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Sanzioni contro la Libia: e Tamoil?

Ombre all'orizzonte Heike Grasser/Ex-Press

I distributori di benzina della Tamoil fanno discutere in Svizzera: la raffineria di Collombey, in Vallese, e le stazioni di servizio appartengono infatti all'azienda olandese Oilinvest, la quale è però di proprietà della Libyan Investment Authority.

La Svizzera ha inasprito venerdì le sanzioni contro la Libia sulla scorta di quelle adottate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu il 26 febbraio.

Tali provvedimenti comprendono misure a livello finanziario contro 6 personalità legate al regime libico, compreso lo stesso Muhammar Gheddafi, e un embargo sulle forniture di armi. Contro sedici personalità legate al regime sono state imposte restrizioni a livello di spostamenti (immigrazione e transito).

Sotto la lente anche le attività di Tamoil, società petrolifera elvetica controllata da una società con sede in Olanda, la Oilinvest, a sua volta posseduta dalla Lybian Investment Authority (LIA). Secondo il portavoce del governo svizzero André Simonazzi, la sanzioni non intralciano affatto le attività di questa società. Tuttavia – ha sottolineato – le sue transazioni finanziarie dovranno essere oggetto di un’attenzione particolare, affinché personalità colpite dai provvedimenti restrittivi non tentino di trarne comunque profitto.

Anche se la LIA appartiene allo Stato libico, con lo scopo dichiarato di investire denaro per il bene dell’intero paese, è infatti opinione diffusa che essa serva in realtà a garantire importanti entrate di denaro a Gheddafi e al suo clan.

I soldi del popolo

In questo senso la Confederazione ha già fatto la sua parte, congelando i fondi riconducibili a Gheddafi il 24 febbraio. La Segreteria di Stato dell’economia sta ora valutando in che modo applicare le direttive delle Nazioni Unite in Svizzera, segnatamente in relazione a Tamoil.

Il deputato socialista Carlo Sommaruga auspica dal canto suo il blocco delle transazioni di Tamoil indipendentemente dalla risoluzione dell’ONU: «La Svizzera dispone della base legale che consente al governo di adottare provvedimenti eccezionali per tutelare gli interessi nazionali».

In particolare, la Svizzera deve assicurarsi di aver fatto tutto il possibile per impedire che il clan del dittatore libico possa usufruire di denaro con cui acquistare armi da utilizzare contro la popolazione civile. «Quei soldi appartengono ai cittadini libici», riassume il deputato.

Secondo Sommaruga, la Confederazione è pertanto chiamata a definire chiaramente le condizioni per l’accettazione di denaro proveniente dalle cosiddette “persone politicamente esposte”. Infatti, rileva, «la Svizzera non può accogliere fondi provenienti da regimi che non rispettano la democrazia e i diritti umani, proprio quando stiamo facendo uno sforzo per promuovere tali capisaldi a livello internazionale».

Attualmente, le uniche motivazioni che consentono di rifiutare un investimento finanziario in Svizzera sono il sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Secondo il senatore Dick Marty, tuttavia, anche i fondi sovrani di regimi totalitari non dovrebbero essere ammessi nella Confederazione.

Una lunga crisi

Per quanto concerne Tamoil, il portavoce Laurent Paoliello ha affermato che il gruppo sta verificando in quale misura le sanzioni delle Nazioni Unite influenzano l’attività aziendale. Apparentemente le operazioni in Svizzera e nell’Unione europea non hanno finora subito particolari ripercussioni.

La raffineria di Collombey sta in ogni caso già operando a ritmi ridotti e attingendo alle riserve, a causa del prezzo elevato del petrolio e dei margini ridotti. Se la situazione a livello di prezzi non muterà, Paoliello non ha escluso l’eventualità di una chiusura temporanea.

Nell’impianto vallesano viene trattato il 15-20% del petrolio utilizzato nella Confederazione, precisa Rolf Hartl dell’Unione petrolifera svizzera. Dal momento che nel 2008 è iniziata la crisi con l’arresto a Ginevra  del figlio di Gheddafi, soltanto una piccola percentuale del petrolio usato a Collombey proviene dalla Libia. Attualmente le esportazioni dal paese sono peraltro completamente interrotte dopo l’inizio degli scontri.

Secondo Hartl il prezzo del greggio è destinato ad aumentare, ma l’Europa riuscirà comunque a trovare altri fonti di approvvigionamento. A suo parere, sarà Tripoli ad avere i problemi più gravi: «Se la Libia non potrà esportare petrolio per parecchio tempo, il paese – e soprattutto Gheddafi – si troverà presto in grave difficoltà finanziaria».

La Svizzera non è sola

In ogni caso, puntualizza Hartl, la Svizzera non agirebbe certo da sola contro Tamoil: «Se vi saranno dei provvedimenti, questi concerneranno tutti gli Stati in cui il gruppo opera. Si tratterebbe di un’azione coordinata». Inoltre, dal momento che Tamoil fa parte di una holding che legalmente appartiene al popolo libico, le sue operazioni non dovrebbero essere compromesse.

Daniel Senn, responsabile dei servizi finanziari presso KPMG a Zurigo, ricorda che eventuali sanzioni contro Tamoil decise dall’ONU dovranno essere applicate anche in Svizzera. Ciononostante, egli non ritiene che ciò dissuaderebbe altri fondi sovrani dall’investire nella Confederazione: si tratterebbe infatti di una misura comune e «dopotutto, questi fondi devono pur impiegare in modo oculato i loro soldi da qualche parte».

Il volume degli scambi economici con la Libia ammontava a quasi 500 milioni di franchi nell’agosto 2010.

In questo periodo, la Svizzera ha esportato beni per circa 100 milioni di franchi, mentre le importazioni dalla Libia hanno raggiunto un totale di quasi 400 milioni di franchi.

A causa della crisi libica, il volume annuale degli scambi economici fra la Svizzera e la Libia si è ridotto notevolmente. Nel 2008, il fatturato ammontava a circa 3600 milioni di franchi e nel 2009 ancora a circa 870 milioni di franchi.

I principali beni d’esportazione della Svizzera sono macchinari, prodotti farmaceutici, orologi, strumenti di precisione e prodotti agricoli. I prodotti d’importazione principali sono il petrolio e il gas.

Il Senato americano ha adottato martedì una risoluzione simbolica che condanna la repressione in Libia chiedendo al «Consiglio di sicurezza dell’ONU di prendere nuove misure necessarie per proteggere i civili (…) e la possibile istituzione di una zone d’esclusione aerea al di sopra della Libia».

Le forze americane, tra cui due navi da guerra, sono spiegate in prossimità della Libia. Una porta-elicotteri trasporta anche delle chiatte di sbarco. Ma l’opzione di un intervento militare divide la NATO.

L’UE terrà un vertice straordinario l’11 marzo per definire una risposta comune agli scontri in Libia e in Africa del Nord.

Il procuratore della Corte penale internazionale Luis Moreno-Ocampo ha annunciato giovedì l’avvio di una inchiesta sui presunti crimini commessi in Libia. In tale occasione, pubblicherà una lista di persone oggetto dell’inchiesta.

Il Programma alimentare mondiale ha lanciato un appello martedì per  ottenere 38,7 milioni di dollari di sovvenzioni urgenti per le necessità di 2,7 milioni di persone in Libia, Egitto e Tunisia. L’agenzia dell’ONU ha ribadito la necessità di evitare una catastrofe umanitaria.

traduzione e adattamento: Andrea Clementi

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