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Diritti umani e imprese: la Svizzera deve fare ancora uno sforzo

Lingotti di stagno in una fabbrica che apparteneva al gigante delle materie prime Glencore, prima di essere nazionalizzata dal governo boliviano nel 2007. Reuters

La Svizzera deve adeguarsi alle norme internazionali e le imprese con sede sul suo territorio devono render conto della loro responsabilità sociale. È il parere di John Ruggie, autore delle Linee guida dell’ONU relative alle imprese e ai diritti umani.

In materia di etica delle imprese, l’Unione europea e gli Stati Uniti sono molto più avanzati rispetto alla Svizzera, che sarà presto obbligata ad adeguarsi, afferma John Ruggie, ex rappresentante speciale dell’ONU per i diritti umani e le imprese. In questa veste è stato uno dei padri delle linee guidaCollegamento esterno adottate dalle Nazioni Unite nel 2011.

Oggi professore di diritti umani e affari internazionali alla Harvard’s Kennedy School of Government, John Ruggie è stato ospite a Ginevra per una conferenza “sui diritti senza frontiere e le sfide per le imprese svizzere”. Intervista.

Linee guida

Adottate nel 2011, le linee guida di John Ruggie permettono di identificare e di prevenire le violazioni dei diritti umani nell’ambito delle attività economiche delle imprese. Il concetto è basato su tre pilastri:

  • Il dovere dello Stato di tutelare i diritti umani contro gli abusi;
  • La responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani;
  • Una maggiore accessibilità a rimedi efficaci, di carattere giurisdizionale e non, per le vittime degli abusi.

swissinfo.ch: Dall’adozione dei principi guida dell’ONU nel 2011, solo una dozzina di Stati hanno lanciato dei piani d’azione nazionali. È deluso?

John Ruggie: Penso che alcuni governi abbiano avuto una partenza piuttosto lenta, ma ora stanno recuperando. Perfino gli Stati Uniti – col loro sistema di governo estremamente complesso – hanno annunciato l’intenzione di lanciare un piano nazionale, così come la Colombia e il Mozambico. Il Ghana dal canto suo ha chiesto un aiuto esterno. Le cose si stanno muovendo.

I piani d’azione a livello nazionale sono solo una componente di un quadro molto più grande. Alcuni elementi dei principi guida sono già stati integrati nelle leggi nazionali e in alcuni casi nel diritto internazionale.

swissinfo.ch: Une recente inchiesta ha messo in evidenza che meno della metà delle grandi imprese è impegnata in partenariati in materia di sviluppo sostenibile e solo un quinto dei 4’000 dirigenti intervistati ritiene che i rispettivi consigli di amministrazione assicurino un controllo in questo campo. Lo sviluppo sostenibile è ancora lungi dall’essere applicato…

J.R.: È sicuramente un “work in progress”, che però in quattro anni ha permesso di ottenere tanto quanto, se non di più, di qualsiasi altro trattato analogo per complessità e possibili controversie.

Una multinazionale come la Coca Cola, ad esempio, è presente in 200 paesi. Per tradurre un impegno politico in misure concrete ci vuole tempo, soprattutto quanto la società non detiene i diritti di concessione, gli impianti di imbottigliamento o gli zuccherifici. La gente deve essere formata, seguita, esaminata e queste competenze devono essere integrate nei calcoli annuali dei bonus. Questi cambiamenti richiedono tempo. Non si può far virare velocemente una grande nave.

swissinfo.ch: In un’intervista del 2006 a swissinfo.ch, aveva lodato la Svizzera per aver svolto un ruolo importante nel garantire il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese attive in tutto il mondo. Direbbe lo stesso oggi?

J.R.: Credo che la Svizzera abbia sostenuto in modo notevole il Patto mondiale delle Nazioni UniteCollegamento esterno, quando è stato lanciato nel 1999. La Svizzera è stata favorevole al mio mandato e ha svolto un ruolo importante in molti campi. Penso tuttavia che il governo non sia in una posizione di leadership, anche se ci si avvicina. Altri Stati sono andati più in fretta e più lontano.

swissinfo.ch: Le ONG ritengono tuttavia che le soluzioni proposte finora in Svizzera abbiano messo l’accento unicamente su misure volontarie e criticano governo e parlamento per non aver introdotto requisiti giuridicamente vincolanti per le imprese con sede nella Confederazione. Dal loro punto di vista, è giunto il momento di «obbligare il mondo economico a fare la cosa giusta, perché non basta più fidarsi della loro buona volontà». Cosa ne pensa?

J.R.: Se Stati Uniti ed Unione europea hanno un obbligo di rendiconto non finanziario, è difficile immaginare che la Svizzera non faccia altrettanto.

Credo proprio che la Svizzera sarà obbligata ad introdurre alcuni requisiti obbligatori. Ciò non significa che tutti i principi guida debbano essere tradotti in trattati o norme. Sarebbe umanamente impossibile. Come ho sostenuto fin dall’inizio, è necessario trovare un mix intelligente di politiche.

swissinfo.ch: Le ONG hanno annunciato il lancio di un’iniziativa popolare, nell’aprile 2015, che esige il rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali da parte delle multinazionali con sede in Svizzera, anche quando sono attive all’estero. I cittadini svizzeri potrebbero servire da modello per altri paesi, imponendo alle imprese regole più severe?

J.R.: Credo che per stabilire la responsabilità delle imprese, sia necessario un adeguato processo di verifica. Le linee guida dicono che se un governo è implicato nelle attività di un’impresa, sia attraverso un credito o una garanzia all’esportazione, dovrebbe esigere un processo di verifica. Penso che questa iniziativa dovrebbe andare in questa direzione.

Se la Svizzera introdurrà un obbligo di rendiconto non finanziario – e sono convinto che sarà obbligata a farlo – è difficile immaginare che possa evitare un processo di verifica potenziale “due diligence”.

swissinfo.ch: Negli ultimi anni, la Svizzera è diventata uno dei principali centri del negozio di materie prime. Ciò rappresenta un grosso rischio per la sua reputazione, avvertono taluni. Concorda?

J.R.: Si tratta di un problema di trasparenza. Al momento sappiamo poco. Appunto perché in questo settore c’è una così grande carenza di trasparenza.

Penso che la Svizzera, come gli Stati dell’UE, debba prevedere un piano d’azione nazionale. Spero che arriverà prima e non poi. Sono questioni importanti non solo per la reputazione delle imprese, ma anche per quella dell’intero paese. Bisogna ristabilire la fiducia della popolazione nell’economia e nella capacità del governo di fare ciò che ci si aspetta da loro: governare nell’interesse pubblico. 

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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