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Battaglia a Gerusalemme, tre palestinesi uccisi

Battaglia a Gerusalemme, tre palestinesi uccisi (foto d'archivio). KEYSTONE/AP/MAHMOUD ILLEAN sda-ats

(Keystone-ATS) Annunciata da giorni, la ‘Giornata della collera’ palestinese contro le nuove misure di sicurezza israeliane sulla Spianata delle Moschee è arrivata impetuosamente oggi: tre adolescenti uccisi e centinaia di feriti sono il tragico bilancio di ore di duri scontri.

È ancora presto per stabilire se si sia alla vigilia di una nuova insurrezione popolare. Ma oggi Gerusalemme est, la Cisgiordania e anche la più distante Gaza hanno vissuto una giornata di intifada. Più preoccupante ancora la sensazione che in questa circostanza due leader navigati al potere ininterrottamente da quasi un decennio – il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen – non si siano mostrati all’altezza della situazione.

Nell’ultima settimana il primo è stato impegnato in Francia e Ungheria, il secondo in Cina. Quando ieri, al loro ritorno, hanno cercato di escogitare in extremis soluzioni di compromesso per le ispezioni di sicurezza alla Spianata delle Moschee – il Monte del Tempio per gli ebrei – hanno constatato che quanti volevano invece soffiare sul fuoco (Hamas, la corrente radicale di al-Fatah, il Movimento islamico in Israele) avevano ormai completato i preparativi per la giornata di lotta.

La miccia delle violenze odierne è stata accesa sulla Spianata delle Moschee una settimana fa, quando tre arabi israeliani hanno ucciso due agenti di polizia, sparando loro a bruciapelo, per poi essere abbattuti a loro volta a pochi passi dalla Moschea al-Aqsa. In una reazione a caldo Israele ha allora installato metal detector agli accessi principali: una misura normale di sicurezza, agli occhi israeliani, un grave cambiamento dello status quo per il Waqf, l’ente per la protezione dei beni islamici in Palestina.

Ieri il governo israeliano ha deciso di lasciare in funzione i varchi elettronici, malgrado gli appelli del Waqf ad una protesta di massa in concomitanza delle preghiere del venerdì. Di prima mattina, migliaia di agenti sono stati dislocati in prossimità della Città Vecchia, limitando l’ingresso ai soli adulti di oltre 50 anni.

Le preghiere di protesta, recitate da migliaia di fedeli nelle strade vicine – nessuno di loro è voluto passare per i metal detector -, si sono concluse senza incidenti. Ma subito dopo la rabbia è esplosa in diversi rioni di Gerusalemme, dove migliaia di palestinesi hanno scagliato sassi e sparato fuochi d’artificio ad altezza d’uomo contro gli agenti di polizia. Questi hanno reagito con gas lacrimogeni e proiettili di gomma.

Ma le proteste si sono allargate a tutta la Cisgiordania. Il bilancio dei feriti è cresciuto sempre di più. Poi si è avuta notizia dei morti: tre ragazzi di 17-18 anni, uno dei quali – secondo fonti locali – è stato colpito da una guardia civile che proteggeva famiglie di coloni. Collera hanno inoltre sollevato sul web le immagini di un agente di polizia ripreso mentre sferrava un calcio ad un musulmano inginocchiato per strada, immerso nella preghiera.

Da Gaza, Hamas ha continuato per tutta la giornata a soffiare sul fuoco, esortando la popolazione a scontrarsi con le forze israeliane. Mentre a Ramallah, Abu Mazen è stato impegnato in consultazioni durante le quali pare gli sia stato chiesto di annullare la cooperazione di sicurezza con Israele. E dal mondo arabo sono piovute condanne verso Israele.

I tre attentatori di venerdì scorso sono così riusciti nel loro intento di utilizzare la Spianata come una sorta di miccia per innescare, su base religiosa, un nuovo conflitto fra Israele e i palestinesi. Quanti – come gli emissari del presidente americano Donald Trump – speravano invece di rimettere in moto in queste settimane un dialogo di pace fra i due popoli, hanno registrato oggi una pericolosa battuta di arresto.

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