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Seveso scuola di prudenza

L'Icmesa, filiale della Roche, a Seveso Keystone Archive

La catastrofe di Seveso del 10 luglio del 1976 ha spinto le autorità europee e svizzere ad introdurre nuove leggi che hanno fortemente ridotto i rischi di incidenti simili nei paesi industrializzati. Uno sguardo alla legislazione europea 25 anni dopo la fuoriuscita di diossina dalla Icmesa.

Bruxelles ha adottato nel 1982 la cosiddetta direttiva «Seveso» per le aziende considerate potenzialmente pericolose. Oltre a misure di prevenzione e all’elaborazione di un piano di intervento d’emergenza, la normativa prevede disposizioni per informare la popolazione sul comportamento da adottare in caso di incidente.

Perfezionata nel 1996, la nuova «Seveso II» prevede un rafforzamento delle ispezioni nelle fabbriche a rischio e definisce le zone dove non possono essere costruite, ha spiegato all’ats Christian Faure, responsabile presso la Commissione Europea. I Quindici dell’UE hanno inserito la nuova direttiva nelle loro legislazioni nazionali e Bruxelles può prendere sanzioni in caso di non rispetto, ha sottolineato Faure.

Il disastro ambientale brianzolo è avvenuto quando in Svizzera era in fase di elaborazione la legge sulla protezione dell’ambiente, entrata poi in vigore nel 1983. Nel testo è stato quindi incluso un articolo sulla protezione contro le catastrofi. Ma dopo l’inquinamento del Reno per l’incidente di Schweizerhalle (novembre 1986), le autorità federali si sono rese conto che non bastava, sottolinea Bernard Gay, dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAFP). Una ordinanza sulla protezione contro gli incidenti rilevanti (OPIR), simile alla «Seveso» europea, è entrata in vigore l’1 aprile del 1991 e definisce competenze e responsabilità nel far fronte a un sinistro industriale.

Seveso ha però anche portato alla Convenzione di Basilea: preoccupate dalla «saga» dei fusti di diossina, spariti e poi rinvenuti in Francia nel 1983, le autorità svizzere hanno lanciato l’idea di un trattato internazionale sui rifiuti tossici. Entrata in vigore nel 1992, la convenzione obbliga le parti contraenti a ridurre la produzione di rifiuti speciali e a gestirne l’eliminazione. L’esportazione di materiale tossico è ammessa solo se il trattamento «ecologico» è impossibile nel paese d’origine e se il paese destinatario ha dato il proprio nullaosta.

Per René Longet, direttore della Società svizzera per la protezione dell’ambiente, Seveso bene illustra «la pedagogia delle catastrofi». «L’incidente ha cambiato la visione dell’opinione pubblica sull’industria chimica, che ora appare come potenzialmente pericolosa». Longet è soddisfatto delle misure adottate per controllare l’intero ciclo di fabbricazione un prodotto chimico, compresa l’eliminazione. Sottolinea che il rischio, senza essere nullo, è ormai circoscritto in tutti i paesi industrializzati. «Per contro – aggiunge – non si è ancora risolto nulla nei paesi del Terzo Mondo».

swissinfo e agenzie

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