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Quando i cittadini sono affetti della “sindrome Nimby”

In otto dei 17 comuni di montagna grigionesi e ticinesi convolti nel piano di creazione del Parc Adula, la maggioranza dei votanti ha rifiutato il progetto, nel timore che vivere in un parco nazionale avrebbe comportato troppe restrizioni. L'Alp Ürbell, in Val Malvaglia (Ticino), uno dei territori interessati dal progetto, rimane comunque un bellissimo paesaggio alpino. Keystone

La Svizzera è caratterizzata da una forte democrazia locale. Al punto che un numero ristretto di elettori può affossare un progetto importante per molti altri cittadini o persino per tutto il paese. Per esempio, di recente sono bastati quattro piccoli comuni montani per far pendere l'ago della bilancia dalla parte del no alla creazione di un secondo parco nazionale svizzero. Vero dilemma della democrazia o importante meccanismo di protezione?

27 novembre 2016: i cittadini di 17 comuni di montagna nei cantoni dei Grigioni e del Ticino votano sul piano di creazione sul proprio territorio del Parc Adula. Per dare il via alla procedura di realizzazione occorre il sì popolare di almeno 13 comuni. Ma solo in nove comuni la maggioranza dell’elettorato si pronuncia in favore, mentre negli altri otto la maggioranza si oppone. In altri termini quattro comuni sono bastati a fare la differenza per seppellire il progetto di dar vita a quello che sarebbe dovuto diventare il secondo parco nazionale in Svizzera.

Questo contributo fa parte di #DearDemocracy, la piattaforma di swissinfo.ch sulla democrazia diretta.

Una sorte analoga, sempre quest’anno, è toccato al progetto di realizzare la prossima esposizione nazionale svizzera nelle regioni che si affacciano sul Lago di Costanza fino al massiccio del Säntis, promosso dai tre cantoni interessati. Mentre Appenzello Esterno si dice partente, la maggioranza dei votanti nei cantoni di San Gallo e di Turgovia, in giugno, boccia un credito complessivo di 10 milioni di franchi per uno studio di fattibilità della futura Expo 2027. La prevista “Spedizione 27” si conclude dunque ancor prima di prendere il via.

Fossato tra interessi locali e nazionali

Si tratta di un fenomeno che il politologo bernese Adrian Vatter riassume con la nota formula “Not in my backyard!” (“Non nel mio cortile”, conosciuta anche come acronimo “Nimby”). Il fenomeno – ricorda il professore dell’università di Berna – si presenta soprattutto di fronte a progetti che riguardano beni e servizi pubblici. Vale a dire grandi progetti infrastrutturali come autostrade, ferrovie o impianti di incenerimento dei rifiuti.

Una visione ariosa: in realtà l’Expo 2027 nella regione della Svizzera orientale tra il Lago di Costanza e il massiccio del Säntis non ci sarà. La maggioranza dei votanti dei cantoni di San Gallo e Turgovia ha stroncato il progetto sul nascere, rifiutando il credito per uno studio di fattibilità. Hosoya Schaefer Architects/Plinio Bachmann/Studio Vulkan

Un esempio per antonomasia è il luogo per il deposito finale delle scorie radioattive delle cinque centrali nucleari svizzere. Quasi tutti vogliono elettricità a buon mercato, ma nessuno vuole le scorie.

Congestione del traffico, rumore dei lavori di costruzione, rischi ambientali: il tratto comune dei progetti tipicamente caratterizzati dalla cosiddetta “sindrome Nimby” è che la popolazione locale fa un bilancio costi-benefici diverso rispetto da quello del resto del paese. In altri termini, i diretti interessati ritengono di essere coloro che dovrebbero principalmente sopportare i costi, mentre la popolazione che vive più lontana dall’infrastruttura in questione godrebbe essenzialmente dei benefici.

Le forbici spaziali funzionano anche in senso inverso. Per esempio, quando una regione beneficia della costruzione di una strada nazionale, sotto forma di una migliore gestione e di un alleggerimento del traffico di transito, il resto della collettività si lamenta del fatto che il costo è assunto dalla Confederazione, ossia di tutta la popolazione elvetica.

Decisioni avvedute grazie al diritto di veto

A Sarah Bütikofer non piace che si parli di un dilemma per la democrazia, quando alcuni interessati a livello locale decidono su progetti di portata più vasta. “Certo, sappiamo come il popolo dei cantoni e dei comuni in questione ha votato, ma non quale sarebbe stato l’esito di una votazione dell’insieme della Svizzera”, osserva la politologa e direttrice di DeFacto, la piattaforma della ricerca svizzera di scienze politiche.

Anche Andreas Gross, politologo che è stato per anni deputato della Camera del popolo svizzera e membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, non parla di un vero e proprio dilemma. “Si tratta piuttosto dell’espressione della preoccupazione secondo cui un progetto di grandi dimensioni non può essere attuato senza tener conto della volontà la popolazione più direttamente interessata”.

Secondo il noto esperto di democrazia diretta, il diritto di veto è “espressione di una buona e avveduta decisione”. Questo diritto di veto di una parte dei diretti interessati mostra che anche la democrazia diretta è più del diritto delle maggioranze, aggiunge Andreas Gross.

Dove saranno immagazzinate le scorie radioattive delle centrali atomiche svizzere? Dopo decenni di discussioni, il luogo di ubicazione del deposito finale non è ancora stato trovato. Keystone

Anticipare le preoccupazioni locali

A suo avviso, il diritto di veto ha spesso come conseguenza il fatto che un progetto sia elaborato in modo molto articolato, cosicché viene prestata particolare attenzione alle legittime preoccupazioni di determinati interessati. L’intento è di evitare che la popolazione locale si opponga al progetto.

Pure per il politologo Sandro Lüscher, dell’università di Zurigo, è legittimo che gli interessi della popolazione locale siano attentamente ponderati, dal momento che “è la più direttamente toccata dagli effetti del progetto in questione. Sia in senso positivo che negativo”.

Realizzare un progetto contro la volontà della popolazione locale, in modo per così dire machiavellico, “sarebbe contrario alla cultura democratica di negoziazione, così come la conosciamo e la viviamo. E questo lederebbe permanentemente la fiducia nelle autorità locali”, rileva.

Una questione di responsabilità

Ovviamente, per la Svizzera non è una catastrofe se non si creerà il Parc Adula e se non vi sarà un’Expo 2027. Ma cosa succederebbe se tutte le potenziali località con un luogo adatto per il deposito finale delle scorie nucleari si opponessero risolutamente? E se fossero disposte a difendere con tutti i mezzi possibili “il proprio cortile”?

Questo articolo fa parte di un bilancio in tre parti di #DearDemocracy del turbolento anno democratico 2016.

Gli altri due contributi sono l’analisi di Bruno Kaufmann, “Democrazia nel 2016: (quasi) tutto è bene quel che finisce bene“, pubblicata il 6 dicembre, e quella di Claude Longchamp, “I dieci principali intoppi della democrazia nel 2016“, pubblicata il 26 dicembre.

Gli interessi spesso fondamentalmente divergenti non sono completamente conciliabili, puntualizza Adrian Vatter. “Ma i conflitti possono essere almeno in parte attenuati, se nei processi di partecipazione regionali e locali sono rispettati fino alla fine i criteri più importanti, quali il coinvolgimento tempestivo della popolazione locale, la trasparenza, l’equità, la sostenibilità e la sicurezza delle aspettative”.

Vatter mette a disposizione il suo know-how per lo sviluppo di un modello di tale processo, come responsabile del progetto di ricerca “Politica di smaltimento su base partecipativaCollegamento esterno“. L’obiettivo è di ancorare i criteri summenzionati nella procedura di selezione del sito per un deposito finale per le scorie radioattive, in corso da decenni.

Ragion d’essere della politica democratica consensuale

Per Andreas Gross, è essenziale che tutti i partecipanti si preoccupino di compensare gli effetti negativi fin dall’inizio e che si consentano particolari vantaggi per coloro che ne sono toccati. “Così, questi ultimi prenderebbero forse seriamente in considerazione la possibilità di accollarsi uno svantaggio, in nome dell’interesse generale”.

Anche secondo Sandro Lüscher, è impossibile superare completamente le divergenze di interessi. “Almeno non senza limitare la sovranità politica locale. E ciò credo che sia fondamentalmente sbagliato e pericoloso, poiché la soluzione di conflitti di interesse è proprio la ragion d’essere della politica democratica del consenso. “Tali conflitti non si risolvono ignorandoli, bensì con la faticosa e laboriosa opera di persuasione, senza alcuna garanzia di successo”.

Quindi, cosa deve contare di più nel sistema politico della Svizzera: la voce della popolazione locale o l’interesse superiore della collettività? Questo deve essere soppesato ogni volta in funzione della questione concreta, afferma Sarah Bütikofer. “Ma ci sono principi imperativi che non sono negoziabili”. Ciò vale in particolare per i diritti umani, la tutela delle risorse naturali e il rispetto della Costituzione”.

Sandro Lüscher dà la priorità “chiaramente agli interessi della popolazione locale. Almeno fintanto che l’interesse superiore non è motivato da una situazione di emergenza, come nel caso del deposito finale per scorie radioattive”.

Per Andreas Gross, gli interessi della popolazione direttamente toccata e l’interesse generale si controbilanciano. “Ma se non riesco a convincere la popolazione locale particolarmente toccata, potrebbe significare che non vi sia veramente un interesse generale.” Ci sono numerosi modi per compensare gli effetti negativi, ossia compensare con privilegi. “Se non ci riesco, allora potrebbe significare che c’è davvero qualcosa di sospetto. O non tengo conto dei diretti interessati, e allora hanno ragione se fanno opposizione”.

Scrivete all’autore su Twitter: @RenatKuenziCollegamento esterno

Un forte potere democratico a livello comunale è positivo o negativo? Scriveteci la vostra opinione nei commenti.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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