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«Le vittime non staranno zitte. E fanno bene»

Genocidio in Cambogia, Armenia, Guatemala,... La Svizzera fornisce gli strumenti di analisi affinché queste atrocità non vengano più commesse. Keystone

Nei paesi post-conflitto, l'analisi del passato e la lotta contro l'impunità è spesso una sfida difficile da assumere. La Svizzera offre conoscenze e strumenti a questi Stati pronti a far luce sulla storia recente e che vogliono ripristinare lo Stato di diritto.

Dal 2003, nell’ambito della sua attività di promozione della pace, la Svizzera è stata uno dei primi paesi a promuovere l’analisi del passato e la lotta contro l’impunità. Mô Bleeker è a capo della divisione speciale che si occupa di queste tematiche in seno al Dipartimento federale degli affari esteri.

swissinfo.ch: La Svizzera è riuscita a imporre l’analisi del passato come strumento di politica di pace. Le azioni si concentrano laddove è più necessario?

Mô Bleeker: Ciò che facciamo, detto in parole semplici, è rispondere a una richiesta di sostegno da parte di quegli Stati che dopo un conflitto armato, un periodo di gravi violazioni dei diritti umani, o di genocidio, sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità.

I paesi riconoscono la nostra capacità di creare un clima di fiducia per poter affrontare problemi concreti, così come la nostra rapidità di reazione e l’efficienza della rete dei nostri esperti. L’esperienza accumulata dalla Svizzera contribuisce a sua volta a migliorare gli sforzi intrapresi di questi paesi.

Il confronto tra le diverse esperienze permette di evidenziare, ad esempio, l’importanza di offrire un giusto spazio alle vittime, senza cercare di manipolare o nascondere la verità, quando si instaura una commissione per la verità e la riconciliazione.

In realtà porre le basi per poter costruire uno Stato di diritto sul lungo termine è un compito che spetta alle nuove generazioni:  E per farlo bisogna riuscire a elaborare un passato di atrocità. Spesso il mio compito è proprio quello di convincere la gente che questo è possibile, utile e anche molto positivo.

Con che autorità morale la Svizzera aiuta gli altri paesi a elaborare il proprio passato?

Anche per la Svizzera non è stato facile analizzare il proprio passato. Si è visto durante i lavori della Commissione Bergier (che indagò sul ruolo della Svizzera durante la Seconda Guerra Mondiale, ndr). Questo ci ha dato una certa umiltà.

Siamo coscienti delle tensioni e dei timori che si risvegliano e, ciononostante, sappiamo che per la Svizzera questa analisi storica è stata benefica. Di fatto, è stato un segnale di qualità della democrazia. A ciò si aggiunge la reputazione elvetica nella difesa del Diritto internazionale umanitario.

Sempre più governi ci chiedono aiuto o scambio, quando iniziano ad intraprendere questo cammino verso una presa di responsabilità.

Il vostro lavoro necessità una grande discrezione. Chi si rivolge a voi precisamente?

Ministri, consiglieri di presidenti, alti funzionari con incarichi in istituzioni di sicurezza che sono disposti a portare avanti riforme, ma anche presidenti di commissioni di verità e riparazione, e funzionari delle Nazioni Unite.

Non sarà sempre facile per alcuni di loro trovare il coraggio di chiedere aiuto…

Una volta un alto funzionario governativo mi disse con voce esausta: «Dobbiamo creare una commissione di verità e un tribunale speciale». Allora gli chiesi come si sentiva. «Muoio di paura. Tutti sono convinti che non ci sia la volontà politica. La realtà è che la volontà c’è, però non sappiamo come tradurla in qualcosa di concreto». La sua risposta mi colpì molto.

Nella mia vita ho viaggiato molto. E credo che nella maggior parte dei posti, ciò che attribuiamo all’assenza di volontà politica, in realtà è una mancanza di mezzi tecnici e politici per condurre questi processi. In fondo la vera assenza politica è più ridotta di ciò che si potrebbe pensare.

Cerchiamo prima di tutto di calmare queste paure, condividendo ciò che abbiamo visto in altri paesi, quando ci chiedono se in altri casi le riforme dell’esercito abbiano portato a crisi, se il governo sia caduto, se ci siano state vendette….

Paure terribili…

Paure terribili, certo, ma che abbiamo conosciuto anche in Europa. I più timorosi vorrebbero soltanto mettere una pietra sul passato. Però sappiamo che ciò non è possibile perché le vittime non staranno zitte e hanno ragione. Hanno diritto di sapere. A livello internazionale ci sono regole chiare che stabiliscono quali sono i crimini da giudicare, i diritti delle vittime, i doveri di uno Stato. Per fare il nostro lavoro ci basiamo su questi principi.

Possiamo fare in modo che queste politiche di lotta contro l’impunità siano parte di una costruzione duratura della pace. Che non si tratti soltanto di un cessate il fuoco, ma dell’inizio di un nuovo dialogo tra Stato e società, dello sviluppo di una cultura della responsabilità, di una nuova fiducia civica e di un controllo democratico delle istituzioni statali.

Se un governo porta avanti queste azioni in modo deciso, trae vantaggi in termini di legittimità, di qualità democratica e, quindi ciò contribuisce in modo significativo a far sì che un processo di trasformazione di un conflitto si traduca in pace duratura.

È però difficile misurare il risultato del vostro lavoro in termini di presa di coscienza e responsabilizzazione

Capisco chi si interroga sull’utilità del nostro lavoro. Io mi rendo conto di ciò che cambia, c’è un prima e un dopo. Vedo come coloro che conducono questi processi si sentano più efficienti, come il dialogo tra società e Stato sia migliorato…

A volte, noi e la comunità internazionale commettiamo un grave errore a ridurre l’analisi del passato  a un processo giudiziale. L’impunità è un sistema, una cultura, che si trasforma in cancro: la risposta deve essere sistemica.

Dal 2003 la Svizzera si impegna ad analizzare il passato nel quadro della sua politica di promozione della pace, rafforzamento dei diritti umani e politica umanitaria.

Gli archivi della memoria sono un aspetto fondamentale: in essi vengono raccolti e protetti i documenti che testimoniano violazioni dei diritti umani.

Il Tribunale penale internazionale per l’ex Iugoslavia ha chiesto il sostegno della Svizzera per la creazione di centri di informazione nei Balcani dove saranno custodite le copie dei suoi archivi.

La Svizzera custodisce le copie di sicurezza degli archivi della polizia nazionale guatemalteca e quelle degli oppositori al conflitto in Cecenia.

(Traduzione dallo spagnolo, Stefania Summermatter)

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