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Il Senegal alle urne per l’elezione della paura

Nelle strade di Dakar la tensione è alle stelle con l'avvicinarsi delle elezioni del 26 febbraio Fabien Olivier

A lungo considerato come un modello di stabilità e democrazia in Africa, il Senegal è in preda a violenze senza precedenti in vista delle elezioni presidenziali del 26 febbraio. La contestata candidatura del presidente uscente Abdoulaye Wade attizza gli animi.

«Abdoulaye Wade ha fatto cadere tutti i nostri simboli, tutte le nostre conquiste democratiche. Se persiste nel voler imporre la sua candidatura, allora il Senegal sprofonderà veramente nel caos». Questo imprenditore senegalese, che ha vissuto a Ginevra, fa eco alle migliaia di manifestanti che da diverse settimane protestano nelle strade di Dakar e di numerose altre città del paese contro la validazione da parte del Consiglio costituzionale della candidatura del presidente uscente Wade e la bocciatura di quella del popolare cantante Youssou N’Dour.

Di fronte a un’opposizione poco strutturata, Abdoulaye Wade, 86 anni, è quasi certo di vincere il 26 febbraio. Eppure, all’inizio del suo primo mandato, il candidato del Partito democratico senegalese (PDS) si era vantato di aver «chiuso a chiave» la Costituzione, affinché non potesse ripresentarsi per una terza volta nel 2012. Da allora, il presidente ha voltato gabbana, non nascondendo più la sua volontà di rimanere al potere per poi trasmetterlo al figlio Karim.

Per molti senegalesi, l’arresto di decine di oppositori e la violenza della polizia nei confronti dei manifestanti sono oggi il segnale evidente della deriva autoritaria del regime. «Molte persone non capiscono più perché Wade si aggrappi al potere malgrado la sua età avanzata e temono che, nel caso in cui fosse rieletto, il paese si trasformerebbe in una dittatura», spiega Fabien Olivier, giornalista per il canale televisivo Canal Info News.

Temendo rappresaglie, dei rappresentanti di ONG hanno preferito non esprimere la loro opinione in merito alle forte tensioni che stanno scuotendo il Senegal. Un giornalista di un media privato afferma dal canto suo di essere stato confrontato con la censura per la copertura degli avvenimenti attuali.

Difendere l’eccezione senegalese

La situazione è inedita poiché dall’indipendenza nel 1960, malgrado le turbolenze e le elezioni a volte contestate, il Senegal ha mostrato di essere un buon allievo nell’applicare la democrazia, contrariamente ad altri paesi vicini. Per coloro che si oppongono alla rielezione di Abdoulaye Wade, si tratta appunto anche di difendere questa «eccezione nazionale», le cui origini risalirebbero all’abolizione della schiavitù e al diritto di voto accordato sin dal 1848 a quattro comuni senegalesi durante la Terza Repubblica francese.

Esprimendosi per iscritto, dei lettori di swissinfo.ch in Senegal, pur essendo divisi sul bilancio del presidente uscente, sono unanimi nel sottolineare questo attaccamento alle conquiste democratiche. «Non vogliamo che Wade si trasformi in Gbagbo o in un altro di questi dittatori africani», afferma uno di essi. Le testimonianze insistono però soprattutto sulla volontà di difendere questo spirito pacifico che sarebbe la principale forza del paese.

«Personalmente sono contrario alla candidatura di Wade. Ma visto che il Consiglio costituzionale ha deliberato, dobbiamo rispettare la sua decisione e recarci alle urne per far cadere il regime di Wade. Salvaguardiamo la caratteristica pacifica e democratica della nostra cara nazione», sottolinea un altro lettore.

Professore all’Istituto degli alti studi internazionali e dello sviluppo di Ginevra, Jean-Louis Arcand non si fa illusioni: «Tutti i segnali mostrano che l’elezione di domenica sarà truccata. Non dimentichiamoci però che prima di farsi eleggere, Wade si è fatto rubare due elezioni da Abdou Diouf. Ciò che mi preoccupa è soprattutto l’uso massiccio delle forze dell’ordine per reprimere le manifestazioni. È la prima volta che succede nella storia del Senegal».

Mancanza di prospettive

Bisogna temere una escalation all’indomani dell’elezione? «Se Wade è rieletto al primo turno, temo proprio di sì, afferma il giornalista Fabien Olivier. Non credo però che si verificherà uno scenario come in Costa d’Avorio. I senegalesi hanno un forte sentimento d’appartenenza nazionale che permetterà loro di mettersi d’accordo sul futuro del paese».

Un’opinione che Jean-Louis Arcand condivide: «La guerriglia non fa parte della tradizione senegalese. Inoltre, le confraternite musulmane, che valorizzano un islam molto tollerante, svolgono un ruolo essenziale per la stabilità».

La collera manifestata da una parte della gioventù senegalese riflette comunque il profondo risentimento nei confronti di una classe politica incapace di garantire il minimo vitale alla sua popolazione. Corruzione, nepotismo e clientelismo sono dei fenomeni che durante i due mandati di Wade si sono aggravati, spiega l’economista senegalese Sanou Mbaye nelle colonne di Le Monde Diplomatique: «Le élite non hanno smesso di frenare ogni crescita industriale, accaparrandosi le licenze di importazione dei prodotti alimentari e manifatturieri per accrescere le loro fortune personali».

Esplosione delle ineguaglianze

L’inaugurazione nel 2010 di una gigantesca statua in bronzo ideata dalla Corea del Nord, il cui costo è stimato 24 milioni di euro e considerata il simbolo della megalomania del presidente Wade, non ha di certo contribuito a pacare gli animi di una gioventù che spesso ha come unico orizzonte l’esilio.

«Nel corso degli ultimi dieci anni, vi è stata un’esplosione delle ineguaglianze, sostiene Jean-Louis Arcand. Il patto sociale è stato rotto. Vedendo come la classe politica ha fatto man bassa, la gente ha perso ogni illusione. Anche in campagna, dove gli agricoltori vivono con 25 centesimi di dollari al giorno, non vi è più nessuno che sostiene ancora Wade».

Per lo specialista di sviluppo, il principale fattore che spiega le difficoltà economiche del paese è l’incapacità di accrescere la sua produttività agricola. Il Senegal, ad esempio, importa l’80% del riso. Difficilmente, però, le frustrazioni accumulate sfoceranno in una direzione comune: «Quando molta gente che ha qualcosa da perdere da un’elezione si trova di fronte a poche persone che hanno enormemente da perdere, ovvero il regime e la sua cerchia, è sempre la seconda categoria ad uscirne vincitrice».

Domenica 26 febbraio, 5,3 milioni di elettori senegalesi sono chiamati alle urne per il primo turno dell’elezione presidenziale. L’uscente Abdoulaye Wade, 86 anni, si ripresenta per un nuovo mandato. Oltre a Wade, grande favorito, sono in lizza altri 13 candidati.

Storico membro dell’opposizione, Abdoulaye Wade è stato eletto una prima volta nel 2000, poi confermato per una secondo mandato nel 2007. All’inizio del suo secondo mandato aveva annunciato di non voler ripresentarsi una terza volta, poiché la Costituzione non glielo permetteva. Dal 2009 ha però detto che sarebbe stato candidato anche nel 2012.

Questa nuova candidatura è giudicata «illegale» dall’opposizione. I simpatizzanti di Wade, invece, affermano che le riforme della Costituzione nel 2001 e 2008 gli permettono di ripresentarsi.

Dalla validazione, il 27 gennaio scorso, della candidatura di Wade, almeno 6 persone sono state uccise, una ventina ferite e numerose altre arrestate a Dakar e in provincia durante delle manifestazioni che chiedevano il suo ritiro.

Il Movimento del 23 giugno (M23), una coalizione di partiti d’opposizione e di organizzazioni della società civile, è in prima fila per contrastare la candidatura di Wade. Il cantante Youssou N’Dour, la cui candidatura è stata invalidata dal Consiglio costituzionale, è pure molto presente durante le manifestazioni.

La prima presenza ufficiale della Svizzera in Senegal risale al 1928, con l’apertura di un consolato a Dakar. Dopo l’indipendenza nel 1960, la Svizzera ha immediatamente riconosciuto l’ex colonia francese.

Dagli anni ’60, i due Stati hanno siglato tutta una serie di accordi (commercio, trasporti aerei, protezione degli investimenti, cooperazione tecnica…), ma gli scambi economici sono rimasti modesti.

Nel 2010, 364 svizzeri vivevano in Senegal.

Popolazione: 12,9 milioni

Religione: Islam (94%), cristianismo (4%), animismo (2%).

Mortalità infantile: 75 su 1000 (meno di 5 anni)

Fecondità: 4,4 bambini per donna

Speranza di vita: 56 anni

Reddito nazionale lordo: 1’042 dollari pro capite

Tasso d’alfabetizzazione: 39%

Indice di sviluppo umano: 144esimo su 169 paesi

(Fonte: Banca mondiale, PNUD, ministero degli esteri francese)

Traduzione di Daniele Mariani

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