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Ex combattenti dell’ISIS deridono lo Stato di diritto elvetico?

Umkämpfte IS-Bastion Baghuz. Schwarzer Rauch steigt über Häusern und Ruinen auf.
Per Baghuz, nella provincia siriana di Deir Al Zor, ultima roccaforte delle milizie dell'ISIS, si avvicina la fine. Reuters / Rodi Said

Si sono uniti al regno del terrore del sedicente Stato islamico e ora i seguaci svizzeri dell'ISIS ritornano nella Confederazione, dove non rischiano pene draconiane, bensì condanne con la condizionale. Ciò è quanto prevede lo Stato di diritto.

Con la sconfitta definitiva dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS) centinaia di seguaci e combattenti stranieri faranno ritorno in Europa. Molti di loro sono stati catturati dai soldati curdi dell’Unità di protezione popolare, comunemente conosciuta con l’acronimo YPG. Nel nord-est della Siria si stima che siano circa un migliaio i foreign fighter detenuti dai curdi, tra cui una ventina provenienti dalla Svizzera.

Come gestire il loro ritorno? E a quali aspetti dare la priorità? La sicurezza e la protezione? Oppure lo Stato di diritto e la prevenzione?

Finora si sa del ritorno in Svizzera di una dozzina di seguaci dell’ISIS. Lo scorso febbraio due di loro sono stati condannati a pene detentive con la condizionale. Per la maggior parte degli altri non è ancora stato emesso un atto d’accusa e sono (ancora) a piede libero.

“Gli estremisti se la ridono dello Stato di diritto”, ha sostenuto il reporter di guerra Kurt PeldaCollegamento esterno nel corso della trasmissione ClubCollegamento esterno della televisione svizzero tedesca SRF. “È ciò che si è visto anche nel cosiddetto processo An’ Nur”.

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Pelda si riferisce al processo che nell’ottobre 2018 ha visto alla sbarra dieci membri della moschea An’Nur: otto di loro sono stati condannati dal Tribunale distrettuale di Winterthur a pene detentive tra 6 e 18 mesi, con la sospensione condizionale, o a pene pecuniarie, tra l’altro per sequestro di persona, coercizione e minacce. “Lo Stato è ridicolo quando emette tali verdetti con simili motivazioni”, ha affermato il reporter di guerra; un’opinione condivisa dai partecipanti alla discussione.

Tra di loro anche una parlamentare svizzera: “Sono completamente d’accordo con questa tesi”, ha risposto Corina Eichenberger-WaltherCollegamento esterno alla domanda se tali sentenze fossero davvero ridicole. “Concordo con l’idea di inasprire le pene. Il problema è che le macine della politica girano sempre lentamente”, ha ricordato la deputata del Partito liberale radicale (PLR.I liberali). Ciò spiega perché le leggi sono sempre in ritardo rispetto alla realtà; è il prezzo da pagare in democrazia.

Tuttavia, ricorda Eichenberger-Walther, attualmente si sta elaborando una leggeCollegamento esterno che darebbe alla polizia la possibilità di adottare provvedimenti preventivi per lottare contro il terrorismo. “Sono previsti la sorveglianza, le cavigliere elettroniche, gli arresti domiciliari, il divieto di avvicinarsi o di mettersi in contatto con altri simpatizzanti”.

Durante la trasmissione anche Christoph BertischCollegamento esterno ha confermato che pene così miti non preoccupano i jihadisti. L’avvocato zurighese ha difeso uno dei due giovani (un fratello e una sorella) che avevano sostenuto l’ISIS e che al loro ritorno in Svizzera sono stati condannati a pene detentive con la condizionale. Dopo il processo Bertisch aveva però definito la sentenza “eccessiva” e “discutibile secondo lo Stato di diritto”.

Ma le affermazioni del legale non sono contradditorie? Stando a Bertisch, le regole dello Stato di diritto vanno rispettate alla lettera. L’avvocato definisce le leggi per giudicare i terroristi dell’ISIS ­– soprattutto la legge federale sulle attività informative ­– poco incisive. “Emettere sentenze più severe per queste persone è però contrario allo Stato di diritto”, spiega il difensore.

Il governo federale mina forse lo Stato di diritto?

Dopo l’annuncio del presidente statunitense Donald Trump del ritiro delle truppe americane entro aprile, i soldati curdi dovranno lottare da soli contro gli ultimi focolai di combattenti dell’ISIS e contro i loro antagonisti storici: gli eserciti turco, iraniano e siriano. Il rischio è che i curdi trascurino la detenzione dei prigionieri di guerra, favorendo così la fuga dalle prigioni dei foreign fighters europei e permettendo loro di ritornare nei Paesi di origine.

Per il momento gli appelli dei curdi ai governi europei di riprendersi i propri cittadini sono rimasti inascoltati. Anche Trump ha invitato gli europei via Twitter a giudicare in patria chi si è unito all’ISIS. Il presidente americano ha addirittura offerto sostegno logistico ai suoi omologhi europei.

Offerta di rimpatrio degli USA

“La Svizzera sta valutando la possibilità di rimpatriare attivamente i minori, se è nel loro interesse. Tra le varie opzioni si è esaminata anche l’offerta di rimpatrio da parte degli Stati Uniti”, risponde a swissinfo.ch il Dipartimento federale degli affari esteri. “Visto che gli USA rimpatriano intere famiglie, tale possibilità non viene presa in considerazione dalla Svizzera – analogamente ad altri Stati europei – per questioni giuridiche e finanziarie”.

L’Europa non li vuole

La Svizzera non ha intenzione di riprendersi chi ha deciso di schierarsi dalla parte dell’ISIS. “Il Consiglio federale non intende rimpatriare attivamente i cittadini adulti recatisi all’estero per motivi terroristici”, scrive in una nota il governo elvetico. È disposto però a valutare il rimpatrio attivo se si tratta di minori.

Segue quindi la strategia proposta dalla neoministra di giustizia e polizia Karin Keller-Sutter. La priorità va data alla protezione e alla sicurezza della Svizzera, due elementi che prevalgono sugli interessi individuali. L’obiettivo è “il perseguimento penale e l’esecuzione dell’eventuale pena conformemente agli standard internazionali, nello Stato in cui è stato commesso il reato”.

L’esperto di ISIS Pelda scuote la testa. “La ministra di giustizia svizzera sostiene un simile approccio soltanto perché non ha alcuna idea delle contingenze locali”. Secondo Pelda, gli ex combattenti dell’ISIS riusciranno prima o poi a evadere e a ritornare in Europa.  La questione centrale è se è possibile organizzare un rimpatrio regolare affinché queste persone non rappresentino un pericolo per la società.

Anche l’ex procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, Carla Del Ponte, non condivide la strategia decisa dal governo elvetico. “È impossibile mandare qualcuno sotto processo sul posto di detenzione. In Siria non c’è un apparato giuridico e non ci sono garanzie in materia di diritto internazionale”.

Il Consiglio federale è consapevole che queste persone potrebbero fuggire. La Svizzera intraprenderà i passi necessari per evitare il rimpatrio incontrollato di simpatizzanti dell’ISIS. “Gli strumenti a disposizione sono, in particolare, la possibilità di segnalare nel sistema d’informazione Schengen SIS ai fini dell’accertamento del luogo di dimora o dell’arresto e avvalendosi dello scambio di informazioni con le autorità estere di polizia e quelle preposte alle attività informative”, scrive il governo in un comunicato.^

Nemmeno Bertisch condivide la linea adottata dal governo e si rifà ad alcuni articoli del diritto penale, del diritto delle attività informative e della legge sulle comunità islamiche, secondo cui la Svizzera sarebbe obbligata a chiamare alla sbarra chi ha infranto la legge.

Infografica
Service de renseignement de la Confédération

Jihadisti svizzeri

Il Servizio delle attività informative della Svizzera (SIC) ha registrato 92 “persone partite all’estero con possibili finalità jihadiste”, che dal 2001 si sono trattenute o si trovano ancora in zone in conflitto. Tra queste ci sono 31 persone che hanno la nazionalità svizzera, di cui 18 con la doppia cittadinanza. Dal 2001 a oggi, 77 persone si sono recate in Siria o in Iraq. Al momento si sa che 16 persone sono rientrate in Svizzera (di cui 13 casi confermati). 31 persone sono decedute (in 25 casi il decesso è confermato).

Secondo il SIC, circa 20 viaggiatori svizzeri o jihadisti di doppia nazionalità (uomini, donne e bambini) si trovano attualmente nella zona di conflitto in Iraq e Siria.

Revoca della doppia cittadinanza?

La Svizzera non è l’unico Stato europeo che non vuole riprendersi chi si è recato all’estero per motivi terroristici.

Centinaia di islamisti rinchiusi nelle prigioni curde potrebbero presto fare ritorno in Gran Bretagna, Francia, Belgio e Germania; Stati che vogliono a loro volta che i loro cittadini siano giudicati sul luogo in cui hanno commesso i reati. Come la Svizzera, questi Paesi stanno valutando la possibilità di revocare la nazionalità a chi è in possesso della doppia cittadinanza. Tuttavia, sarebbe una procedura molto lunga e complessa.

Intanto la ministra di giustizia e polizia elvetica Karin Keller-Sutter sta esaminando se è possibile revocare la doppia cittadinanza, rispettivamente la nazionalità elvetica ai foreign fighters partiti dalla Svizzera.

“Attualmente è in corso una procedura di ritiro. Si sta valutando l’apertura di altre procedure analoghe. Per ora non è stata conclusa alcuna procedura di ritiro”, ha risposto Keller-Sutter durante l’ora delle domandeCollegamento esterno alla Camera del popolo svizzera.

Nessun contatto in Siria?

La Confederazione ha contattato gli svizzeri in Siria? Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) segnala che, alla chiusura dell’ambasciata svizzera a Damasco nel 2012, in Siria non c’è più alcun personale diplomatico e consolare accreditato. Il Servizio delle attività informative della Svizzera non indica se ha avuto contatti con persone che hanno visitato o si trovano tuttora in Siria o Iraq.

Nei suoi consigli di viaggioCollegamento esterno, il DFAE sconsiglia di recarsi in Siria. “Cittadini che decidono di viaggiare in Siria devono essere consapevoli che la Svizzera non potrà fornire praticamente alcun servizio e non avrà nessuna possibilità di prestare soccorso durante le emergenze”.

(Traduzione dal tedesco: Luca Beti)

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