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«La democrazia diretta non è una religione»

Secondo Vincent Kucholl, il popolo non ha sempre ragione. PHOTO-GENIC.CH / OLIVIER MAIRE

Il sistema democratico svizzero è per certi versi un modello. Sono però necessari dei paletti per migliorare il sistema e evitare «incidenti» come in occasione del voto contro i minareti, dichiara il comico e scrittore Vincent Kucholl.

Il suo bestseller, intitolato «Istituzioni politiche svizzere»Collegamento esterno e illustrato dal famoso disegnatore romando Mix & Remix, è stato recentemente pubblicato anche in versione inglese. Concepito sotto forma di prontuario, il volume di un centinaio di pagine propone un approccio serio e nello stesso tempo divertente dell’organizzazione politica della Svizzera.

Kucholl, che per il libro ha utilizzato lo pseudonimo di Vincent Golay, è conosciuto dal pubblico della Svizzera francese soprattutto per la trasmissione satirica radiofonica «120 SecondesCollegamento esterno», concepita e realizzata con il collega Vincent Veillon. Una satira trasformata in spettacolo teatrale presentato con grande successo dapprima in Svizzera e poi in Parigi.

Da gennaio, il duo è passato alla televisione con la trasmissione satirica 26 minutesCollegamento esterno.

swissinfo.ch: Il suo libro sulla democrazia svizzera è stato venduto a più di 250’000 copie, in particolare tra studenti e candidati alla naturalizzazione. Adesso è stata pubblicata anche una versione inglese. La democrazia svizzera è così interessante?

“A volte il popolo vota contro i suoi interessi immediati. Visto da fuori è un po’ strano”.

Vincent Kucholl: A prima vista non è un tema particolarmente sexy. Se ci si sforza di semplificare e di spiegare l’essenziale, ci si rende però conto che la gente ha molte domande e che è interessata. Le cifre di vendita lo provano.

swissinfo.ch: Il presidente della Confederazione Didier Burkhalter afferma che molti svizzeri hanno la democrazia diretta nel sangue. È anche una sua caratteristica?

V.K.: No. Il sistema politico svizzero è un cocktail di diversi ingredienti e la democrazia diretta è solo uno di essi.

La democrazia diretta favorisce il consenso, poiché spinge il parlamento a cercare dei compromessi per evitare i referendum, che sono un po’ come dei sassolini nel sistema.

Il federalismo è un altro elemento molto importante, così come il plurilinguismo e il multiculturalismo. La stabilità del sistema mostra che malgrado questo mosaico il tutto funziona molto bene.

Penso che il sistema politico svizzero sia per certi versi un modello. Se si riuscisse a farlo conoscere meglio e a far sì che altri paesi ne traggano ispirazione, penso che sarebbe un bene. Non voglio però iniziare a fare prediche per dire quanto è bello questo sistema.

swissinfo.ch: Ritiene quindi che il modello svizzero possa essere esportato?

V.K.: Non ne sono così sicuro, in quanto qui vi è una cultura politica veramente specifica. Vi è una sorta di maturità politica. I votanti hanno respinto diverse iniziative popolari – penso ad esempio al salario minimo o alla settimana di vacanza supplementare – che in altri paesi sarebbero verosimilmente state accettate. È una cultura politica un po’ speciale. Il popolo vota a volte contro i suoi interessi personali immediati. Visto da fuori è certamente un po’ strano.

La gente teme che la democrazia diretta possa diventare un’arma per i populisti. È vero, è successo qualche volta, ma è un fatto raro.

swissinfo.ch: Si può veramente parlare di modello, quando si sa, ad esempio, che il costo per portare un’iniziativa alle urne può raggiungere 500’000 franchi?

V.K.: Certo, ma altrove è molto peggio, ad esempio negli Stati Uniti. In Svizzera, alcune campagne sono scioccanti se si guarda quanto è stato speso, come nel caso dell’iniziativa sulla cassa malati unica. In quel caso era ovvio che vi erano attori interessati a mantenere l’attuale sistema, che hanno investito milioni di franchi poiché avevano molto da perdere in caso di accettazione dell’iniziativa.

Da questo punto di vista, il sistema è un po’ distorto. Si possono immaginare misure per limitare le spese di campagna e garantire la trasparenza finanziaria, ad esempio sapere quanto la Federazione delle imprese svizzere investe in ogni votazione.

La monetizzazione della democrazia non è qualcosa di molto positivo. Sono a favore della pubblicazione dei conti dei partiti. Dobbiamo fare in modo che la democrazia non possa essere comprata.

swissinfo.ch: Tra i giovani elettori, la partecipazione è bassa. Si lamentano del fatto che si è chiamati alle urne troppo spesso e che molte volte i temi sono troppo complicati. Cosa si può migliorare?

V.K.: È vero, a volte i temi sono molto tecnici. Non penso però che vi siano troppe votazioni. Troppa democrazia non uccide la democrazia.

L’educazione civica è fondamentale. Le aule devono essere un luogo dove si discute di cultura e di politica. La gente deve interessarsi di più agli affari pubblici. Prima di capire come le cose funzionano nel dettaglio, bisogna rendersi conto che ognuno ha un ruolo da giocare e che questo ruolo è interessante. In questo modo una persona diventa attrice nel sistema.

swissinfo.ch: Dopo il ‘sì’ all’iniziativa per frenare l’immigrazione nel febbraio 2014, il presidente tedesco Joachim Gauck ha detto di rispettare il voto svizzero. Tuttavia ha sottolineato che la democrazia diretta può rappresentare un pericolo quando si affrontano questioni complesse, per le quali è difficile capire tutte le implicazioni. Dobbiamo poter votare su tutto: Europa, immigrazione, armi, una settimana supplementare di vacanze…?

“Il voto del 9 febbraio è stato il risultato di una mancanza di informazione”. 

V.K.: Quel voto [del 9 febbraio] è stato il risultato di una mancanza di informazione. Non si può votare su tutto. Sono necessari dei paletti.

Il tema ‘immigrazione’ non è complicato. Bastano un ‘sì’ o un ‘no’, ma le conseguenze sono complesse. Alcune di esse sono legali e non sono state spiegate bene alla popolazione. Sono sicuro che se si votasse oggi, il risultato non sarebbe lo stesso. Vi è stata una mancanza di informazione, in particolare sull’impatto su questioni come la ricerca, la mobilità, le relazioni con l’UE e gli accordi bilaterali.

swissinfo.ch: La Svizzera ha bisogno di una Corte costituzionale che validi o invalidi certe iniziative?

V.K.: Sì. È necessario una procedura di validazione più precisa delle iniziative. Attualmente non penso che ciò avvenga in maniera ottimale. Votazioni come quelle del 9 febbraio o quella contro i minareti sono stati degli incidenti, che hanno avuto conseguenze importanti a livello internazionale per la Svizzera.

Non si dovrebbero poter affrontare tutti gli argomenti con la democrazia diretta. Non sono d’accordo con l’Unione democratica di centro [UDC, destra conservatrice] quando afferma che la legislazione svizzera deve primeggiare sul diritto internazionale. La gente non ha sempre ragione e penso che a volte si sbaglia, come il 9 febbraio.

Ciò che trovo scioccante è che in Svizzera quasi tutti i politici dicono che «il popolo ha sempre ragione». Non condivido questo slogan. La democrazia diretta non è una religione. Il cittadino non è dio.

swissinfo.ch: L’ex cancelliera della Confederazione Annemarie Huber-Hotz ha dichiarato che i grandi partiti non dovrebbero poter lanciare iniziative popolari, poiché fanno un uso eccessivo di questo strumento. Qual è la sua opinione?

V.K.: Da un punto di vista filosofico è un’evoluzione interessante, perché l’iniziativa popolare è stata introdotta con l’obiettivo di fare da contrappeso politico. Oggi il partito più importante – l’Unione democratica di centro – lancia il maggior numero di iniziative. Non penso che quando hanno introdotto questo strumento i padri fondatori della Svizzera avessero in testa questo obiettivo. Penso però che le affermazioni di Annemarie Huber-Hotz siano da interpretare un po’ come una provocazione, perché una simile proposta non ha nessuna chance di essere accettata.

swissinfo.ch: Quali altri miglioramenti si potrebbero apportare al sistema democratico svizzero?

V.K.: Il tasso di partecipazione medio del 40% non è male. Si tratta però del 40% dei cittadini svizzeri e non del 40% di tutta la popolazione.

Dobbiamo tener presente che molte persone nate e cresciute in Svizzera non possono votare. È un aspetto che andrebbe riformato, per permettere alla gente che vive qui e che ha contribuito a plasmare il paese così come è oggi, di partecipare alla sua vita e al suo sviluppo. Molte persone sono escluse da questo sistema. In Svizzera vivono quasi due milioni di stranieri.

Ci vorrà tempo, ma spero che ciò accadrà. Non sono svizzeri solo coloro che hanno un passaporto rosso a croce bianca.

(traduzione di Daniele Mariani)

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