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Difendere la diversità per difendere sé stessi

La Svizzera ha una responsabilità particolare nei confronti del nibbio reale (milvus milvus), diffuso sul suo territorio ma minacciato in Europa. Keystone/Vogelwarte

In un mondo che le attività umane stanno rendendo sempre più omogeneo, la biodiversità è minacciata. Difenderla è un compito che andrebbe preso maggiormente sul serio. Da tutti.

Biodiversità è una parola di successo. Coniata una trentina di anni fa, ha cominciato a diffondersi su scala mondiale nel 1992, quando il vertice di Rio si concluse con la firma di tre convenzioni importanti: quella sui cambiamenti climatici, quella sulla desertificazione e, appunto, quella sulla biodiversità.

Dieci anni dopo, al vertice della Terra di Johannesburg, la parola d’ordine divenne: «Ridurre significativamente la perdita di biodiversità entro il 2010». Obiettivo fallito.

Lo ha ribadito a Basilea, nel corso del quinto congresso Natur, Julia Marton-Lefèvre, direttrice dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Il bilancio è desolante: piante e animali continuano a sparire e l’estensione di numerosi tipi di habitat è in preoccupante calo. «Nella sola Svizzera sono a rischio di estinzione un terzo dei mammiferi e l’80% dei rettili», ha ricordato Marton-Lefèvre.

Legami da non spezzare

Certo, la scomparsa di specie fa parte dell’evoluzione. Fino a pochi secoli fa, però, si trattava di processi lenti e sostanzialmente in equilibrio. I cambiamenti che portavano alla scomparsa di una specie, favorivano la nascita di un’altra. Questo ritmo è stato stravolto dall’avvento dell’era industriale e dal conseguente sviluppo delle attività umane. Oggi, il tasso di estinzione è 1000 volte superiore a quello naturale.

Le conseguenze della perdita di biodiversità potrebbero essere difficili da sopportare, anche per l’uomo. «L’ambiente in cui viviamo è retto da mille legami che cominciamo appena a conoscere, e da innumerevoli altri che nemmeno immaginiamo», ha spiegato la direttrice dell’IUCN. Pescare l’ultimo tonno rosso non significa soltanto farlo sparire dai nostri piatti, ma innescare una serie di reazioni a catena che non possiamo prevedere e di cui ignoriamo le conseguenze.

Il rischio è quello di mettere in pericolo l’infrastruttura naturale che ci ha permesso di arrivare fin qui. E non si tratta solo di aria, cibo e acqua, o della potenziale assicurazione sulla vita offerta dai numerosi principi attivi vegetali non ancora scoperti dalla farmaceutica. Si tratta anche di cultura, di valori estetici, della bellezza di un paesaggio e di quella delle ali di una farfalla.

Sempre meno bambini, ad esempio, hanno la possibilità di ascoltare dal vivo il canto del cucù, evocato in numerose canzoni popolari dell’arco alpino. Perdono così la chiave d’accesso al patrimonio culturale che hanno ereditato.

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Liste rosse

Il cucù fa parte di quel 12% di uccelli che nidificano in Svizzera e che sono potenzialmente minacciati. Un giorno potrebbe entrare nella lista rossa delle specie di uccelli che rischiano di scomparire dal paese (40%).

Le liste rosse svizzere sono tra le più lunghe d’Europa. In parte è una questione di spazio. Nel paese ci sono 235 tipi di habitat. La maggior parte si sta riducendo e al problema della minore estensione si aggiunge quello della frammentazione. Le zone umide, ad esempio, sono sempre più distanti le une dalle altre. Tra le rane che si risvegliano dal letargo e gli specchi d’acqua in cui vorrebbero deporre le uova ci sono strade da superare e ruote d’automobili da evitare.

Quasi tutte le popolazioni indigene di anfibi stanno perdendo terreno, alcune in modo drammatico, come i rospi ostetrici, il cui numero si è dimezzato nel corso degli ultimi 20 anni.

Per Julia Marton-Lefèvre non è più possibile chiudere gli occhi davanti a questa situazione. «Se un terzo della vostra famiglia rischiasse di morire», chiede retoricamente, «ve ne stareste con le mani in mano? Se la vostra alimentazione, la vostra acqua, il vostro habitat, la vostra medicina, la vostra cultura, il verde in cui ricaricate le batterie fossero seriamente minacciati, ve ne stareste con le mani in mano? Spero di no. Non possiamo permetterci il lusso di aspettare: dobbiamo agire e dobbiamo farlo ora, in Svizzera e nel mondo intero».

Un cerchio da quadrare

Lo stesso congresso Natur ha però dimostrato quanto sia difficile mettere tutti d’accordo. Il fervore con il quale la causa della biodiversità è stata difesa dalla direttrice dell’IUCN e dai rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste, non basta a sbaragliare i dettami della Realpolitik con i quali sono confrontati i rappresentanti delle autorità.

I processi politici hanno i loro tempi, ha ricordato Bruno Oberle, direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente, a chi gli chiedeva perché la Svizzera non abbia ancora una strategia nazionale per la biodiversità; nemmeno la costruzione di un’autostrada si decide e si porta a termine dall’oggi al domani.

Manfred Bötsch, direttore dell’Ufficio federale dell’agricoltura, ha spiegato che negli ultimi anni si è arrivati a mettere a disposizione della biodiversità il 7% delle superfici agricole. «Piccoli passi avanti nella politica agraria», ci sono stati, «ma non accontentano i contadini, che li trovano poco interessanti economicamente, e non accontentano le organizzazioni non governative, che li giudicano poco incisivi». Per Bötsch, tuttavia, si è riusciti ad invertire una tendenza: «Almeno questo l’abbiamo ottenuto».

Ora si tratta di aspettare la strategia per la biodiversità della Confederazione, che dovrebbe essere sottoposta al giudizio di governo e parlamento tra la metà del 2010 e il 2011. Lo stesso Oberle riconosce che «in Svizzera la protezione della natura è un movimento popolare, venuto dal basso. Ora si tratta di agire anche dall’alto, con una strategia nazionale e un obiettivo condiviso da tutti».

Doris Lucini, Basilea, swissinfo.ch

Il termine biodiversità è noto al 48% degli svizzeri. È quanto risulta da un’inchiesta realizzata alla fine del 2009 dall’istituto gfs.bern per conto dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM).

Il grado di notorietà del termine è aumentato in modo considerevole negli ultimi anni. Nel 2005, non si registrava una percentuale così alta nemmeno tra le persone particolarmente interessate alla natura.

Dall’inchiesta è risultato anche che la percezione popolare dello stato di salute della biodiversità contrasta con le valutazioni scientifiche: il 70% degli intervistati ritiene che in Svizzera la biodiversità se la passi abbastanza bene (mentre in realtà è minacciata) e solo il 40% ritiene di essere toccato personalmente dal suo impoverimento.

Negli altri paesi europei, la biodiversità è stata tematizzata prima. L’importanza della biodiversità e i problemi legati al suo calo sono noti a più di tre quarti della popolazione tedesca, francese e austriaca e ai due terzi di quella italiana.

Il 12 giugno 1992, a Rio, l’allora consigliere federale Flavio Cotti firmava la Convenzione sulla biodiversità. In Svizzera, l’accordo è stato ratificato nel 1994, entrando in vigore un anno più tardi.

La Convenzione ha dato l’impulso per il Progetto integrato biodiversità (1993) sfociato qualche anno più tardi nel Forum svizzero sulla biodiversità (1999).

Nonostante la Svizzera si sia ufficialmente impegnata a frenare la perdita di biodiversità – obiettivo lungi dall’essere raggiunto – non dispone ancora di una strategia nazionale. In questo campo è in notevole ritardo rispetto agli altri paesi europei.

Il parlamento ha inserito l’elaborazione di una strategia per la conservazione e la promozione della biodiversità nel programma di legislatura 2007-2008.

L’Ufficio federale dell’ambiente ha cominciato i lavori di preparazione della strategia nazionale nel 2009. Il progetto dovrebbe essere sottoposto al governo nel 2010 e discusso dalle camere nel 2011.

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