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Il thriller di una sconfitta svizzera nelle urne

Faccia a faccia tra un pacifista e un ex pilota militare: Jo Lang (a sinistra) e Christophe Keckeis. Fabian Unternährer

È una storia di cui si conosce già la fine: il 18 maggio 2014, il popolo svizzero ha respinto col 53% dei voti l’acquisto dell’aereo da combattimento Gripen. Eppure il regista Frédéric Gonseth è riuscito a mantenere la suspense fino alla fine del film, che descrive gli ingranaggi della macchina democratica svizzera e il granello di sabbia che basta per bloccarla.

No, la politica svizzera non è forzatamente monotona e noiosa. Dal successo cinematografico “Mais im Bundeshuus – Le génie helvétique” di Jean-Stéphane Bron, uscito nel 2004 (90mila spettatori), i registi svizzeri si sono cimentati più volte con film sugli ingranaggi della democrazia, come “Die Demokratie ist los!”, di Thomas Isler, oppure “Die Göttliche Ordnung” di Petra Volpe, premiato con il “Prix de Soleure” alle Giornate cinematografiche di Soletta.

È proprio in questa cittadina sulle rive dell’Aare che Frédéric Gonseth ha presentato la Battaglia del Gripen (titolo originale: «La Bataille du GripenCollegamento esterno»), un thriller politico-democratico di 96 minuti, frutto di nove mesi di riprese e due anni di montaggio. «L’accoglienza è stata fantastica, si rallegra il regista. I protagonisti principali erano presenti e hanno reagito bene, con mio grande sollievo. Il pubblico ha seguito bene, ha capito l’obiettivo, a volte ha riso e alla fine della proiezione c’è stato un dibattito di quasi due ore».

Un certo fiuto

In Svizzera, l’acquisto di aerei da combattimento è tradizionalmente un tema particolarmente emotivo. Che si tratti dei Mirage negli anni Sessanta o degli F/A-18 negli anni Novanta, «ci si ritrova con sei milioni di esperti nel paese», osserva in modo malizioso nel film Ueli Mauer, l’allora ministro della difesa.

«Ho deciso di fare questo film non appena ho saputo che gli oppositori all’acquisto dei Gripen avevano raccolto abbastanza firme per il referendum», prosegue Frédéric Gonseth, ammettendo senza falsa modestia di «avere avuto n certo fiuto».

Poiché allora nulla lasciava presagire una campagna movimentata e un esito imprevisto per il Gripen. In quel periodo, nel settembre 2013, il movimento pacifista svizzero è in ginocchio: il 73% dei votanti ha appena respinto l’iniziativa per l’abolizione del servizio militare obbligatorio. I militari possono gonfiare il petto: l’acquisto del nuovo aereo, approvato dal parlamento, sarà accolto a braccia aperte anche dal popolo. Anche perché i cittadini svizzeri non hanno mai votato contro l’esercito.

«La vittoria non è poi così scontata», si dice invece il regista quando un partito di destra, i Verdi liberali, annuncia la sua opposizione. «I segnali erano confusi, stava accadendo qualcosa di inaspettato, al punto da rendere l’esito del voto incerto. E nel corso della campagna, i capovolgimenti delle alleanze, gli imprevisti e i colpi di scena hanno scritto una storia che si prestava molto meglio a un film che non il classico scontro destra-sinistra».

Neutralità

Unico nel suo genere, «La Bataille du Gripen» non è un film sulla fase parlamentare del processo politico, ma sulla fase della democrazia diretta, una specialità che la Svizzera è unica al mondo a praticare su scala nazionale. Il regista ha dunque dato voce non solo ai politici in carica, ma anche ai militanti della società civile e a semplici cittadini, che talvolta si oppongono a ciò che le élite hanno costruito dopo anni e anni di lavoro.

Col suo passato da militante di sinistra e i suoi impegni in campo umanitario, Frédéric Gonseth ha dovuto dare alle due parti delle garanzie di neutralità. «Ho detto loro che non avrei votato e che dal film non sarebbe emersa la mia opinione». E di fatto lo spettatore non indovinerebbe mai come avrebbe votato il regista. È d’altronde così che Gonseth vede il suo ruolo e quello dei giornalisti: «Il modo per essere più utili al nostro paese è quello di agire come osservatori neutrali e non di aggiungersi alla lista di cittadini che urlano o votano in modo partigiano».

La mania del dettaglio

Ma non è che quello dei Gripen era un tema troppo complicato per il semplice cittadino? Nel film, il pilota ed ex capo dell’esercito Christophe Keckeis sostiene che l’acquisto di un aereo è un argomento troppo tecnico per essere sottoposto a voto popolare.

«Non posso essere d’accordo, ma capisco le sue ragioni, afferma il regista. È un difetto della democrazia diretta: a volte si vota su dei dettagli, come nel caso dei minareti o della naturalizzazione facilitata, quando invece siamo di fronte a un problema globale. Bisognerebbe votare di più su dei principi, per esempio a favore o contro un aereo militare. Forse il popolo dovrebbe essere più maturo e rifiutare di firmare un’iniziativa quando questa nasconde dietro a un falso problema, uno vero».

Alla fine del film, il regista ha invitato i leader dei due schieramenti che si sono affrontati durante la campagna a due incontri faccia a faccia. Incontri tutt’altro che spontanei, ma civili. «C’è una cultura del rispetto della democrazia svizzera. A volte è rimessa in questione, in particolare a causa dell’aggressività della destra, ma in ogni caso continua ad esistere».

Ci non significa, aggiunge il regista, che il paese non sia confrontato con tensioni o disuguaglianze. «Non voglio sembrare naif, ma abbiamo mantenuto questo lato cittadino che viene da lontano. Forse è un retaggio della Landsgemeinde, anche in regioni dove in realtà questa forma di votazione popolare per alzata di mano non è mai esistita».

Traduzione dal francese: Stefania Summermatter

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