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Dumping salariale: cresce se manca contratto collettivo

L'anno scorso sono state controllare 42'000 aziende per contrastare il dumping salariale risultante della libera circolazione delle persone. Keystone/DPA dpa/A4696/_ALEXANDER HEINL sda-ats

(Keystone-ATS) Per contrastare il dumping salariale dovuto alla libera circolazione delle persone, l’anno scorso in Svizzera sono state controllate 42’000 aziende, per un totale di 164’000 lavoratori. Le infrazioni risultano in aumento nelle imprese senza contratto collettivo.

Le verifiche, indica oggi la Segreteria di stato dell’economia, hanno riguardato il 7% delle imprese svizzere, il 36% dei lavoratori distaccati e il 32% dei prestatori di servizi indipendenti provenienti dall’Ue e dall’Associazione europea di libero scambio. Sono estate sottoposti a esame tutti i settori di attività, ma particolare attenzione è stata prestata ai rami economici e alle regioni più a rischio, come l’edilizia e l’industria manifatturiera in Ticino e a Ginevra.

Per le imprese svizzere dove le condizioni di lavoro non sono regolate da un contratto collettivo di obbligatorietà generale, i controlli effettuati dalle commissioni tripartite nel periodo 2015-2016 sono stati 20’714: sono venuti alla luce 2’159 casi di dumping, per un tasso di infrazione del 12%, in aumento di tre punti rispetto al precedente rilevamento. Nei servizi alle imprese e il commercio sono state riscontrate percentuali varianti tra il 19% e il 23%.

Quanto ai lavoratori distaccati le commissioni paritetiche hanno indagato su 7’444 imprese sottoposte a contratto collettivo e hanno scoperto 1’846 infrazioni, pari a una percentuale del 25%, in discesa rispetto al 27% del 2015 e al 28% del 2014. Il settore più colpito (35%) è risultato quello dell’edilizia. Presso le aziende che impiegano lavoratori distaccati senza contratto collettivo gli accertamenti sono stati 11’044, per un totale di 1387 casi di dumping (16% rispetto al 13% del precedente rilevamento).

Gli organi di sorveglianza hanno esaminato anche lo status dei prestatori di servizi indipendenti provenienti dall”UE. Su 7000 persone controllate il 6 % è stato sospettato di svolgere un’attività “pseudo-indipendente”. Il volume dei controlli svolti nel 2016, nota la SECO, è diminuito di circa il 6% rispetto al precedente rilevamento, ma rimane comunque uno dei più elevati dal 2008.

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