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Una democrazia costantemente in bilico

Nonostante i toni accesi, al Forum mondiale sulla democrazia diretta moderna 2015 svoltosi a Tunisi, i rappresentanti dei partiti tunisini hanno dato prova di grande rispetto reciproco nel dibattito sul decentramento del potere. swissinfo.ch

Dibattiti ricchi di rivelazioni e di informazioni di prima mano hanno caratterizzato il Forum mondiale sulla democrazia diretta moderna svoltosi a Tunisi. I partecipanti del paese ospitante, tra cui politici di alto rango, hanno reiterato gli appelli alla vigilanza contro il ritorno di vecchie "famiglie politiche".

I quattro giorni dell’edizione 2015 del Forum mondiale sulla democrazia diretta modernaCollegamento esterno, conclusasi il 17 maggio, hanno attirato a Tunisi circa 450 partecipanti provenienti da 38 paesi di quattro continenti. In prima fila c’erano il premier tunisino Habib Essid e diversi ministri dell’attuale e del precedente governo.

Un lungo processo

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Governanti, parlamentari, rappresentanti di partiti, sindacati e società civile, intellettuali, attivisti della democrazia, blogger sono stati unanimi nel testimoniare che il cammino della democratizzazione imboccato dalla Tunisia sarà ancora lungo e costellato di ostacoli e di insidie.

Una delle maggiori conquiste della rivoluzione sociale e democratica è il decentramento, che è anche ancorato nella nuova Costituzione tunisina. E il tema centrale del Forum mondiale di Tunisi era proprio come iscrivere nella legge e attuare il trasferimento del potere dal centro verso i cittadini nelle province e nelle comunità.

Quanto manchi ancora di esperienza la democrazia della Tunisia è stato ben illustrato dall’infuocato dibattito di apertura. Mokhtar Hammami, direttore generale delle collettività pubbliche locali presso il Ministero degli Interni – ministero che sotto il deposto Ben Ali rappresentava il braccio destro della dittatura – si è ritrovato confrontato con una serie di aspre critiche di rappresentanti dei principali partiti politici.

Costoro lo hanno accusato di ritardare le riforme, in particolare lo svolgimento di elezioni locali. L’alto funzionario ha replicato annunciando che il suo ministero ha elaborato quattro pacchetti legislativi per conferire la necessaria base giuridica al decentramento.

“Ma questo non è il vostro lavoro, questo è il nostro lavoro!”, sono insorti i parlamentari presenti. Hammami ha immediatamente respinto il rimprovero al mittente, sottolineando che la Camera del popolo non ha formulato alcuna proposta.

Dibattito esemplare

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La situazione riflette la contraddizione su cui è basato l’intero processo di trasformazione della società tunisina: sono reclamati a gran voce giustizia, libertà e progressi – e subito! – ma manca la consapevolezza che la democrazia significa anche responsabilità attiva. Il riflesso passivo-fatalista di dirsi che “Tunisi” dovrebbe decidere è ancora onnipresente.

Il dibattito è stato esemplare anche sotto altri aspetti. Nonostante le dure discussioni, i vari esponenti politici sono stati rispettosi dei loro antagonisti, dimostrandosi così dei modelli di democrazia. Mehdi Ben Mimoun, professore di agronomia e organizzatore locale del Forum, sottolinea anche un altro particolare:

“Samir Ettaieb del partito rigorosamente antireligioso Massar (ex comunisti, NdR.) ha dedicato la metà del suo intervento a ringraziamenti e lodi rivolti al collega Imed Hammami, del partito islamico moderato Ennahda. Tutto ciò per il suo contributo di membro dell’assemblea costituente nella redazione del capitolo 7 sul decentramento”. Un simile elogio all’indirizzo di un avversario di un campo completamente opposto sarebbe stato impensabile anche solo due anni fa, osserva Mimoun.

Tra il dire e il fare, un mare di problemi

Questi piccoli segni simbolicamente significativi di una nuova cultura politica e mentalità democratiche si contrappongono però ad enormi problemi e minacce, hanno ripetutamente affermato i numerosi oratori.

Innanzitutto, la situazione economica è catastrofica. “L’immagine all’estero della rivoluzione riuscita, che si deve sostenere, è in flagrante contrasto con la realtà in Tunisia”, ha rilevato Salem Labiadh. Il sociologo e scrittore, che nel 2013/14 è stato anche ministro dell’istruzione, paragona la Tunisia alla Grecia in termini di debito. Questo dal 2011 è cresciuto di oltre 20 miliardi di dinari (circa 10 miliardi di franchi). Nel 2015 vi si aggiungeranno altri 7 miliardi di dinari.

In secondo luogo, c’è il problema delle vecchie cerchie di profittatori e di protetti, che hanno preso parte alla depredazione miliardaria del popolo da parte del regime di Ben Ali. Oltre alle forze di sicurezza, tra di esse si contano soprattutto le élite della finanza e dell’economia. “Penalizzano la rivoluzione e il nuovo Stato con un blocco pluriennale degli investimenti”, ha detto l’intellettuale Mehdi Mabrouk, politico indipendente e ministro della cultura dal 2011 al 2013.

Dopo le elezioni dell’ottobre 2014, le vecchie forze hanno ricominciato a tirare i fili a più non posso. E ciò pubblicamente. “In parlamento, hanno praticamente di nuovo il 50% dei seggi. Questo mi dà il mal di pancia. Sì, non escludo una contro-rivoluzione”, dichiara Mabrouk, riconoscendo di essere egli stesso non completamente innocente. Questo nel senso che il governo di cui ha fatto parte ha commesso l’errore di non perseguire penalmente i personaggi compromessi.

Giornalisti in causa

In terzo luogo, il ruolo dei media che, secondo gli oratori, è deplorevole. Nulla a che vedere con il ruolo di quarto potere che veglia sulla tutela e lo sviluppo delle conquiste e sulla trasparenza. Al contrario, i media si rendono complici degli abusi e delle manipolazioni delle vecchie forze compromesse, fra l’altro mettendo alla berlina gli oppositori politici. “Proprio come sotto Ben Ali”, ha osservato una giovane portavoce di una organizzazione non governativa della società civile, esprimendo frustrazione.

“Certo, ora abbiamo un panorama mediatico pluralista. Ma le questioni politiche centrali non sono più trattate”, si lamenta Lotfi Hajji, capo della redazione di Tunisi della rete televisiva al Jazeera. “Invece di creare fiducia nelle nuove istituzioni, hanno scavato un profondo fossato tra i media e i cittadini. Lo dimostrano gli oltre 300 attacchi contro i giornalisti da parte dei cittadini lo scorso anno”, dice il giornalista.

Responsabilità civica

Le informazioni di prima mano fornite nel corso del Forum mondiale sulla democrazia diretta da persone che occupano o hanno occupato posizioni di alto rango hanno gettato una luce diversa sull’immagine radiosa di una rivoluzione riuscita che si ha in Occidente.

Alludendo all’età del presidente tunisino Beji Caid Essebsi, il sensibile intellettuale Salem Labiadh ha detto: “La rivoluzione è come una giovane ragazza che è costretta a sposare un uomo di 80 anni. Il governo non rappresenta più la rivoluzione né gli eroi che sono caduti per essa”.

Spetta al popolo tunisino correggere nuovamente questo. Così potrà essere compiuto il passo successivo. E a questo ne dovranno seguire molti altri ancora.

Un’economia disastrata

La Tunisia è un paese con un grande potenziale. Più del 60% dei circa 12 milioni di abitanti ha meno di 35 anni. Molti di loro hanno una formazione di alto livello (laurea universitaria).

Il tasso dei senza lavoro è intorno al 15%, ma la disoccupazione giovanile raggiunge il 30%, vale a dire che è il doppio.

Quasi la metà dei laureati è senza un lavoro (il 45%, pari a 350mila persone) e non ha alcuna reale prospettiva di una vita dignitosa.

Alla fine del 2014, il ministero dell’Interno ha indicato che circa 3000 jihadisti tunisini sono andati all’estero (Siria, Iraq) per combattere. Nessun altro paese conta così tanti membri nelle milizie terroriste islamiche in Stati terzi.

(Traduzione dal tedesco: Sonia Fenazzi)

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