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«Il problema non è la politica in Svizzera, ma quella in Eritrea»

Nel 2014 circa 47'000 cittadini eritrei hanno cercato asilo in Europa. Keystone

L’afflusso di richiedenti l’asilo dall’Eritrea suscita vivi dibattiti in Svizzera. Alcuni responsabili politici chiedono di non più riconoscerli come rifugiati e di rispedirli in patria. Secondo l’antropologo David Bozzini, si tratta di proposte «insensate» che ignorano la realtà del paese. Intervista.

Diplomato all’Università di Neuchâtel, David BozziniCollegamento esterno ha vissuto nel paese africano dal 2005 al 2007. «Il regime eritreo ha installato un sistema di controllo e di repressione basato sulla paura», afferma l’antropologo svizzero, che attualmente sta conducendo una ricerca post dottorato sulle politiche transnazionali dell’Eritrea alla City University di New York.

swissinfo.ch: L’esecutivo del canton Lucerna ha chiesto al governo svizzero di non più riconoscere lo statuto di rifugiato ai richiedenti l’asilo eritrei. La ragione: non si tratta di persone minacciate. È davvero così?

David Bozzini, antropologo, ha vissuto due anni in Eritrea. David Bozzini

David Bozzini: È una proposta assolutamente insensata. In nessun caso si può affermare che gli eritrei, nella situazione in cui vivono nel loro paese, sono dei rifugiati economici. La gente non fugge perché non c’è futuro o per cercare lavoro. Fugge dall’assoluta mancanza di libertà individuali.

swissinfo.ch. Ci spieghi meglio…

D. B.: La gente non può scegliere per chi lavorare, non può fondare una famiglia. Subisce incredibili pressioni e ricatti. Il regime eritreo obbliga la popolazione a mobilitarsi e a partecipare, gratuitamente, al servizio civile o militare per un periodo indeterminato. Possiamo parlare di una forma di schiavitù.

Il regime adotta un funzionamento che gli permette di rimanere al potere e che fa leva sulla paura e sull’insicurezza. Mette in atto tutta una serie di misure, poliziesche e burocratiche, per destabilizzare la popolazione e renderla completamente vulnerabile.

La popolazione in Eritrea non dispone di alcuna forma di protezione. Non può difendersi nei confronti di una decisione arbitraria di un funzionario o di un alto dirigente. Da un giorno all’altro, la polizia può presentarsi in casa tua, prendere tua figlia e sbatterla in prigione. Senza fornire spiegazioni e senza dire fino a quando rimarrà in carcere. Siamo ben lontani da una problematica in cui la gente lascia il paese per guadagnare qualche centinaio di dollari in più.

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swissinfo.ch: Toni Brunner, presidente dell’UDC (Unione democratica di centro, principale partito della Svizzera), chiede al governo elvetico di concludere un accordo di riammissione con l’Eritrea, siccome il regime starebbe pensando a un’amnistia per tutti i disertori. Potrebbe essere una soluzione?

D. B.: Niente affatto. Come documentato da una quindicina di anni, il governo eritreo fa molti annunci, ma questi non sono mai realizzati o mantenuti. L’Eritrea non è uno Stato di diritto e non offre sufficienti garanzie a livello diplomatico per poter realizzare un accordo di questo tipo. Non si può escludere che il governo adotti misure di repressione nei confronti di chi ritorna nel paese.

Il regime fa un doppio gioco: da un lato perseguita la sua popolazione e la controlla per evitare che se ne vadano in troppi; dall’altro ha interesse che la gente parta siccome vuole intascare i soldi inviati in patria dalla diaspora. Lo si è visto anche in passato: prima dell’indipendenza, la guerriglia si è appoggiata sugli esiliati per finanziarsi. Ora il governo in Eritrea fa esattamente la stessa cosa.

Escluso il rimpatrio degli eritrei

Reagendo alla lettera del governo lucernese inviata al Consiglio federale, la presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga ha difeso la prassi dell’asilo applicata nei confronti degli eritrei.

Numerosi rapporti e informazioni sull’Eritrea sono unanimi nel descrivere il paese come una dittatura e non uno Stato di diritto, ha detto mercoledì Simonetta Sommaruga. Quando questa situazione cambierà, ha aggiunto, la Svizzera potrebbe eventualmente concludere accordi di riammissione con l’Eritrea.

Gli eritrei che rifiutano o disertano il servizio militare, tra le principali ragioni di emigrazione, ottengono asilo in Svizzera solo dopo un esame individuale, sottolinea la Segreteria di Stato della migrazione.

Nel 2014, circa 47’000 cittadini eritrei hanno chiesto asilo in Europa. Il 15% delle richieste è stato presentato in Svizzera.

swissinfo.ch: Un’altra formazione di governo, il Partito popolare democratico, suggerisce invece di insistere sull’aiuto allo sviluppo e sulla formazione dei giovani in Eritrea. Una proposta ragionevole?

D. B.: No. Questa proposta mostra bene che i politici in Svizzera hanno una conoscenza limitata della situazione in Eritrea. Si tratta di un regime autoritario, o persino totalitario, che controlla l’intera economia del paese. Sostenerlo finanziariamente significherebbe finanziare lo sfruttamento della sua popolazione. Le poche organizzazioni non governative presenti in Eritrea hanno lasciato il paese, volontariamente o perché obbligate. Il loro lavoro veniva continuamente ostacolato dal regime. Non è iniettando soldi in un paese che la gente rimarrà sul posto.

swissinfo.ch: Cosa fare allora?

D. B.: La Svizzera deve continuare ad ascoltare i richiedenti l’asilo e determinare se hanno il diritto a una protezione, come vuole la prassi. Le condizioni in Eritrea offrono sufficienti elementi per concedere l’asilo a numerose persone. Siamo in una situazione di emergenza. È per questo che la gente fugge.

Lo statuto di rifugiato non deve essere concesso in funzione delle politiche del paese ospitante, ma della situazione nel paese di origine. Se la situazione non cambia, come è possibile modificare la politica d’asilo in Svizzera? È questo che mi infastidisce nel discorso politico: non si tenta di capire cosa succede sul posto e di fare qualcosa. La reazione è invece quella di dire che bisogna cambiare la politica in Svizzera. Ma il problema non è la politica in Svizzera, è la politica in Eritrea!

swissinfo.ch: Ma come cambiare la situazione in Eritrea?

D. B.: Bisogna fare pressione sull’Eritrea e anche sull’Etiopia affinché risolvano la vertenza sulle frontiere. Quest’ultima è d’altronde l’argomento principale che il regime eritreo usa per giustificare la mobilitazione totale della sua popolazione.

Inoltre, la Svizzera dovrebbe, in accordo con l’Ue e altri attori quali la Cina e i paesi del Medioriente, mettersi al tavolo con il governo eritreo per discutere di come migliorare la situazione. Per far sì che gli eritrei rimangano nel loro paese non ci vuole forzatamente un cambio di regime, ma un sistema politico che sia rispettoso delle libertà individuali e che fornisca una certa protezione alle persone.

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