I tentativi di mediazione del consigliere federale Arthur Hoffmann si spingono troppo in là

sei uomini con mantello e cilindro sono allineati sulla strada in una foto in bianco e nero
Arthur Hoffmann (terzo da sinistra) durante una parata militare a Berna nel 1917. wikicommons.org

Arthur HoffmannCollegamento esterno, che secondo l’ambasciatore Paul Widmer è stato “il consigliere federale più potente che la Svizzera abbia mai avuto”, era noto per la sua volontà di mediazione e la sua rete di contatti.

Durante la Prima guerra mondiale ha tentato ripetutamente di posizionare la Svizzera quale mediatrice tra le parti in conflitto, contravvenendo alla rigida neutralità elvetica che egli stesso aveva pubblicamente proclamato. Già nel 1915 aveva contattato il presidente statunitense Wilson e, un anno più tardi, vari politici dell’opposizione francese.

Nel 1917, il suo impegno si è però spinto troppo in là: il tentativo di mediare, assieme al deputato socialista Robert Grimm, tra la Germania e la Russia, è stato interpretato da Francia e Gran Bretagna come un atto favorevole ai tedeschi. Hoffmann voleva favorire una pace separata, in violazione dei fondamenti della neutralità.

Le accuse sono state dure e in molti hanno descritto Hofmann come il “traditore amico dei tedeschi”. Confrontato con una forte pressione interna, Hoffmann è stato costretto a rassegnare le dimissioni.

5. Il forte gesto simbolico di Micheline Calmy-Rey in Corea

folla di persone attorno a micheline calmy rey donna vestita di rosso
Micheline Calmy-Rey ascolta una canzone svizzera cantata da un coro coreano, il 22 maggio 2003. Keystone

L’attraversamento della frontiera tra la Corea del Nord e la Corea del Sud, nel maggio 2003, è stata una delle prime azioni di grande impatto dell’allora neoeletta ministra degli affari esteri.

Il gesto ha segnato l’inizio di quella che Micheline Calmy-Rey aveva definito una politica di neutralità attiva. L’obiettivo era di riproporre la Svizzera quale paese mediatore impegnato. All’eco positiva suscitata in Corea e in Cina si sono contrapposte le critiche, a volte veementi, in Svizzera.

Il viaggio in Cina e Corea era tuttavia già stato previsto da Joseph Deiss, predecessore di Calmy-Rey. Un viaggio che è poi stato accolto positivamente da Pechino e dalle due Coree.

Traduzione e adattamento dal tedesco di Luigi Jorio

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