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La pace fiscale con la Germania è ormai quasi fatta

I negoziatori possono riposare, ora la palla è nel campo dei politici Keystone

I negoziatori svizzeri e tedeschi hanno parafato mercoledì l’accordo sulla vertenza fiscale, che in particolare regola l'imposizione dei fondi non dichiarati. Gli esperti reagiscono con soddisfazione.

I contenuti dell’accordo erano in parte già noti. Mancava solo il crisma dell’ufficialità. Da mercoledì è cosa fatta. Per seppellire definitivamente l’ascia di guerra, l’accordo dovrà ora essere ratificato dai governi e dai parlamenti dei due paesi.

L’imposta alla fonte prelevata dalle banche svizzere sui depositi dei cittadini tedeschi sarà del 26,375%, un tasso che corrisponde a quello praticato in Germania (25%) più un contributo di solidarietà. Gli istituti elvetici dovranno inoltre anticipare, a titolo di garanzia, un importo forfettario di due miliardi di franchi, che sarà rimborsato mano a mano che le entrate fiscali saranno stornate al fisco tedesco.

Per quanto concerne l’assistenza amministrativa in caso di sospetta evasione fiscale, Berna e Berlino hanno stabilito di limitarla nei primi due anni a un numero compreso tra 750 e 999.  Successivamente questo numero sarà adeguato sulla base dei risultati. Le autorità tedesche dovranno fornire il nome del cliente ma non necessariamente quello della banca. Le cosiddette «fishing expedition», ovvero la ricerca generalizzata e indiscriminata di informazioni, sono invece escluse.

Le persone con fondi non dichiarati depositati in Svizzera potranno inoltre legalizzarli in via eccezionale versando un’imposta forfettaria compresa tra il 19 e il 34%.

Nel marzo 2009, la Svizzera si era impegnata a rispettare gli standard dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (OCSE) in materia di assistenza amministrativa fiscale. Da allora sono stati conclusi numerosi accordi di doppia imposizione. Sia il governo svizzero che gli ambienti bancari erano inoltre dell’avviso che – anche per allentare la pressione sulla piazza finanziaria elvetica da parte di Bruxelles – fosse necessario negoziare accordi che andassero al di là degli standard minimi dell’OCSE con determinati paesi dell’Unione Europea.

Un’«intesa equilibrata»

In cima alla lista di questi paesi vi era appunto la Germania, i cui cittadini da più di un secolo fanno capo alle banche svizzere. Stando ad alcune stime, la maggior parte dei capitali esteri depositati nelle casseforti degli istituti rossocrociati provengono infatti dalla Germania. Recentemente il quotidiano tedesco Der Spiegel ha avanzato la cifra di 131 miliardi di euro. Secondo diversi esperti finanziari, vi è però la possibilità che buona parte di questi capitali siano già volati altrove, lontani dalla portata di Berlino o Bruxelles.

Di questo aspetto si è coscienti anche in Germania: «Non si tratta di tenere lontani gli investitori dalla Svizzera», ha dichiarato a Der Spiegel il segretario di Stato Hans Bernhard Beus, capo negoziatore per l’accordo di doppia imposizione con la Svizzera. «Preferiamo che il denaro sia depositato in Svizzera piuttosto che a Panama».

Per l’esperto finanziario dell’Ecofin Martin Janssen, l’accordo raggiunto con Berlino «è molto buono». «I negoziatori svizzeri, guidati dal segretario di Stato per le questioni finanziarie internazionali Michael Ambühl, hanno svolto un ottimo lavoro».

Anche il banchiere privato Konrad Hummler, della Wegelin & Co., ha «preso atto con soddisfazione del raggiungimento dell’accordo». Sulla base dei contenuti fin qui divulgati, l’intesa è equilibrata. L’unica «pillola amara» riguarda la garanzia di due miliardi, che però alla luce del risultato complessivo può essere «ingoiata».

Agevolazioni sul mercato tedesco

In una prima presa di posizione, SwissBanking, l’associazione svizzera dei banchieri, ha sottolineato che «per la maggior parte dei clienti l’onere fiscale effettivo (per chi vorrà legalizzare i capitali, ndr) sarà compreso tra il 20 e il 25%».

In futuro la piazza finanziaria «potrà acquisire e amministrare capitali fiscalmente conformi». E ciò anche quando provengono da luoghi in Germania dove non esistono filiali. L’accordo agevola infatti anche l’accesso ai mercati finanziari tedeschi, da tempo oggetto di discordia. In particolare sarà semplificata l’applicazione della procedura di esenzione per le banche svizzere in Germania e abrogato l’obbligo di avviare le relazioni con i clienti tramite un istituto sul posto. Il desiderio delle banche svizzere di poter accedere più facilmente al mercato tedesco è così stato esaudito, annota Martin Janssen.

A permettere queste agevolazioni è stata soprattutto la garanzia di due miliardi che si sono impegnate a versare le banche svizzere. Questa garanzia ha creato alcuni attriti tra gli istituti elvetici, poiché alcuni, ad esempio la Raiffeisen, che ha pochi clienti tedeschi, non voleva parteciparvi. La soluzione è stata di suddividere la somma tra una cinquantina di istituti, proporzionalmente agli importi depositati.

Tornaconto anche per i clienti tedeschi

Malgrado le imposte, i clienti tedeschi dovrebbero pure avere il loro tornaconto. Investire in Svizzera continuerà ad essere interessante, in particolare nell’ottica di diversificare i rischi. «L’anonimato continuerà ad essere garantito – osserva Martin Janssen. Inoltre, vedendo il marasma nel quale sta annaspando l’Unione Europea, non si può essere che contenti di avere parte del proprio patrimonio in Svizzera».

L’accordo permetterà anche di porre fine alla vicenda dei CD rubati, contenenti informazioni relativi a conti nelle banche svizzere. La Germania, ha indicato il Dipartimento federale delle finanze, ormai non ha più motivi per acquistare a fini fiscali dati bancari rubati.

La Svizzera si impegna a non perseguire penalmente chi ha preso parte alla sottrazione di questi dati, mentre Berlino abbandonerà le procedure contro i collaboratori delle banche che hanno partecipato a reati fiscali avvenuti prima della firma della convenzione.

L’accordo parafato mercoledì sarà raficato prossimamente dai due governi.

In seguito il trattato passerà al vaglio del parlamento. Se sarà accettato, in Svizzera potrebbe venire ancora attaccato riunendo le 50’000 firme necessarie per sottoporlo a referendum popolare.

Se tutto andrà come previsto, dovrebbe entrare in vigore all’inizio del 2013.

In Svizzera i partiti di destra e centro-destra hanno accolto con soddisfazione l’accordo, pur mantenendo un certo riserbo poiché non hanno ancora potuto esaminarne con attenzione i contenuti precisi.

Soddisfatto anche il Partito socialista, poiché oltre a porre fine alla vertenza, l’intesa dà un ulteriore colpo alle frodi fiscali.

Le organizzazioni non governative, dal canto loro, invitano a non dimenticare i paesi del sud, da dove proverrebbero 360 miliardi di franchi che sfuggono alle autorità fiscali locali.

Sul fronte delle banche, l’accordo è stato definito una «soluzione pragmatica». UBS, da parte sua, ha preferito non esprimersi.

In Germania i liberali della FDP lo hanno accolto positivamente, sottolineando che esso pone fine a un problema che dura da decenni.

Meno soddisfatti invece i rappresentanti della sinistra radicale. Die Linke ha definito l’accordo un «regalo ai criminali fiscali e ai loro complici svizzeri».

Traduzione e adattamento di Daniele Mariani

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