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La creatività in ufficio dal 1968 è d’obbligo

due donne in un ufficio
Lavoro in ufficio: la cantante Dorothy Squires (a sin.) nel 1971 con la sua segretaria. Chris Ware/Keystone Features/Getty Images

"La fantasia al potere!" era uno dei motti del 1968. Lo slogan sembra aver avuto un effetto duraturo sull'economia. Da allora, la "creatività" è diventata un dogma - in tutti i settori, anche al di fuori degli studi di grafica.

Nel dopoguerra, la Svizzera conobbe un boom economico eccezionale – e si temeva per questo un esaurimento nervoso collettivo. A metà degli anni Sessanta, tra i dirigenti, si verificarono attacchi di cuore sopra la media e i dipendenti cominciarono a diventare ribelli.

I dirigenti si lamentavano del fatto che i loro subalterni si risentissero al minimo rimprovero, arrivando a licenziarsi: questo era loro permesso a causa dell’abbondante offerta di lavoro dovuta alla situazione economica.

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Impiegato arrabbiato: “Lei non troverà certo uno migliore di me così velocemente – e io non ho certo bisogno di lei, è chiaro?. Illustrazione di Joss tratta dalla rivista Nebelspalter. Nebelspalter

Nel 1968 un intero congresso tenutosi nei pressi di Zurigo fu dedicato a una tematica dal titolo eloquente: “imprenditore nel contesto di tensione provocato dalla crisi del concetto di autorità”. Il problema principale, lamentarono i dirigenti presenti, era dovuto al fatto che i lavoratori più creativi erano anche i più propensi alle dimissioni. Le aziende dovettero quindi ripensare le loro strutture gerarchiche. 

Esercizi di rilassamento

Questa crisi portò a considerare i dipendenti meno come degli esecutori di ordini o semplici sottoposti, ma come esseri attivi, pensanti e creativi. A partire dagli anni Settanta, alcune aziende cominciarono a usare concetti come “realizzazione personale” per descrivere la loro missione, perché – e questa era una novità – il lavoro doveva soddisfare l’essere umano nel suo complesso.

Alcuni permisero ai loro dipendenti di esercitarsi alla mattina in palestra, per liberarsi dell’energia in eccesso. Altri inviarono i loro dipendenti a seguire laboratori di creatività che prevedevano esercizi di riflessione sul perché le bottiglie di birra dovessero essere piene di buchi e i soldi avere una data di scadenza. Un famoso guru creativo americano promosse il suo metodo promettendo di insegnare alla gente a pensare “come un genio, come un bambino, come un pazzoide, un artista”.

Questi esercizi di svago creativo non erano però un effetto a breve termine del ’68. Già negli anni ’50, la monotonia della vita quotidiana in ufficio era causa di disagio. Nel 1959 Adolf Wirz teneva conferenze sulla necessità del pensiero creativo in molti luoghi della Svizzera. Si lamentava del fatto che le aziende trasformassero le persone in robot – senza idee o coraggio.

disegno di un ingranaggio che rappresenta un uomo robot.
Illustrazione tratta dalla serie di Adolf Wirz: Piccola scuola del pensiero creativo. Zurigo 1963. Adolf Wirz

Chi pensa in maniera conformistica non può essere creativo e chi non è creativo non avrà nemmeno successo economico. Ecco perché Wirz chiese che i dipendenti creativi non fossero giudicati troppo severamente. Chiunque mostrasse fantasia avrebbe dovuto poter arrivare in ritardo di tanto in tanto o vestire in modo stravagante.

Brainstorming come rivoluzione in ufficio

Wirz importò una tecnica che oggi è conosciuta da ogni bambino: il brainstorming. Consigliò questa nuova tecnica di lavoro perché metteva in discussione la rigidità delle gerarchie: attraverso questa tecnica, le idee potevano fluire liberamente, nessuno era il capo.

Wirz raccomandò esplicitamente persino di escludere i superiori dalle sale riunioni: “Questo è l’unico modo in cui una sessione di brainstorming può essere autentica, vulcanica, audace e persino sovversiva.

Questa minirivoluzione in ufficio contagiò sempre più ambiti, fu introdotta tra gli architetti e presto superò i confini dell’industria creativa. A metà degli anni Sessanta, ad esempio, l’associazione degli albergatori, in un congresso, si affidava alla “scossa dei cervelli”. Una piccola rivoluzione, che sembrava produttiva.

1968 e i dirigenti: il vocabolario della rivolta

Alla luce di tutto ciò, anche gli ambienti economici mostrarono una certa simpatia per il cambiamento delle relazioni di lavoro. Heinrich Oswald, direttore generale di Knorr, ad esempio, si rallegrò quando nel 1968 “la paralisi – tuonando e sgretolandosi” – si era trasformata in un nuovo movimento”.

Il manager esigette un allontanamento dalle forme organizzative strettamente gerarchiche che l’economia aveva copiato dalla Chiesa e dall’esercito: gli uffici avrebbero dovuto funzionare come un’orchestra in cui tutti davano un sostanziale contributo creativo. Queste richieste di una leadership più dinamica erano in linea con lo stile di vita più liberale degli anni ’60 e rispondevano a un bisogno crescente di autorealizzazione.

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“Si è guadagnato un posto in testa. Ma non avere paura alla guida rimango io”. Caricatura di Paul Brassel degli anni 1970. Paul Brassel/Schweizerisches Sozialarchiv

Questa riforma della gestione aziendale incontrò la piattaforma politica del ’68 soprattutto per quanto riguarda il vocabolario. Intorno al 1968 nacquero alcuni gruppi di impiegati che, pur sentendosi trasformati in robot, non richiedevano laboratori di creatività, ma una partecipazione democratica all’interno dell’azienda.

I sindacati svizzeri accolsero queste richieste e nel 1971 lanciarono l’iniziativa popolare “Partecipazione aziendale”Collegamento esterno. L’iniziativa fu considerata utile da alcuni esperti di gestione aziendale, ma fu respinta con veemenza dagli ambienti economici. L’Unione svizzera degli imprenditori accolse con favore la richiesta di “una soddisfazione mentale e spirituale legata al lavoro”. Rifiutò tutto il resto, che metteva in discussione il concetto di proprietà privata.

L’iniziativa fu respinta in votazione popolareCollegamento esterno nel 1976. La congiuntura favorevole era nel frattempo stata sostituita da una devastante crisi economica e il sentimento di un nuovo inizio era scomparso.

(Traduzione dal tedesco: Mattia Lento)

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