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CSt: immigrazione, imprenditori obbligati a sentire disoccupati

Al Consiglio degli Stati è in corso l'esame particolareggiato riguardante l'applicazione dell'iniziativa UDC contro l'immigrazione di massa accolta dal popolo il 9 di febbraio 2014. Keystone/PETER SCHNEIDER sda-ats

(Keystone-ATS) In caso di forte disoccupazione in determinati gruppi professionali o settori di attività, i datori di lavoro dovrebbero essere obbligati a convocare i disoccupati residenti il cui profilo corrisponde all’impiego e, se non li assumono, a giustificarsi.

Lo ha deciso oggi il Consiglio degli Stati per 26 voti a 15 (1 astenuto) durante l’esame particolareggiato riguardante l’applicazione dell’iniziativa UDC contro l’immigrazione di massa accolta dal popolo il 9 di febbraio 2014. Il dossier ritorna al Nazionale.

Come prevedibile, la maggioranza del plenum composta da PLR e PS ha deciso di “stravolgere” il progetto di applicazione uscito dalle deliberazioni del Consiglio nazionale lo scorso settembre, pronunciandosi per il modello messo a punto dal “senatore” Philipp Müller (PLR/AG).

In quest’ultima proposta, rispetto a quello della Camera del popolo difesa in aula da Pirmin Bischof (PPD/SO), non si parla di soglie o di immigrazione, ma solo del tasso di disoccupazione superiore alla media che farebbe scattare il meccanismo di protezione – limitato nel tempo – per i residenti iscritti a un ufficio regionale di collocamento (preferenza indigena).

La proposta del “senatore” Filippo Lombardi di completare questo criterio con altri indicatori, come la pressione sui salari, oppure il numero di autorizzazioni per frontalieri e di soggiorno, è stata bocciata dal plenum.

No soluzione ad hoc per Ticino

Con questa aggiunta, il “senatore” ticinese desiderava che si tenesse conto maggiormente della caratteristiche cantonali del mercato del lavoro, e in particolare di quanto accade a Sud delle Alpi, dove la pressione dei frontalieri ha spinto ulteriormente al ribasso il salario medio dei Ticinesi rispetto a quello degli altri lavoratori svizzeri. Il “senatore” Pirmin Bischof ha difeso questa argomentazione, rinfacciando al modello Müller di essere troppo centralistico.

A Lombardi ha risposto l’ecologista Robert Cramer, secondo cui i problemi del Ticino non sono gli stessi di tutta la Svizzera. Ginevra, per esempio, non potrebbe sopravvivere senza i frontalieri, i quali tra l’altro non possono essere nemmeno considerati degli immigrati. A nome della commissione, Müller ha sostenuto che i criteri evocati da Lombardi, rispetto al solo tasso di disoccupazione, sono troppi e per di più poco trasparenti. Insomma, il meccanismo per regolare l’immigrazione dev’essere il più semplice possibile.

Paul Rechsteiner (PS/SG) ha fatto notare poi che il modello Müller tiene già conto delle esigenze dei cantoni. Quest’ultimi, in effetti, possono chiedere al Consiglio federale il caso di disoccupazione superiore alla media di far scattare l’obbligo di comunicazione dei posti vacanti. Questo comma, ha sostenuto il socialista, è stato introdotto nella legge su esplicito desiderio del Consigliere di Stato ticinese Christian Vitta, capo del Dipartimento dell’economia.

Proposte Bischof e Föhn bocciate

Come detto, la proposta Müller, difesa dalla maggioranza della commissione, ha avuto la meglio su quella di Bischof, ma anche su quella proposta dal democentrista Peter Föhn (SZ). Lo svittese avrebbe voluto reintrodurre contingenti e tetti massimi, nonché la precedenza per i residenti sul mercato del lavoro.

Nonostante gli appelli a non tradire la Costituzione e il voto del 9 di febbraio 2014, il tentativo del democentrista ha raccolto solo il voto degli UDC in aula. Già al Nazionale, questo partito aveva dovuto ingoiare il rospo.

Il modello messo a punto da Pirmin Bischof – più vicino alla soluzione escogitata dal Nazionale – è stato invece respinto per 26 voti a 16 (1 astenuto). Bischof non prevedeva per esempio l’obbligo del colloquio tra disoccupato e datore di lavoro, anche se il Consiglio federale avrebbe potuto introdurre un simile provvedimento.

Inoltre, il Consiglio federale avrebbe potuto adottare misure appropriate limitate nel tempo e nello spazio in caso di problemi economici e sociali importanti (per esempio un forte afflusso di frontalieri) che fossero il meno possibile in conflitto con l’accordo sulla libera circolazione delle persone.

Se tuttavia il comitato misto Svizzera-Ue si fosse detto contrario alle misure adottate da Berna, passati 60 giorni, secondo il “senatore” PPD, il parlamento avrebbe dovuto esprimersi sul seguito della procedura, limitando, se necessario in maniera unilaterale l’immigrazione.

Mantenere i bilaterali

Nel suo modello Müller prevede soltanto, qualora i problemi dovessero persistere, la possibilità per il Consiglio federale di sottoporre al Parlamento misure supplementari rispettose degli impegni della Svizzera derivanti dal diritto internazionale.

L’idea che la Svizzera possa optare per misure unilaterali anche contro il parere di Bruxelles è stata combattuta da PS e PLR, per i quali la legge di applicazione non deve ledere gli accordi bilaterali, e in particolare quello sulla libera circolazione.

Per Bischof, invece si tratta di essere più vicini al dettato costituzionale il quale prevede che la Svizzera gestisca in modo autonomo l’immigrazione. A detta del Solettese, l’intero modello Müller “è semplicemente una nuova misura collaterale per la gestione del mercato del lavoro”.

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