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Nestlé, acqua e Ong: ci sono anche aspetti positivi

«Pure Life»: l'acqua in bottiglia lanciata dalla Nestlé nel 1998 è ora la prima nella classifica delle vendite mondiali. bottledlifefilm.com

Un documentario riapre il dibattito in Svizzera sulla Nestlé e le sue promesse sociali e ambientali. Sul gigante agroalimentare piovono le critiche, ma alcune Ong constatano anche l'inizio di un cambiamento della filosofia aziendale.

Ancor prima della sua uscita nelle sale cinematografiche della Svizzera, il documentario Bottled Life (La vita in bottiglia), realizzato dal regista Urs Schnell e dal giornalista Res Gehriger, ha scatenato un acceso dibattito sull’accesso alle risorse idriche nel mondo. Per alcuni commentatori, il film accusa ingiustamente un gruppo alimentare di qualità, per la maggioranza, l’acqua non può essere trasformata in un semplice prodotto commerciale.

Bottled Life analizza la situazione in tre paesi in cui la Nestlé fa affari con l’acqua in bottiglia, spesso pompando acqua a prezzi bassi: negli Stati Uniti (in particolare nel Maine), in Pakistan e in Nigeria. Nei paesi in via di sviluppo, la Nestlé ha creato una marca che non esiste in Svizzera: “Pure Life”, che nel giro di dieci anni è diventata la più venduta al mondo.

“In Europa non si era quasi mai parlato della resistenza americana alla Nestlé, di cui molti svizzeri sono così orgogliosi”, spiega Urs Schnell. Il problema, secondo il regista del film, è che “la Nestlé realizza profitti strepitosi imbottigliando acqua che arricchisce con una miscela di Sali minerali di cui detiene la ricetta” aggiunge. Negli Stati Uniti, la giustizia, ha parzialmente dato ragione ai movimenti di cittadini.

Riduzione della falda freatica

In Pakistan, mercato pilota per il lancio di “Pure Life” nel 1998, il livello della falda sarebbe diminuito drasticamente. In una presa di posizione scritta, la multinazionale con sede a Vevey, nel cantone di Vaud, replica che “complessivamente, il 70% dell’acqua dolce prelevata nel mondo è utilizzato dal settore agricolo, il 20% dall’industria e il 10% per le necessità domestiche”.

“Siamo un utilizzatore di quantità d’acqua relativamente piccole, prosegue il gruppo. La Nestlé utilizza solo lo 0,005% dei prelievi d’acqua dolce mondiali e la Nestlé Waters soltanto lo 0,0009%. Non è nell’interesse delle nostre attività a lungo termine gestire male le risorse idriche che sfruttiamo e ci siamo impegnati a gestire queste risorse in modo responsabile”.

L’attivista brasiliano Franklin Frederick, onorato per la sua lotta per l’accesso all’acqua, ha combattuto contro la produzione di “Pure Life” nel parco acquatico di São Lourenço, nello Stato di Minas Gerais. “Abbiamo avuto qualche successo in Brasile. Il parco è ancora di proprietà della Nestlé, ma il pompaggio di acqua nel pozzo è cessato, come anche la produzione di Pure Life”, racconta.

Franklin Frederick è molto critico nei confronti del colosso alimentare. “È una multinazionale, vicina al potere e ai potenti del mondo. Nonostante i loro bei discorsi, non possono fare la carità”, commenta.

Nestlé lavora in enti internazionali

La Nestlé elenca da parte sua tutti gli organismi internazionali in cui si batte per garantire le risorse idriche – un punto sul quale si esprime anche il presidente del consiglio d’amministrazione Peter Brabeck, sabato (28 gennaio 2012) a Davos. “La Nestlé è membro fondatore del CEO Water Mandate (CWM) del Patto globale (Global Compact) delle Nazioni Unite. È inoltre membro della rete Impronta Idrica (Water Footprint Network) ed è alla testa del gruppo di lavoro della piattaforma “Iniziativa per un’agricoltura sostenibile” sull’acqua e l’agricoltura”, scrive il gruppo in un comunicato.

La Nestlé ha pure sviluppato il concetto di “Creazione di valore condiviso”, con cui intende far beneficiare non solo gli azionisti, ma anche i contadini e gli abitanti dei paesi dove lavora. Numerose organizzazioni non governative (Ong), come la Dichiarazione di Berna (DB), hanno cercato di esaminare in modo approfondito se di tale strategia approfittasse anche la popolazione locale, nella fattispecie sui mercati del cacao e del caffè.

“Il salario dei produttori non è migliorato. È invece vero, che ricevono una formazione tecnica o nuove piante che dovrebbero consentire di migliorare il rendimento. I programmi della Nestlé mirano in primo luogo a garantire l’approvvigionamento. Non contribuiscono a stabilizzare o a migliorare il reddito dei produttori”, dice Flurina Doppler della DB.

Secondo la specialista, i codici di comportamento delle grandi imprese sono “suscettibili di essere strumenti di marketing, con standard relativamente bassi. È difficile distinguere ciò che fa parte del marketing da ciò che corrisponde ad azioni concrete”.

Cambiamenti di atteggiamento

Sull’acqua, Flurina Doppler esclama: “0,0009%, è il numero preferito di Nestlé in questa discussione! Ma non si sa a cosa si riferisce. È solo l’acqua in bottiglia o comprende anche l’acqua usata per la produzione? Le cifre sono troppo vaghe”.

Michel Egger, responsabile dell’ufficio romando di Alliance Sud, ha una posizione più sfumata. “Con la Nestlé abbiamo portato avanti per cinque anni un dialogo sulla Colombia. Inizialmente, l’azienda respingeva tutte le critiche. Ma questo processo, condotto in via riservata, ha portato dei cambiamenti. La Nestlé ha accettato di apportare alcuni correttivi”.

La situazione resta “molto problematica” in Colombia, puntualizza. “Tuttavia, la Nestlé ha avviato una serie di processi strutturali, in particolare in materia di diritti umani. Penso che sia anche un effetto indiretto del nostro dialogo”.

Alliance Sud non ha paura di essere manipolata? “Era il grosso rischio, ammette Michel Egger. Ma la Nestlé non ha strumentalizzato il dialogo e ha pubblicato il rapporto finale di Alliance Sud sul suo sito web”.

Eppure, la Nestlé ha rifiutato di rispondere alle domande dei realizzatori di Bottled Life. “Come si è appena visto anche con il processo civile sull’infiltrazione di Attac, c’è ancora l’arrogante Nestlé, che respinge le critiche e che guarda le Ong dall’alto in basso, riconosce Michel Egger. Non si cambia la cultura aziendale di un megagruppo del genere. La Nestlé deve ora dimostrare che la dinamica di apertura osservata nel dialogo sulla Colombia non è stata solo un’eccezione…”.

Nel loro documentario, il regista Urs Schnell e il giornalista Res Gehriger cercano di spiegare come la Nestlé – leader mondiale del settore – riesca a trasformare in oro l’acqua in bottiglia.

Il film analizza in dettaglio il caso degli Stati uniti (acqua Poland Spring), del Pakistan e della Nigeria (acqua Pure Life), dove la Nestlé avrebbe ottenuto a buon mercato il diritto di pompare acqua naturale e di imbottigliarla, per rivenderla poi con un margine di guadagno ritenuto eccessivo. Aggressive campagne di marketing spingerebbero la gente ad acquistare acqua in bottiglia.

La Nestlé giudica il documentario unilaterale e non ha collaborato alla sua realizzazione. Stando al suo ufficio stampa, l’acqua Pure Life ha offerto alle famiglie pakistane della classe media la possibilità di bere «acqua sana, confezionata in un pratico formato, dal gusto stabile e con la garanzia di qualità della Nestlé».

Il 28 luglio 2010, l’ONU ha adottato una risoluzione in cui si dichiara che il diritto a un’acqua potabile, salubre e pulita è un diritto umano fondamentale.

Nel corso del XX secolo, la popolazione mondiale è triplicata; la domanda d’acqua sestuplicata. Entro il 2030 dovrebbe crescere ancora del 30%.

Il consumo d’acqua pro capite in Svizzera è di 160 litri al giorno. Nel Sahel, durante la stagione secca, una persona ha a disposizione meno di 5 l al giorno.

Sono necessari 16’000 l d’acqua per produrre un chilo di carne, 15’000 l per un kg di grano, 5’000 l per un kg di riso; 400’000 l per fabbricare una macchina, 8’000 per un paio di scarpe in cuoio e 2000 per una maglietta in cotone

La Svizzera ha un’impronta idrica di 1682 m3 per anno e abitante. Il 79% viene dall’estero.

Fonte: Un solo mondo, Direzione svizzera dello sviluppo e della cooperazione.

(Traduzione dal francese)

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