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Un secondo referendum sulla Brexit? Cosa insegna la Svizzera sui voti ripetuti

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Regno Unito e UE, la velocità con cui si allontanano l'uno dall'altra non è proprio quella del levriero. Copyright 2019 The Associated Press. All Rights Reserved

Tre anni dopo il voto sull'uscita dall'Unione Europea, il Regno Unito è ancora molto polarizzato sulla Brexit. Un secondo referendum curerebbe le divisioni o ne creerebbe altre? La democrazia svizzera potrebbe insegnare qualcosa, dicono gli esperti.

Mentre il Regno Unito si dirige verso nuove elezioni generali, la possibilità di un secondo referendum è ancora sul tavolo. Il premier Boris Johnson non ha intenzione di indirlo ma, se dopo il 12 dicembre continuasse a guidare il paese senza una chiara maggioranza parlamentare, potrebbe non avere opzioni migliori.

I laburisti, nel frattempo, dichiarano che se andassero al potere lo indirebbero sicuramente. Secondo un recente sondaggio di YouGovCollegamento esterno, il 47% della popolazione sarebbe a favore di un voto su un accordo di uscita, il 29% contro.

Cosa significherebbe una seconda votazione per la democrazia?

Non è difficile immaginare che una simile decisione verrebbe definita da molti come una scorrettezza e un tradimento della volontà popolare. Davanti a Westminster, molti manifesti sottolineano che questo sarebbe già successo.

Patrick Emmenegger, professore di politica comparata all’Università di San Gallo, ritiene che tutto dipende dal modo in cui un eventuale voto verrà formulato.

“Quali sono le ragioni per indire un secondo referendum?”, si domanda. “Creerebbe ponti in un paese diviso? Chiederebbe di riconsiderare l’uscita dall’UE oppure di scegliere tra una Brexit ‘dura’ e una con un accordo?” 

Secondo il professore, la soluzione sarebbe quella di non presentare il voto come un sotterfugio per rovesciare una decisione sbagliata, o considerata tale dal 48% di “Remainers”. Dovrebbe invece dare ai cittadini la facoltà di esprimersi sull’accordo emerso dopo lunghi negoziati e che – indipendentemente dalla forma finale che avrà – sarà lontano dal semplice ‘fuori dall’UE’ deciso nel 2016. 

La democrazia diretta è spesso un modo di “legittimare un compromesso”, spiega Emmenegger – non quello di creare una situazione di “vincitori e vinti” per l’eternità, che sarebbe un approccio poco “svizzero”.

Bruno Kaufmann, attivista per la democrazia diretta e collaboratore di swissinfo.ch, è d’accordo. Ritiene che il problema del referendum sulla Brexit è che si è trattato di un “voto pre-negoziati”: non ha offerto una scelta chiara e dettagliata, ma è stato un modo di tastare il polso della popolazione che ha poi però dato origine a un “enorme voglia di strafare” da parte dei politici.

Kaufmann difende la scelta dei britannici del 2016, che a suo avviso non era priva di fondamento, come invece ritengono alcuni. Era basata sull’esperienza reale di decenni di partecipazione all’Unione Europea. Tuttavia, ritiene che un “voto di conferma” su un accordo ben definito potrebbe aiutare a creare legittimità, nonostante l’alta probabilità che un tale ritorno alle urne venga politicizzato e inasprisca gli animi.

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La Brexit elvetica: nel 1992, poco più della metà dei votanti svizzeri non ha voluto entrare nello Spazio economico europeo. Keystone / Str

Una storia in vero stile Brexit

In Svizzera, dove i cittadini votano molto spesso e la democrazia diretta è un meccanismo ben oliato, repliche e adattamenti sono abbastanza comuni.

Il caso più controverso riguarda la votazione federale del febbraio 2014, quando il 50,3% dei votanti ha approvato un’iniziativa per frenare l’immigrazione dall’Unione Europea. Una storia “in vero stile Brexit”, dice Emmenegger. Come con la Brexit, il risultato così tirato ha messo il paese nei pasticci.

Nonostante non faccia parte dell’UE, la Svizzera ha legami molto stretti con l’Unione, nonché numerosissimi accordi e intese, tra cui anche la libera circolazione delle persone.

E così, dopo anni spesi per mettersi d’accordo con Bruxelles, il parlamento svizzero ha implementato una versione “light” dell’iniziativa che non prevede né muri, né quote, ma chiede semplicemente alle aziende di segnalare i posti vacanti agli uffici regionali di collocamento svizzeri prima di rendere l’offerta accessibile a tutti.

Questa “tiepida” implementazione si avvicina quasi a una non implementazione, dice Emmenegger. Le accuse di tradimento della volontà popolare sono state molte. Un politologo ha pure tentato di opporsi alla decisione con un referendum – non perché fosse anti-europeista, ma per rispetto dei principi democratici. 

L’implementazione non è stata però combattuta dal partito che aveva lanciato l’iniziativa, l’Unione democratica di centro (Udc, destra conservatrice), anche se avrebbe potuto farlo.,Gli oppositori si sono invece riuniti, hanno osservato il contesto e hanno raccolto e consegnato le 100’000 firme necessarie a portare alle urne una proposta simile, ma più estrema: abolire interamente la libera circolazione. 

Quindi la problematica permane. Ma non ha (del tutto) polarizzato il paese, ed è stata ridotta a una questione essenziale, sottintesa ma non esplicita nel 2014: la Svizzera deve sbarazzarsi di questo specifico accordo con l’UE? I cittadini dovranno esprimersi ancora una volta.


Che lezioni può trarre il Regno unito post-Brexit dalla democrazia elvetica? E che impatto hanno le attuali difficoltà britanniche sulla percezione della democrazia diretta in Svizzera e altrove? Queste e altre tematiche saranno discusse durante l’incontro pubblico “Brexit and Beyond: Limits and Potential of Direct Democracy”, organizzato il 3 dicembre da swissinfo.ch con l’Università di San Gallo. Interverranno Patrick Emmenegger, Bruno Kaufmann, e la corrispondente della Radiotelevisione svizzero-tedesca Henriette Engberson. I biglietti possono essere prenotati a questo linkCollegamento esterno.

 Se non è buona la prima …

Un tema emerso due volte in due anni è la riforma della fiscalità delle imprese. Sotto pressione per uniformarsi agli standard internazionali sulla correttezza fiscale e sulla lotta all’evasione, il governo svizzero aveva proposto un pacchetto di misure che è stato sottoposto a referendum nel febbraio del 2017.

Il piano è stato respinto e il governo si è trovato nuovamente alle prese con un grattacapo democratico: la volontà popolare era chiaramente opposta alle necessità della cooperazione internazionale – una rete di obblighi dalla quale può essere difficile e dannoso districarsi. 

La soluzione? Riformulare la domanda e riproporla alla popolazione due anni dopo, questa volta assicurandosi che ci sia più sostegno da parte dei partiti (specialmente i socialisti, che la prima volta si erano opposti) e, in particolare, legando il tema a un altro dossier scottante: la riforma delle pensioni.

Le critiche non sono mancate: sia perché il tema è stato portato alle urne due volte in due anni, sia a causa dell’unione artificiosa di due questioni politiche considerate separate.

Ma nonostante questo “innaturale” legame, Kaufmann ritiene che i negoziati e le modifiche forgiate in Parlamento contribuiscano in modo determinante al successo della democrazia svizzera. 
La riforma fiscale era considerata come qualcosa che semplicemente andava fatto, spiega l’esperto. 

La questione non era il “se”, ma il “come”. E così si è cercato una formula politica da presentare ai cittadini – che avrebbero avuto tutto il diritto di opporsi alla riforma qualora ritenessero che il “dolcificante” delle pensioni fosse in realtà solo un subdolo stratagemma. 

Così non è stato. La riforma è stata accettata e ora (per un’altra bizzarria del sistema elvetico) ogni cantone voterà sul proprio modo di implementare il nuovo sistema di tassazione.

Tutti vincenti?

Questi non sono casi isolati. Le tematiche da affrontare si presentano e ripresentano in continuazione in Svizzera: congedo maternità, immigrazione, riforma elettorale. Non ci sono regole ferree che stabiliscono quando un voto è vincolante sul lungo periodo e quando invece può essere rivisto.

Confrontato con l’idea che votare ancora sulla Brexit sia un tradimento della democrazia, Emmenegger è chiaro: “Una vittoria alle urne con il 52% non può essere considerata totale e definitiva. Trattare chi la pensa diversamente come un nemico pubblico è una visione stretta e egoistica della democrazia”, dice.

Quello che riesce al modello svizzero – con l’impulso della popolazione, il lavoro del parlamento e votazioni regolari – è far sì che si crei una situazione nella quale non ci sono “vincitori e vinti”, dice Kaufmann. O meglio, quando ci sono i vinti, sono “vinti felici”, perché sono comunque inclusi nel processo decisionale.

In contrasto, la storica mancanza di esperienza del Regno Unito nel campo della democrazia diretta ha lasciato il paese polarizzato in seguito al voto del 2016, che Kaufmann ritiene si dovrebbe considerare come un’espressione dell'”opinione generale” della popolazione – una consultazione anziché un referendum vincolante.

È difficile valutare al momento se la situazione si calmerà. Alcuni sperano che dalla vicenda Brexit nasca un salutare appetito per la partecipazione democratica. Kaufmann ritiene che abbia già condotto ad un cambiamento di paradigma: più persone hanno trovato la propria voce. 

Per ora, tuttavia, “il problema con la politica britannica rimane che la maggioranza delle persone ci perde, mentre sono in pochi a vincere”, dice.

traduzione dall’inglese, Zeno Zoccatelli

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