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La Cina resterà il motore della crescita globale

Da base di produzione di beni a buon mercato, l'economia cinese sta diventando una piattaforma di innovazione tecnologica Keystone

L’economia cinese, diventata ormai la seconda del mondo, continua a marciare a pieno regime. Il gigante asiatico dovrà però affrontare grandi sfide nei prossimi anni, tra cui la necessità di rafforzare i consumi interni, osservano alcuni esperti al Forum economico mondiale di Davos.

I pronostici favorevoli per il gigante asiatico faranno di certo piacere agli esportatori svizzeri, che stanno sempre più spostando il loro sguardo dall’Europa verso le più dinamiche economie emergenti.

Attualmente, circa 300 aziende svizzere sono fisicamente presenti in Cina e molte altre sono riuscite a mettere piede con i loro prodotti in questo mercato in rapida espansione.

I timori di un surriscaldamento dell’economia cinese, il cui Prodotto interno lordo ha registrato una nuova impennata dell’8,9% l’anno scorso, sono stati fugati dagli esperti in occasione del Forum economico mondiale (WEF), in corso a Davos. A detta dei partecipanti, non vi è da temere neppure il rischio di un tentativo della Cina di dominare l’economia mondiale.

“Gli uomini d’affari cinesi sprizzano energia ed ottimismo per quanto riguarda le prospettive economiche del loro paese”, osserva John Quelch, decano della China Europe Business School di Shanghai. “Vedono la situazione attuale come una opportunità unica nella loro vita per se stessi, le loro famiglie e il loro paese”.

“Questo stato d’animo si è ulteriormente rafforzato in seguito alla flessione dell’economia occidentale”, aggiunge John Quelch. “Molti cinesi vi intravedono un’opportunità per colmare il divario economico con l’Occidente”.

Concorrenza locale

L’economia cinese si è trasformata in questi ultimi da una base di produzione per i beni di consumo a buon mercato in una piattaforma di innovazione tecnologica.

Secondo un sondaggio realizzato dalla società di consulenza aziendale svizzera CH-ina, le imprese straniere in Cina si vedono sempre più confrontate ad una forte concorrenza locale.

“Se guardiamo, ad esempio, lo spazio internet, possiamo notare che, fino a pochi anni fa, le aziende cinesi si limitavano più che altro a prendere in prestito dei modelli occidentali, come Twitter e Facebook, e a replicarli per il mercato cinese”, osserva Olivier Schwab, direttore esecutivo del WEF.

“Oggi, un gran numero di funzioni e servizi vengono invece sviluppati direttamente per soddisfare le esigenze del mercato locale. Ad esempio, i ‘Weibo’ (siti di microbloging) non assomigliano più molto ai siti originali, dai quali sono stati ispirati, e sono a volte perfino più sofisticati”.

Nonostante questi sviluppi, l’85% delle imprese svizzere in Cina dichiarano nel sondaggio di aver potuto aumentare il fatturato nel 2011, rispetto all’anno precedente. Una quota analoga intende aumentare i propri investimenti in Cina.

Anche le esportazioni svizzere verso la Cina sono in una fase di forte espansione, con una crescita del 18% nei primi nove mesi del 2011, pari ad un totale di 6 miliardi di franchi. La Cina è ormai da alcuni anni il terzo mercato più importante per le esportazioni svizzere, dopo l’Unione europea e gli Stati Uniti.

Investimenti vincolati

La Cina si è dimostrata inoltre molto proattiva nel cercare di acquisire le conoscenze economiche dell’Occidente. In fase di negoziato, i cinesi hanno quasi sempre accettato di aprire il loro mercato ai prodotti stranieri, solo a condizione che le aziende degli altri paesi siano anche disposte ad investire nella ricerca di base e in siti di sviluppo in Cina, rileva John Quelch.

Poche settimane dopo aver ricevuto l’autorizzazione per riprendere l’azienda dolciaria cinese Hsu Fu Chi, il gigante svizzero dell’alimentazione Nestlé si è impegnato all’inizio di questo mese ad investire 376 milioni di franchi nella provincia di Heilongjiang.

Ma anche la Cina deve affrontare sfide importanti, tra cui la transizione tra un’economia fondata soprattutto sulle esportazioni ad un’economia sorretta anche dai consumi interni. Il problema maggiore è convincere i consumatori cinesi a spendere di più, afferma John Quelch.

“La questione è di sapere come la Cina riuscirà a compiere questo passo: non sarà facile, ad esempio, incoraggiare la gente a spendere di più e a risparmiare meno per la loro vecchiaia, quando non c’è una rete di sicurezza sociale o un sistema statale di pensioni”, sottolinea l’esperto.

L’economia con la più grande espansione a livello mondiale sarà inoltre chiamata a migliorare l’efficienza delle sue enormi imprese statali, in particolare nei settori dell’energia e dei trasporti.

“Il governo cinese è abbastanza astuto per rendersi conto che il successo dell’economia dipende anche dall’efficienza delle proprie aziende statali. Abbiamo notato che vi è un forte interesse nei confronti dei nostri migliori studenti da parte delle aziende statali cinesi, che cercano di migliorare il livello del loro management”, prosegue il decano della China Europe Business School di Shanghai.

“Non vi è motivo di credere che le cattive pratiche delle imprese statali in Occidente vengano riprese anche dalla Cina”, prevede John Quelch.

Cattiva immagine

L’inarrestabile crescita dell’economia cinese sta inquietando alcuni osservatori in Occidente. L’anno scorso la Cina è diventata la seconda economia mondiale, declassando il Giappone.

Una parte del successo della Cina è legato al suo regime autoritario, in grado di prendere decisioni rapide che riguardano ingenti risorse, senza nessun obbligo di dibatterne. Il successo di questo modello di capitalismo di Stato non è sfuggito all’attenzione di David Rubenstein, capo del gruppo finanziario statunitense Carlyle: “I cinesi hanno attualmente un modello economico molto più efficiente del nostro”.

“In Occidente disponiamo di tre o quattro anni di tempo per migliorare il nostro modello economico. Se non lo facciamo presto, credo che perderemo il confronto nella competizione con il capitalismo dei mercati emergenti o il capitalismo di Stato, come quello cinese”, ha dichiarato David Rubinstein, durante un dibattito al tenuto al WEF.

Da parte sua, Pascal Lamy, presidente dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) prevede che l’espansione del potere economico della Cina al di fuori dei suoi confini creerà “turbolenze politiche”.

Lamy ha però tenuto a precisare a partecipati al WEF che molti stereotipi veicolati sulla Cina in Occidente sono illusori e scaturiscono da “un’errata percezione pubblica”.

1918: primo trattato di amicizia.

1950: la Svizzera è tra i primissimi paesi a riconoscere la Repubblica popolare cinese.
 

1974: primo accordo commerciale.
 

1980: prima joint venture tra il costruttore di ascensori elvetico Schindler e una ditta cinese.
 

1986: accordo per la protezione reciproca degli investimenti.

1989: accordo di collaborazione scientifica e tecnica.

 

1992: accordo sulla protezione dei brevetti.

 

1996: prima visita in Cina di un presidente della Confederazione (Jean-Pascal Delamuraz).

 

2002: apertura dello Swiss Business Hub a Shanghai

 

2004: protocollo d’intesa sul turismo.

2007: dichiarazione comune sulla protezione della proprietà intellettuale.

2010: avvio dei negoziati in vista della firma di un accordo di libero scambio tra i due paesi.

Dal 2002, la Cina è diventata, assieme ad Hong Kong, il primo partner economico della Svizzera in Asia.

Le esportazioni svizzere in Cina hanno raggiunto nel 2010 un importo di 7,5 miliardi di franchi, con una crescita del 27% rispetto all’anno precedente.

Nei primi 9 mesi del 2011 le esportazioni elvetiche nel paese asiatico hanno registrato un nuovo incremento pari al 18%, rispetto allo stesso periodo del 2010.

Anche le importazioni dalla Cina segnano una continua crescita: nel 2010 sono salite del 29%, attestandosi a 6,7 miliardi di franchi.

Nei primi 9 mesi dell’anno scorso hanno invece registrato un calo del 2,6%, scendendo a 4,5 miliardi.

Traduzione di Armando Mombelli

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