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Diritto di asilo difficile per gli omosessuali perseguitati

Manifestazioni di protesta in Kenia contro una legge anti-omosessuali adottata nel febbraio scorso Keystone

Per le persone perseguitate in seguito al loro orientamento sessuale rimane ancora oggi difficile ottenere diritto di asilo in Svizzera. La legislazione elvetica è infatti più restrittiva rispetto a quella di altri paesi europei. Da alcuni anni si denota però una maggiore sensibilità.

Samuel* aveva sofferto per diversi anni lo stigma della sua omosessualità in Tanzania: non poteva fare acquisti nei negozi, consultare un medico o usufruire di servizi sociali. Quando il suo fidanzato venne arrestato, si rese conto di non avere più altra scelta che lasciare il suo paese d’origine.

Dopo essere riuscito a raggiungere l’Europa, salì su un treno che lo portò fino in Svizzera. Qui si rivolse alle autorità per chiedere aiuto e asilo politico. Due anni più tardi, Samuel è ancora in attesa di una decisione da parte delle autorità.

John* è stato arrestato mentre si trovava ad una festa in Uganda. Accusato di aver partecipato ad un raduno di omosessuali e giudicato inattivo e disordinato, è stato condannato ad una pena detentiva di 40 giorni, durante la quale è stato picchiato e violentato. Scontata la pena è riuscito a fuggire in Svizzera, grazie all’aiuto di un conoscente che disponeva di una buona rete di contatti.

Ifaenyi Orazulike è un attivista omosessuale nigeriano, giunto a Ginevra per seguire la Revisione periodica universale della Nigeria (UPU) da parte del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite.

A suo avviso, la Svizzera è un paese molto restrittivo per quanto riguarda il diritto di asilo accordato a lesbiche, gay, bisessuali, trasgender e intersessuali (LGBTI) provenienti dalla Nigeria. La politica di asilo elvetica è molto conservatrice e la procedure sono “troppo difficili” rispetto ad altri paesi. Inoltre, la barriera della lingua costituisce una sfida supplementare.

Negli ultimi anni, per designare la comunità gay, lesbica e transessuale si utilizza sempre più spesso l’acronimo LGBTI, più inclusivo del termine «omosessuale».

L sta per lesbiche, G per gay, B per bisessuali, T per transgender e I per intersessuali (termine che ingloba ad esempio gli ermafroditi).

Numero sconosciuto

È impossibile conoscere il numero esatto di persone che hanno inoltrato una domanda di asilo in Svizzera per la stesse ragioni di quelle fatte valere da Samuel e John. Come indicato dall’Ufficio federale della migrazione (UFAM), nelle statistiche vengono raccolti solo dati generali, come l’età dei richiedenti l’asilo, il genere e la nazionalità. Sibylle Siegwart, portavoce dell’UFAM, stima tuttavia che le richieste di asilo motivate da ragioni legate all’orientamento sessuale sono generalmente aumentate negli ultimi anni.

Da parte sua, l’avvocato Martin Bertschi è a conoscenza di una novantina di casi LGBTI esaminati nel periodo tra il 1993 e il 2007. In base ai suoi dati, solo quattro persone hanno ottenuto il diritto di asilo. Secondo Queer Amnesty, una sezione di Amnesty International, una sessantina di persone perseguitate per il loro orientamento sessuale hanno inoltrato una domanda di asilo dal novembre 2009.

“Da diversi anni, gli omosessuali vengono trattati come un particolare gruppo sociale presso l’Ufficio federale della migrazione”, osserva Sibylle Siegwart. Le domande di asilo inoltrate da LGBTI vengono inserite nella categoria delle persecuzioni di persone appartenenti ad una specifica cerchia sociale.

Situazione in Svizzera

Per Denise Graf, coordinatrice del settore asilo presso la sezione svizzera di Amnesty International, questa categorizzazione non va abbastanza lontano per proteggere i richiedenti asilo LGBTI. “Da quando questioni e discriminazioni specifiche delle donne sono state integrate quale motivo formale di asilo nella legislazione svizzera (15 anni fa), vi sono state numerose decisioni favorevoli per casi motivati da mutilazioni genitali, problemi familiari, matrimoni forzati e abusi”.

“In quest’ambito è emersa una maggiore sensibilità. Abbiamo sperato che la legge venisse adeguata allo stesso modo per le persone LGBTI, perseguitate in seguito al loro orientamento sessuale”, aggiunge Denise Graf.

“Molti paesi in Europa seguono una pratica più generosa” rispetto alla Svizzera per quanto concerne i casi LGBTI, prosegue la coordinatrice di Amnesty International, citando l’esempio di una richiesta di asilo accolta in Spagna nell’ambito dell’accordo di Dublino. A questa persona probabilmente non sarebbe stato concesso asilo in Svizzera.

Nel novembre scorso, la Corte di giustizia europea ha dichiarato l’omosessualità quale motivo valido per ottenere diritto di asilo, in caso di persecuzione. La legislazione svizzera non si spinge invece così lontano. Nel 2009 la Camera del popolo ha votato contro la proposta di includere le persecuzioni legate all’orientamento sessuale nel diritto svizzero in materia di asilo.

In decine di paesi di tutto il mondo la legislazione vieta l’omosessualità. Casi di persecuzioni o discriminazioni sono emersi negli ultimi anni tra l’altro in Uganda, Nigeria e Russia.

Il 24 febbraio scorso, il presidente dell’Uganda ha firmato una legge contro l’omosessualità, che prevede pene detentive fino all’ergastolo per attività omosessuali e il sostegno di tematiche LGBTI. Il segretario di Stato americano John Kerry ha annunciato il 18 marzo che avrebbe inviato degli “esperti” in Uganda per discutere della legge con il presidente dello Stato africano.

Durante una recente visita in Nigeria, l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti Umani Navi Pillay ha dichiarato che un divieto legale del matrimonio tra persone dello stesso sesso non viola gli accordi internazionali..

Nel giugno 2013, la Russia ha promulgato una legge che vieta la propaganda di attività LGBTI, allo scopo di impedire la diffusione di idee relative a “rapporti sessuali non tradizionali ” tra i minori. Questa legge ha suscitato delle proteste internazionali, in particolare durante i Gochi olimpici invernali del 2014 a Sochi.

Terreno delicato

“Un richiedente asilo omosessuale non ottiene automaticamente l’asilo. Deve dimostrare di essere personalmente minacciato come tale nel suo paese d’origine”, indica Sibylle Siegwart .

Jakob Keel, collaboratore di Queer Amnesty che lavora esclusivamente con i richiedenti asilo LGBTI, osserva che il compito di provare la persecuzione e l’ammissione di essere gay nei confronti delle autorità elvetiche è spesso estremamente difficile. A volte può essere anche un’esperienza traumatica per i richiedenti che hanno dovuto vivere a lungo nell’ombra.

“Recentemente ho dovuto spiegare a un richiedente che cosa doveva dire ai funzionari dell’Ufficio federale della migrazione. Gli ho detto che era importante raccontare in dettaglio quello che gli era successo, così come lo aveva raccontato a me”, sottolinea Jakob Keel. “Normalmente non dovrebbe dire ad un rappresentante delle autorità che è gay. Abbiamo quindi dovuto fargli capire che questo motivo era importante”.

John è un esempio tipico. Nel descrivere la sua esperienza a swissinfo.ch, ammette di incontrare grandi difficoltà a parlarne e ha dovuto fare ricorso ad uno psichiatra. “Ne sono rimasto traumatizzato e ho tentato di non pensarci più”.

Fornire le prove

Secondo Ifaenyi Orazulike, le persone LGBTI non fuggono solo perché sono perseguitate o attaccate. Spesso non hanno neppure accesso all’istruzione, ad un’assistenza sanitaria o a servizi di base solo a causa del loro orientamento sessuale.

Citando il caso di Samuel, Jakob Keel osserva che molte persone LGBTI vengono imprigionate per motivi completamente diversi rispetto al loro orientamento sessuale, anche se quest’ultimo costituisce la vera ragione. Ciò rende particolarmente difficile per loro fornire le prove di una persecuzione, richieste dalle autorità svizzere.

Sia John che Samuel affermano di incontrare grandi difficoltà a produrre tali prove, dal momento che hanno dovuto lasciare in modo precipitoso il loro paese di origine e non dispongono più di legami con le loro vite precedenti.

Samuel è stato interrogato per dieci ore dai funzionari delle autorità di immigrazione. Gli è stato chiesto se continuerà ad essere gay una volta ottenuto il diritto di asilo in Svizzera. Non sapeva cosa rispondere, anche perché non “non è una scelta”.

L’UFAM non ha voluto esprimersi in merito a questo caso specifico. Sybille Siegwart si limita ad indicare che tali interviste possono durare da 2 a 10 ore, in modo da poter determinare se la storia di un richiedente asilo è credibile e quali dettagli sono rilevanti.

Cambiamento di mentalità

“Scoprire se un richiedente asilo è davvero omosessuale non figura tra le priorità dell’esame delle domande di asilo”, ha dichiarato recentemente all’ATS Liselotte Barzé-Loosli, collaboratrice dell’UFAM. La questione principale che interessa le autorità è di sapere è se il richiedente l’asilo ha un motivo reale per temere delle persecuzioni in caso di ritorno nel suo paese di origine.

A detta di Denise Graf, vi sono stati dei miglioramenti in questi ultimi anni nelle procedure di esame delle domande di asilo, grazie anche al dialogo e a programmi di sensibilizzazione da parte di organizzazioni come Amnesty International e dell’Ufficio federale della migrazione.

Ci siamo sbarazzati di alcuni pregiudizi, secondo i quali le persone LGBTI ”possono vivere nell’ombra e non devono ostentare la loro omosessualità”, afferma Denise Graf. “È stata raggiunta una maggiore sensibilità, ma questo non significa che non vi sono più decisioni problematiche”.

*Nomi conosciuti dalla redazione di swissinfo.ch

Traduzione di Armando Mombelli

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