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Chi c’è dietro all’uccisione di Kem Ley?

Il 24 luglio 2016, una marea umana ha accompagnato il corteo funebre di Kem Ley dalla capitale Phnom Penh fino al suo villaggio natale, a 70 km a sud. Al funerale hanno partecipato quasi un milione e mezzo di ammiratori di tutte le classi sociali, età e province.

La Svizzera ha reso omaggio a questa figura della società civile, salutando «il suo approccio costruttivo e franco nell’analisi delle cause della povertà e delle disuguaglianze nel paese. Il suo coraggio di parlare ad alta voce e di esigere il rispetto della giustizia mancherà molto».

Poco dopo l’uccisione di Kem Ley il 10 luglio, il presunto assassino è stato arrestato. Alla polizia ha fornito uno scenario a cui non crede nessuno: quello di una vendetta per un debito di 3’000 dollari. Durante l’arresto, l’uomo si è presentato con il soprannome di “incontro mortale”, ciò che per numerosi cambogiani suona come la firma di un omicidio politico.

Sul luogo del crimine, letteralmente preso d’assalto dalla popolazione, i cambogiani hanno accusato il partito al potere. Le reazioni politiche sono state tardive. Il primo ministro ha smentitoCollegamento esterno qualsiasi interesse nel commettere un omicidio simile, chiedendo «a chi giova tale crimine?», sottintendendo coloro che vogliono destabilizzare il governo.

Dal suo esilio volontario in Francia, il capo dell’opposizione, Sam Rainsy, ha da parte sua denunciato «un nuovo atto di terrorismo di Stato». Da allora è perseguito penalmente per diffamazione. Il presunto assassino, invece, rimane in silenzio e l’inchiesta avanza a rilento.

(Testo e immagini: Anne Laure Porée, Phnom Penh)

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