Prospettive svizzere in 10 lingue

Genocidio: un’accusa non priva di rischi

Il presidente sudanese al-Bashir ringrazia i suo sostenitori durante una manifestazione a Khartum Reuters

L'accusa di genocidio sporta contro il presidente sudanese per i crimini commessi nel Darfur è una mossa coraggiosa, ma non priva di rischi, secondo un esperto di diritto internazionale attivo a Ginevra.

Per meglio comprendere la decisione del procuratore generale della Corte penale internazionale (CPI) di incriminare il capo di Stato sudanese Omar al-Bashir, swissinfo ha interpellato Andrew Clapham, professore di diritto internazionale all’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra.

Il procuratore Luis Moreno-Ocampo ha esortato lunedì la CPI a spiccare un mandato di arresto contro al-Bashir, accusato di essere all’origine del massacro di 35’000 persone e dell’esilio di 2,5 milioni.

I giudici della corte dell’Aia, un organo giuridico indipendente, hanno tre mesi per decidere se ci sono prove sufficienti per giustificare un mandato di arresto contro al-Bashir.

Immediata la risposta del parlamento sudanese, che ha aspramente criticato l’accusa emessa nei confronti del presidente. Un atto, secondo i deputati, che mette in serio pericolo il processo di pace nel Darfur.

Disappunto è stato espresso anche dalla Cina, tra i maggiori investitori nell’industria petrolifera sudanese e principale fornitore di armi per il governo di Khartum.Alcuni stati occidentali hanno invece chiesto il rispetto delle decisioni prese in seno alla CPI.

Le Nazioni Unite hanno alzato il livello di sicurezza nel paese africano e hanno ritirato il personale non essenziale per timore di rappresaglie. Le agenzie umanitarie hanno tuttavia assicurato che, nonostante la temporanea riduzione degli effettivi, la missione in Darfur non è minimamente in discussione.

swissinfo: È la prima volta che un procuratore della CPI denuncia un capo di stato in carica. Come valutare questa decisione senza precedenti?

Andrew Clapham: È senza dubbio una mossa coraggiosa, ma comporta anche qualche rischio. Il fatto che al-Bashir sia presidente e primo ministro del Sudan, non significa che possa beneficiare di qualche tipo di immunità.

Lo statuto della CPI non lascia dubbi in questo senso: secondo l’articolo 27, infatti, anche un presidente in carica può essere giudicato. Accusare Bashir implica tuttavia una responsabilità sia per lo Stato che il governo. Siccome l’accusa è di genocidio, il quadro si fa piuttosto complesso.

Non sono a conoscenza delle prove e non posso quindi giudicare quanto è stato fatto. È comunque molto difficile documentare e provare l’effettiva intenzione di distruggere un intero gruppo etnico.

Di fronte a un’accusa di questo tipo, l’attenzione del pubblico è grande, ma si corre anche il rischio di tradire le aspettative delle numerose vittime. Sarebbe paradossale se la corte dovesse stabilire che non ci sono abbastanza prove a conferma del reato di genocidio. Ma è difficile dare un giudizio sulla strada scelta dal procuratore. È una strategia ad alto rischio.

swissinfo: Se la CPI decide di emettere un mandato di arresto, quali sono le probabilità che al-Bashir venga effettivamente messo in prigione?

A.C.: Nello stato attuale delle cose, le probabilità di un arresto sono scarse, a meno che Bashir decida di recarsi all’estero o che la situazione in Sudan precipiti.

Ciò che conta è mettere nero su bianco quanto accaduto, senza cercare per forza un risultato immediato, come nel caso della presenza di al-Bashir davanti alla corte.

swissinfo: Quale impatto avrà l’accusa sul processo di pace e l’aiuto umanitario in Sudan?

A.C.: È davvero difficile prevedere quale saranno le conseguenze sul processo di pace in corso.

Alcuni analisti sostengono che le accuse di genocidio mosse da una corte internazionale contro l’ex presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic e contro Charles Taylor, ex presidente della Liberia, hanno contribuito a delegittimarli di fronte al popolo.

Questa decisione rischia tuttavia di indebolire ulteriormente gli sforzi umanitari nella regione e i giudici sembrano essere coscienti di questo. Sinceramente non so in che modo potrebbe o dovrebbe agire la comunità internazionale per proteggere gli operatori umanitari e evitare che siano visti come degli alleati del sistema giudiziario.

È un problema che sorge ogni volta che si cerca di garantire una certa trasparenza nel bel mezzo di una crisi umanitaria o di un conflitto armato.

swissinfo: Voci critiche ritengono che la CPI sia come una “tigre di carta”, i cui progressi raggiunti finora in Uganda, Congo e Repubblica centrafricana sono alquanto ridotti. E la situazione non sembra più rosea in Sudan… Qual è la sua opinione?

A.C.: C’è una grande differenza tra l’iniziativa della corte internazionale nei confronti del Sudan e quelle intraprese contro altri paesi. Nel caso di al-Bashir, infatti, era stato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, nel 2005, a chiedere alla corte di indagare sui crimini commessi. Questo aspetto modifica sensibilmente le aspettative della comunità internazionale in merito alla cooperazione con i giudici riguardo alle decisioni che prenderanno sul Sudan.

In questo caso, gli impegni da rispettare sono più vasti e probabilmente più importanti e dunque vincolanti. Se il Consiglio di sicurezza si servisse regolarmente delle risoluzioni ONU quale strumento coercitivo, come nel caso del mandato di arresto contro al-Bashir, allora ogni paese sarebbe obbligato, sotto l’egida dell’ONU, a cooperare con la corte dell’Aia.

Intervista swissinfo, Simon Bradley
(traduzione e adattamento di Stefania Summermatter)

Il conflitto nel Darfur, nell’ovest del Sudan, dura ormai da quattro anni e la crisi umanitaria si fa sempre più drammatica.

I negoziati di pace non sono infatti riusciti a smuovere la situazione: soltanto 9’000 dei 26’000 uomini della missione dell’ONU e dell’Unione africana sono effettivamente attivi sul campo e i due terzi della popolazione continua a dipendere dagli aiuti delle organizzazioni internazionali.

Il conflitto, che ha sinora provocato più di 200 mila morti e oltre 2,5 milioni di profughi in Sudan e 400 mila nel Ciad, ha assunto nuove sfaccettature e sembra entrato in una seconda fase, che rischia di peggiorare rapidamente.

Il coordinatore umanitario ONU, Mike McDonough, si dice preoccupato per una serie di avvenimenti a rischio: aumento della violenza, sovraffollamento dei campi profughi e carestia.

Nel mese di febbraio 2007 la CPI ha accusato due ufficiali sudanesi di crimini di guerra nel Darfur. Il governo di Karthum ha immediatamente fatto sapere di non riconoscere la valenza di simili denunce.

Luis Moreno-Ocampo, procuratore della Corte penale internazione (CPI), ha accusato il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra in Darfur.

Bashir è sospettato di aver elaborato e messo in atto un piano per distruggere tre popolazioni del Darfur (Fur, Masalit e Zaghawa), sulla base della loro appartenenza etnica.

La tesi del procuratore si basa sul fatto che gli attacchi a queste tribù e la distruzione dei loro villaggi non avrebbe potuto aver luogo per così tanti anni senza un ordine esplicito da parte del capo del governo.

La CPI, con sede all’Aia, è stata istituita nel 2002 quale prima corte permanente contro i crimini di guerra.

In conformità con gli standard di JTI

Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative

Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti Potete trovare una panoramica delle discussioni in corso con i nostri giornalisti qui.

Se volete iniziare una discussione su un argomento sollevato in questo articolo o volete segnalare errori fattuali, inviateci un'e-mail all'indirizzo italian@swissinfo.ch.

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR

SWI swissinfo.ch - succursale della Società svizzera di radiotelevisione SRG SSR