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Il contrabbando e i tentacoli della criminalità

I tre procuratori del Ministero pubblico della Confederazione titolari dell'inchiesta: (da sinistra a destra) Lienhard Ochsner, Stefan Lenz e Adrian Ettwein Keystone

Altro che spalloni carichi di stecche per sfuggire all'indigenza. Oggi il contrabbando è legato a doppio filo alla criminalità organizzata. Lo ha ricordato il Ministero pubblico della Confederazione nella sua requisitoria al processo sulla mafia delle sigarette.

Al Tribunale penale federale a Bellinzona, dove si stanno consumando gli atti finali del processo alla cosiddetta mafia delle sigarette – il più grande processo del genere mai celebrato in Svizzera – la parola è passata al Ministero pubblico della Confederazione (MPC) e, successivamente, alle difese.

Al di là delle singole responsabilità degli imputati accusati di “partecipazione, eventualmente sostegno, a un’organizzazione criminale e riciclaggio di denaro”, la pubblica accusa ha voluto dare un messaggio molto chiaro.

Lottare contro la criminalità

La Svizzera deve dare il proprio contributo alla lotta contro le organizzazioni criminali, veri e propri gruppi transnazionali del crimine “che sfruttano le possibilità specifiche locali in vari paesi per le loro attività”.

L’inchiesta Montecristo, sfociata nell’attuale processo, dimostra come i tentacoli della criminalità organizzata si sono estesi fino in Svizzera. “La Svizzera – sottolinea l’MPC – non può e non deve presentarsi quale luogo sicuro dove occultare i fondi delle organizzazioni criminali, né quale rifugio o piattaforma per la logistica della criminalità organizzata”.

Le difese, dal canto loro, hanno smontato le teorie dell’accusa, ridimensionando ruolo e responsabilità dei loro patrocinati. In particolare hanno contestato – in parte sulla base delle dichiarazioni del capo della Squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani – il legame diretto del provento del contrabbando di sigarette con la Camorra, dal momento che questa organizzazione criminale non è attiva nel campo del commercio illegale del tabacco. I soldi arrivati in Svizzera, insomma, provenivano dal contrabbando delle sigarette e non da attività mafiose, e venivano immessi nuovamente nel mercato delle sigarette, e non in altre attività criminose.

Le tre scimmiette

I procuratori Adrian Ettwein, Stefan Lenz e Lienhard Ochsner non hanno dubbi: gli accusati hanno partecipato a organizzazioni criminali o le hanno sostenute, contribuendo così a generare giganteschi utili attraverso un mercato monopolistico nel quadro di attività illegali diversificate, tra cui il contrabbando di sigarette e lo smercio nei circuiti ramificati del mercato nero.

Mentre illustrano le tesi accusatorie, le statue delle tre scimmiette simbolo dell’omertà (non sento, non vedo e non parlo), campeggiano discretamente sul banco dove si esprimono. Ricostruendo con pazienza ruoli e responsabilità dei singoli imputati, i tre procuratori hanno sostanzialmente insistito su un fatto: le persone che oggi devono rispondere alla giustizia non possono far finta di non sapere, o di non aver saputo, la natura delle attività a cui hanno preso parte.

“Gli accusati potevano svolgere le attività criminali di cui è questione solo grazie ai loro contatti con le alte sfere della politica montenegrina. Sapevano che senza il placet di questi ultimi non sarebbe stato possibile. Il fatto che la mafia gestisca anche non pochi affari legali, non toglie che gli imputati debbano rispondere alle accuse di aver partecipato, con le loro attività, al perseguimento di uno scopo criminale”.

“E per il perseguimento di tale scopo – sottolinea l’MPC – il loro intervento è stato almeno indirettamente essenziale e ha permesso alla Camorra e alla Sacra Corona Unita di generare ingenti utili e di consolidare il potere delle organizzazioni. La procedura probatoria ha dimostrato che le organizzazioni criminali di stampo mafioso menzionate, erano in grado di costituire, gestire e mantenere sul lungo termine il mercato nero anche con mezzi criminali”.

I fili intrecciati di legalità e illegalità

Secondo i tre procuratori le tesi degli accusati, secondo cui i fatti giudicati al TPF sarebbero semplicemente reati relativi alle tasse e dunque irrilevanti per il diritto penale svizzero, non reggono neppure dal profilo giuridico.

“Se in Svizzera gli interventi veri e propri non erano, di per sé, necessariamente illegali – sostiene l’MPC – questi erano comunque indirettamente essenziali per il perseguimento di attività criminose. Le prove consentono di affermare che i rappresentanti della Camorra e della Sacra Corona Unita hanno infiltrato nel sistema bancario svizzero l’equivalente di almeno 1 miliardo di franchi svizzeri”. Una cifra impressionate e indicativa della prosperità del mercato nero.

Alcuni avvocati della difesa, che mercoledì hanno iniziato le arringhe, sono tornati sulla questione della lingua usata nel processo, come promesso fino dalle prime battute: la maggioranza degli accusati non sa il tedesco, e pertanto è stato leso uno dei diritti più elementari e il principio di un processo equo.

La visione della difesa

Se la questione linguistica non è da considerarsi per nulla marginale, la difesa ha proceduto agli affondi nella trincea accusatoria in diversi punti. In alcuni casi gli avvocati hanno usato l’aggettivo “ridicolo” nel qualificare le accuse di riciclaggio di denaro e hanno unanimemente contestato i legami diretti dei loro patrocinati con le organizzazioni criminali. Non poteva non essere evidenziato, inoltre, il fatto che nell’ordinamento giuridico svizzero il contrabbando non costituisca un reato di natura criminale.

Nelle arringhe il capitolo delle prove – ritenute “inconsistenti” e non sufficienti per comprovare i reati contestati – ha avuto un posto di rilievo. Per non parlare dell’attendibilità e della credibilità dei pentiti, tuttora oggetto di dibattito in Italia, dal momento che i collaboratori di giustizia forniscono informazioni in cambio di sconti di pena.

Estrapolando le dichiarazioni dell’inquirente italiano Vittorio Pisani, è stato infine sottolineato che le persone costrette a pagare il pizzo alla Camorra per le proprie attività di contrabbando, sono in realtà vittime della criminalità organizzata. Contestate, inevitabilmente, non solo le accuse di riciclaggio di denaro, ma anche le richieste di pena accompagnate da richieste di risarcimento per torto morale.

Françoise Gehring, Bellinzona, swissinfo.ch

I nove imputati – quattro cittadini svizzeri, tre italiani, uno spagnolo e un francese – sono accusati di “partecipazione, eventualmente sostegno, a un’organizzazione criminale e riciclaggio di denaro”.

Avrebbero riciclato oltre un miliardo di franchi, provento del contrabbando di almeno 215 milioni di stecche di sigarette dal Montenegro all’Italia fra il 1994 e il 2001.

Il denaro incassato sarebbe stato portato da corrieri in Svizzera, per essere “in gran parte reintrodotto nel circuito finanziario legale attraverso l’ufficio di cambio di uno degli accusati e riutilizzato, conformemente al desiderio dell’acquirente, per l’acquisto di sigarette provenienti da depositi non soggetti a tasse doganali”.

Il Ministero pubblico della Confederazione ha formulato le seguenti richieste di pena:
Paolo Savino 4 anni e mezzo; Luis Garcia 4 anni e mezzo; Franco Della Torre 3 anni; Patrick Monnier 3 anni; Michele Varano 4 anni; Nelly Scheurer 9 mesi con la condizionale; Alfredo Bossert 4 anni; Roland Rebetez 12 mesi con la condizionale; Pierto Virgilio 4 anni.

I procuratori hanno anche chiesto la confisca di beni immobiliari e conti bancari per un valore complessivo di diversi milioni di franchi

Il processo durerà fino al 19 giugno. Non è ancora chiaro quando verrà resa nota la sentenza.

All’epoca dei fatti del processo in corso al Tribunale penale federale a Bellinzona il reato di contrabbando organizzato non costituiva un crimine in Svizzera. Non era pertanto considerato un reato a monte del riciclaggio di danaro.

Il parlamento svizzero ha adottato nel 2008 una serie di modifiche legislative per soddisfare le principali raccomandazioni del GAFI (Gruppo d’azione Finanziaria) in materia di lotta al riciclaggio di danaro.

Le modifiche legislative si concentrano su diverse tematiche, fra le quali figura pure l’inserimento nel diritto svizzero di nuovi reati a monte del riciclaggio di danaro.

Secondo la nuova legislazione il contrabbando organizzato è ora considerato un reato qualificato (ossia grave) che prevede come sanzione la pena detentiva fino a cinque anni o la pena pecuniaria.

swissinfo.ch

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