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L’appello di Francesco Rosi ai valori morali

Locarno rende omaggio a Francesco Rosi, cineasta dell'impegno civile. www.pardo.ch

Autore di capolavori come "Salvatore Giuliano" e "Le mani sulla città", il regista napoletano Francesco Rosi ha ricevuto al Festival del film Locarno il Pardo alla carriera. Un omaggio importante al cineasta dell'impegno civile.

Valori morali. Sono le parole che Francesco Rosi, regista italiano insignito a Locarno del Pardo alla carriera, ha pronunciato più volte. Lentamente, quasi sillabandole, per sottolinearne l’importanza. E l’importanza della mancanza. Questo richiamo in senso rigorosamente laico, rispecchia in fondo l’animo del regista simbolo dell’impegno civile in Italia.

Il cinema di Rosi, infatti, ha avuto la stessa importanza sociale delle grandi inchieste giornalistiche. Opere come “Il caso Mattei”, “Salvatore Giuliano” e “Le mani sulla città” hanno affrontato i grandi misteri italiani ancora privi di risposta portando alla luce meccanismi e inganni del potere.

Ben noto anche il suo impegno nel denunciare la mafia e camorra. E parole di apprezzamento sono andate a Roberto Saviano, che nel suo libro «ha saputo rendere con estremo realismo la violenza della camorra e i valori deviati del poter criminale».

Quando l’impegno civile scorre nelle vene

Nonostante qualche piccolo acciacco, Rosi non ha voluto assolutamente mancare all’incontro col pubblico. Dietro i proverbiali occhiali “fumé” con le lenti rosse, quest’uomo di 87 anni – il cui istinto per l’impegno civile non si è minimante sopito – ha sottolineato con forza il valore della ricerca della verità.

Se i problemi politici affrontati dalle sue opere non si sono ancora risolti, se i contenuti dei suoi film non sono mai stati messi in discussione, con il tempo il cinema di Francesco Rosi è stato rivalutato anche dal profilo formale ed estetico. E il maestro italiano non poteva non esserne compiaciuto.

«Sono contento che oggi vi sia l’occasione di parlare anche del valore formale dei miei film. Il contenuto è importante – spiega davanti ad un pubblico attentissimo Francesco Rosi – ma non deve oscurare l’estetica e l’ambientazione. Nel mio cinema i luoghi sono parte fondante della storia. Ho sempre cercato di girare film che appartengono alla realtà del mio paese nei luoghi stessi in cui si erano svolti i fatti narrati».

«Opere come “Salvatore Giuliano” o “Le mani sulla città” – continua il regista – sono strettamente legate al modo con cui ho situato la storia nel suo contesto, che è fondamentale così come la scelta degli interpreti». E parlando di interpreti, davvero non poteva dimenticare di menzionare l’indimenticabile Gian Maria Volonté, protagonista in cinque dei suoi film. Un grandissimo attore che partecipava a ogni pellicola con un’adesione totale al significato del film.

Il cinema come valore educativo

Regista cercatore di verità, Rosi conosce bene il valore di parole come ricognizione, approfondimento, contestualizzazione. «Nonostante oggi si siano moltiplicate le inchieste televisive, la potenza di rappresentazione e la carica di riflessione che un film si porta dietro – sottolinea il cineasta – sono qualcosa di fondamentale».

«I giovani, purtroppo, non conoscono quel cinema di denuncia. Nelle scuole andrebbe dedicato del tempo alla storia del cinema, non solo italiano, visto che facciamo parte dell’Europa. Nelle scuole italiane – precisa – c’è un’ora di religione a settimana. Perché non introdurre un’ora di storia del cinema, da cui si può imparare molto»?

Non lasciare soli i giovani significa dare loro gli strumenti per resistere alla violenza, nella cui spirale si perdono i valori morali. «Nell’Italia del Sud la violenza è terribile – racconta Rosi –e a Napoli l’assenza di frequentazione scolastica è impressionante. I ragazzi che entrano nella spirale della violenza perdono ogni riferimento ai valori morali».

Saviano, Gomorra e il mondo del crimine

Lei cosa pensa dell’atteggiamento di quegli italiani che criticano Gomorra definendo Roberto Saviano uno scrittore mediocre? Chiede un giornalista a Rosi. Che risponde: «Sono veramente pochi quelli che pensano che Saviano sia uno scrittore mediocre. Io credo che il suo libro sia molto importante perché riesce a raccontare senza falsità la violenza della plebe».

«Gomorra affronta il rapporto tra la gente del popolo e il crimine organizzato che nell’Italia meridionale affonda le sue radici. Credo che il film di Garrone sia bello – puntualizza Rosi – ma forse non è stato esplorato pienamente il contesto». Secondo il regista il film affronta solo superficialmente il tema di come i giovani e i bambini vengano immediatamente catturati dal mondo del crimine, come perdano completamente l’appartenenza alla società civile e ai suoi valori morali.

«Gomorra è un film molto significativo – riconosce Rosi – ma con un’ analisi più approfondita del contesto sarebbe stato ancora più incisivo. I giovani, oggi, hanno un rapporto molto più stretto con i valori negativi del paese che non con quelli positivi. L’educazione e la cultura vengono disprezzate, la scuola attraversa un periodo di grande crisi».

Pertanto tutti i film e i libri che possano testimoniare queste mancanze in un momento politico particolare dominato dal caos e dal malgoverno sono fondamentali. E Rosi cita il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che denuncia in modo ricorrente la mancanza di trasmissione dei valori in una società in preda alla confusione.

Il cinema come strumento di denuncia


“Uomini contro”- la cui copia restaurata dal Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale è stata proiettata venerdì sera in Piazza Grande – è uno dei lavori più significativi di Francesco Rosi.

«Un film collettivo – spiega il cineasta – che rappresenta uno spaccato dei contadini che venivano mandati a combattere senza capire il senso della guerra, senza comprendere valori astratti come il patriottismo. Erano soldati sacrificati come massa d’urto, come massa di sfondamento». Una storia collettiva in cui si intreccia quella di due ufficiali che impartivano gli ordini. Una storia in cui si denuncia l’assurdità, la tragedia e la crudeltà della guerra.

Nell’Italia contemporanea c’è ancora spazio per un cinema civile? «La realtà di un paese stimola il desiderio di raccontare. Il mio film denunciava la realtà della guerra. La prima guerra mondiale è stata una carneficina di massa che ha distrutto una generazione di giovani e ne ha mandati a casa altrettanti mutilati».

«Le guerre – aggiunge Rosi – sono sempre uguali in qualsiasi epoca. Io ho avuto la possibilità di denunciarlo con il mio lavoro. Il desiderio di fare cinema civile c’è anche oggi, ma non sempre l’atmosfera e le condizioni economiche lo permettono».

Françoise Gehring, Locarno, swissinfo.ch

Nato a Napoli nel 1922, Francesco Rosi, regista e sceneggiatore, esordisce come aiuto regista di Luchino Visconti per “La Terra trema”, “Bellissima” (del quale è anche co-sceneggiatore) e “Senso”. Nel 1956 co-dirige “Kean” con Vittorio Gassman. Nel 1958 firma il suo primo film, “La sfida”, che si aggiudica il premio della giuria a Venezia.

Con “Salvatore Giuliano”, il suo capolavoro, Rosi getta le basi del “film-inchiesta”, ovvero una combinazione di immagini di repertorio e di finzione volta a fornire un’informazione quanto più oggettiva possibile su un tema legato alla storia contemporanea italiana. Spesso i suoi film trattano quindi di mafia, come “Cadaveri eccellenti” (1976) e “Il caso Mattei” (1972), che gli è valso la Palma d’oro a Cannes.

Francesco Rosi è autore di diciotto lungometraggi, tra i quali ricordiamo “I magliari” (1959), “Le mani sulla città” (1963), “Uomini contro” (1970) e “Lucky Luciano” (1973).
Nel 2008 il Festival di Berlino gli ha assegnato l’Orso d’oro alla carriera.

Uomini contro è liberamente tratto dal romanzo di Emilio Lussu Un anno sull’Altipiano, un anno trascorso dall’eroica Brigata Sassari sull’Altipiano di Asiago, tra il giugno 1916 e il luglio 1917.

Due luogotenenti italiani cercano di opporsi al Generale Leone che invia regolarmente i suoi uomini a farsi massacrare in azioni assurde.

Pacifista e antiautoritario, il film di Rosi mette in evidenza la follia della Guerra: «Per “Uomini contro” – racconta Rosi – venni denunciato per vilipendio dell’esercito, ma sono stato assolto in istruttoria. Il film venne boicottato, per ammissione esplicita di chi lo fece: fu tolto dai cinema in cui passava con la scusa che arrivavano telefonate minatorie».

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