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Riprendetevi i vostri profughi e vi aiuteremo

Scene di vita quotidiana al centro di registrazione di Chiasso. Keystone

Vincolare l'aiuto allo sviluppo al rimpatrio di richiedenti l'asilo respinti: la Svizzera potrebbe adottare questa strategia, in particolare nei confronti dei paesi africani. Ma si tratta di una misura efficace? Le ONG hanno seri dubbi.

«Riprendetevi i profughi a cui abbiamo negato l’asilo, altrimenti vi priveremo dell’aiuto allo sviluppo». La formulazione sarebbe senza dubbio più diplomatica, ma è questo genere di discorso che la Svizzera potrebbe tenere in futuro nei confronti dei paesi di provenienza dei richiedenti l’asilo…

Anche se siamo ancora lontani da una politica così radicale, una dichiarazione rilasciata dalla ministra di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga è stata sufficiente a creare qualche malumore. In un’intervista rilasciata il 20 febbraio all’Aargauer Zeitung e alla Südostschweiz, la consigliera federale socialista era stata chiamata ad esprimersi su un’eventuale reazione elvetica nel caso in cui la Tunisia decidesse di non collaborare per risolvere la questione dei profughi respinti.

«Il Consiglio federale ha preso una decisione importante mercoledì scorso: in futuro, nelle questioni relative alla cooperazione internazionale sarà dato maggior peso alla volontà di collaborazione degli Stati», ha risposto la ministra. Simonetta Sommaruga ha poi precisato che il suo collega Didider Burkhalter, a capo del Dipartimento degli affari esteri, si è intrattenuto con il suo omologo tunisino a margine del Forum di Davos. I negoziati tra i due paesi, ha detto Sommaruga, proseguiranno «nelle prossime settimane».

Una politica più aggressiva

Berna farà dunque pressione affinché venga firmato un accordo di riammissione con la Tunisia? Simonetta Somarruga «non può promettere nulla». Il messaggio sulla cooperazione internazionale 2013-2016, sottoscritto dal governo il 15 febbraio 2012 resta piuttosto vago: «Là dov’è possibile e giudizioso, la Svizzera cercherà di associare il suo impegno per lo sviluppo e la difesa dei suoi interessi in campo migratorio».

Alcuni vorrebbero però una politica più aggressiva. Durante la sessione di autunno, il Consiglio nazionale (Camera del popolo) ha accettato due mozioni presentate dai partiti di destra, malgrado il parere contrario del governo. I testi chiedono che questa reciprocità diventi la regola e non l’eccezione e saranno discussi al Consiglio degli Stati (Camera dei cantoni) in primavera.

La ricetta sembra semplice, ma produrrà gli effetti sperati? «Abbiamo dei seri dubbi», risponde Pepo Hofstetter, di Alliance Sud, la comunità di lavoro che raggruppa sei ONG attive nella cooperazione.

Governi indifferenti

«Nel 2011 soltanto un quarto dei richiedenti l’asilo sono fuggiti da un paese al quale la Svizzera garantisce un aiuto a lungo termine. Se aggiungiamo il 13% dei paesi post-rivoluzionari dell’Africa del Nord, ai quali la Svizzera versa dei contributi, resta in ogni caso un 62% dei profughi che proviene da paesi ai quali non si dà assolutamente nulla».

Ma se per questi paesi le minacce elvetiche non avranno effetto, cosa accadrà agli altri? Si lasceranno convincere più facilmente? «Non del tutto, reitera Pepo Hofstetter. La Svizzera non fornisce dei grandi aiuti ai governi centrali, ma cerca più che altro di sostenere la base, ossia le autorità locali o le ONG. A cosa serve dire ai governi che non disporranno più di un denaro che di fatto già oggi non possono toccare con mano?».

Pepo Hofstetter aggiunge poi che per Alliance Sud, «la cooperazione internazionale non dovrebbe essere strumentalizzata per altri scopi. Se si fanno tagli in questo campo, sono i più poveri a rimetterci e non le elite politiche».

Di regola, i paesi che ricevono un contributo svizzero allo sviluppo non sono gli stessi dai quali provengono i richiedenti l’asilo. E spesso con questi Stati non esiste nemmeno un accordo di riammissione.

Dalla Croazia nel 1993, la Svizzera ha sottoscritto accordi di questo tipo con 44 Stati: 36 ex repubbliche sovietiche e satelliti dell’URSS, 14 paesi dell’Europa occidentale, 7 Stati balcanici, 6 paesi asiatici (Afghanistan, Hog-Kong, Macao, Filippine, Sri Lanka, Vietnam) e 2 paesi arabi (Algeria e Libano).

Il caso dell’Africa

Se nella lista figurano i Balcani e lo Sri Lanka, paesi d’origine di un numero importante di profughi negli anni Novanta, l’Africa nera è stranamente assente.

La Svizzera ha firmato delle convenzioni con la Repubblica democratica del Congo, la Guinea e la Sierra Leone. Questi accordi fissano a grandi linee i criteri e le procedure in materia di identificazione e di ritorno, ma la loro portata è limitata nel tempo, ossia fino all’ipotetica conclusione di un accordo di riammissione vero e proprio.

Con il Nigeria, la Svizzera sta sperimentando ormai da un anno un nuovo tipo di accordo: il partenariato migratorio. Negli ultimi due anni, sono quasi 4’000 i nigeriani sbarcati in Svizzera senza praticamente alcuna possibilità di ottenere il diritto all’asilo. Nel 2010 soltanto due di loro hanno ottenuto una risposta positiva.

Con il partenariato migratorio, la Svizzera propone un approccio globale alla problematica migratoria, che va dalla lotta al traffico di esseri umani e della droga, alla promozione dei diritti umani, passando per l’aiuto al ritorno e i programmi di scambio. Lo scorso anno, ad esempio, alcuni poliziotti nigeriani hanno aiutato i colleghi svizzeri a fermare degli spacciatori nel canton San Gallo.

Un accordo non basta

Simonetta Sommaruga sottolinea che «con molti paesi, la collaborazione in materia di riammissione funziona alla perfezione».

Un’affermazione confermata anche da Pepo Hofstetter: «Sono soprattutto il Nigeria, l’Algeria e la Repubblica democratica del Congo ad essere problematici. In Congo, ad esempio, la Svizzera sostiene progetti umanitari nella regione dei Grandi Laghi, ma il governo di Kinshasa non è abbastanza sensibile a questo dramma perché un’interruzione degli aiuti possa avere l’effetto sperato».

Senza dimenticare che il NIgeria, l’Algeria e la Repubblica democratica del Congo sono legati alla Svizzera con un partenariato, una convenzione o un accordo. Ciò che dimostra che una firma non può risolvere tutti i problemi.  

Ottobre 2002: La Svizzera ha firmato soltanto 13 accordi di riammissione, ma già si parla di vincolarli all’aiuto allo sviluppo. Doris Leuthard, attuale ministra e allora deputata alla Consiglio nazionale (CN, Camera del popolo ), teme che questo non faccia che «aggravare i problemi dei richiedenti l’asilo». Invita dunque il governo a prendere posizione.

Agosto 2010: In un rapporto sul principio della condizionalità in politica estera, il governo le risponde che questo tipo di misura non può costituire una regola, e che le decisioni devono essere prese caso per caso. «L’interruzione del dialogo o della cooperazione resta possibile, come ultima ratio».

Settembre 2011: Il CN accetta due mozioni, contro il parere del governo. Una proviene dall’Unione democratica di centro (UDC) e chiede di «bloccare il versamento di contributi pubblici e il condono dei debiti ai paesi che non si dimostrano cooperativi nella riammissione dei richiedenti l’asilo respinti e degli stranieri illegali». L’altra è stata depositata dal Partito liberale radicale (PLR) e invita il governo a «garantire che il versamento degli aiuti finanziari accordati a Stati nordafricani in balía di rivolgimenti politici sia vincolato alla conclusione di accordi di riammissione». La Svizzera dovrebbe inoltre «insistere presso le organizzazioni multilaterali, affinché gli aiuti siano versati a questi Paesi solo a condizione che si impegnino a controllare le loro frontiere».

Gennaio 2012: Al WEF di Davos, Didier Burkhalter, neoeletto ministro degli affari esteri, ha discusso brevemente con il suo omologo tunisino la problematica della riammissione.

Febbraio 2012: Simonetta Sommaruga, ministra di giustizia e polizia, dichiara alla stampa che in futuro il Consiglio federale «darà maggior peso alla volontà degli Stati di collaborare». E cita l’esempio della Tunisia.

Primavera 2012: Il Consiglio degli Stati deve pronunciarsi sulle due mozioni UDC e PLR. La sua commissione di politica estera ne raccomanda l’accettazione. Nel caso in cui questo non fosse sufficiente, l’UDC ha già depositato un’altra mozione, che chiede la sottoscrizione di accordi di riammissione con 17 paesi nel prossimi due anni, dietro minaccia di interrompere non solo la cooperazione, ma tutte le relazioni diplomatiche.

(Traduzione dal francese)

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