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Lasciar fluttuare liberamente il franco è prematuro

La BNS ribadisce la sua determinazione a mantenere il tasso di cambio sopra un franco e 20 per un euro imagePoint

Prima di Pasqua attacchi speculatavi hanno spinto l'euro sotto la soglia di franchi 1,20 stabilita dalla Banca nazionale svizzera in settembre. Questa politica di cambio aiuta l’industria d’esportazione, ma non è priva di rischi. Cambiare rotta appare per ora prematuro.

In un incontro con la stampa martedì 10 aprile, il presidente ad interim della Banca nazionale svizzera (BNS) ha sottolineato la volontà di difendere ad oltranza questa soglia e ha definito «infondati» i dubbi sollevati sulla politica di cambio dell’istituto centrale.

Thomas Jordan ha ribadito che la BNS «è pronta a comperare divise in quantità illimitata» per mantenere la moneta nazionale entro i limiti previsti e ha detto che il franco continua ad essere sopravvalutato.

Le dichiarazioni si sono rese necessarie dopo che la tradizionale bonaccia finanziaria che contraddistingue il periodo pasquale è stata interrotta giovedì 5 aprile da alcune operazioni isolate. Per breve tempo un euro si scambiava con 1,199 franchi. Per la prima volta in sette mesi, la soglia minima fissata dalla BNS è così stata superata.

Una delle ragioni è da ricollegare alla volatilità derivante dalla fragilità economica della Spagna, stando agli analisti del giornale romando Le Temps.

Durante il fine settimana pasquale, la BNS ha subito alcune critiche da parte della stampa elvetica, in particolare da Finanz und Wirtschaft, che l’ha biasimata per «essere in vacanza» nei momenti difficili.

La politica della banca centrale è considerata insufficiente da alcuni e eccessiva da altri. Hans Hess, il presidente di Swissmem, l’associazione dell’industria metalmeccanica ed elettrotecnica, ha dichiarato in un’intervista al Landboten che il franco forte non ha provocato la tempesta che ci si attendeva. Tuttavia, per molte piccole imprese la situazione resta «sempre drammatica».

Sull’altro fronte, istanze come il Fondo monetario internazionale (FMI) raccomandano alla Svizzera di tornare alla libera fluttuazione appena le condizioni economiche lo permetteranno.

Alla ricerca di certezze

Ma non sarebbe giunto il momento di cambiar strategia? Per Janwillem C. Acket, capo economista della Julius Bär, la politica attuale della BNS ha come risultato di frenare gli effetti di una erosione ciclica importante, ciò che «permette alle aziende svizzere di pianificare e attuare le loro attività in un contesto di maggiore stabilità».

Da parte sua, Jan-Egbert Sturm, direttore del Centro di ricerca congiunturale (KOF) del Politecnico federale di Zurigo, ritiene che in questo momento un cambio di rotta sia circondato da troppe incertezze.

«Allo stato attuale, non è chiaro come reagirebbero i mercati alla soppressione del tasso minimo di cambio. Forse si potrebbe mantenere il cambio attorno a 1,20 franchi per un euro. Però ogni notizia negativa proveniente dalla zona euro rischierebbe di far ripartire le speculazioni sul franco».

Le analisi di molti economisti coincidono con l’opinione espressa dal ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann, secondo cui abbandonare il tasso di cambio minimo «sarebbe fatale per il paese».

Schneider-Amman è anche andato oltre, affermando che sarebbe favorevole a un tasso di cambio compreso tra 1,35 e 1,40 franchi per euro.

Rischio inflazione

Venerdì 6 aprile, la BNS ha pubblicato i dati relativi alla riserve di divise estere, pari a 237 miliardi di franchi alla fine di marzo, 10 miliardi in più rispetto al mese precedente.

Ogni volta che la BNS compera euro per arginare la speculazione sul franco – interventi sui quali l’istituto mantiene il più assoluto riserbo – deve finanziare l’operazione vendendo altri attivi (oro, obbligazioni cantonali, ecc.) oppure creando moneta. Quest’ultima opzione rischia però di causare inflazione.

Secondo Jan-Egbert Sturm, del KOF, i timori inflazionistici dell’FMI sono comunque per il momento infondati.

«La Svizzera attraversa una fase di inflazione negativa. Il franco si è apprezzato prima dell’annuncio dell’introduzione del tasso minimo e molti beni e servizi sono diventati più convenienti all’estero. Ciò ha esercitato una pressione sui prezzi, ma al ribasso. E questo processo non si è ancora concluso», dice a swissinfo.ch. Janwillem C. Acket, della Julius Bär, condivide l’analisi e sottolinea che «la deflazione è ancora all’ordine del giorno in Svizzera».

Per i due esperti, varie condizioni dovranno essere riunite prima di pensare a una nuova politica di cambio.

Secondo Janwillem C. Acket, è importante che il tasso di cambio si allontani in modo spontaneo dalla soglia di 1,20. Il capo economista della Julius Bär sottolinea anche l’importanza di un consolidamento della ripresa economica in Svizzera e ritiene indispensabile una schiarita nella zona euro, poiché attualmente ogni tensione sul mercato può incitare gli investitori ad acquistare franchi svizzeri.

Jan-Egbert Sturm aggiunge dal canto suo che eventuali modifiche della politica di cambio sono da valutare solo quando la pressione al ribasso sui prezzi cesserà e gli esportatori si saranno adattati a un franco forte.

In tempi di crisi, il franco svizzero, come l’oro, è considerato dagli investitori un valore rifugio. Da agosto 2008 ad agosto 2011, il franco svizzero si è così apprezzato del 44% nei confronti dell’euro.

Di fronte a questo apprezzamento della valuta nazionale, che grava soprattutto sulle aziende esportatrici e sul settore turistico, la Banca nazionale svizzera (BNS) ha deciso ai primi di settembre 2011 di fissare un tasso minimo di franchi 1,20 per un euro.

Parallelamente, anche il governo federale ha adottato provvedimenti per combattere gli effetti del franco forte. Le prime misure, annunciate nel febbraio 2011, erano incentrate sulla promozione del turismo nazionale, l’assicurazione contro i rischi delle esportazioni e la promozione della tecnologia e dell’innovazione.

La Banca nazionale svizzera aveva già fissato nel 1978 un obiettivo di tasso di cambio per far fronte all’apprezzamento del franco nei confronti del marco tedesco.

La misura ebbe gli effetti sperati. All’inizio degli anni ’80, però, il provvedimento si tradusse in un aumento dell’inflazione. Infatti, per mantenere un livello di cambio predefinito, ogni volta che vi sono pressioni sul franco, la BNS è obbligata ad acquistare divise estere. Per farlo ha due strumenti: può vendere altri attivi (oro, obbligazioni…) oppure stampare moneta. Quest’ultima opzione provoca inflazione e perciò il potere d’acquisto della popolazione diminuisce.

(Traduzione dal francese: Daniele Mariani)

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