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GB: Khan sul tetto di Londra, sono speranza contro la paura

(Keystone-ATS) Sadiq Khan non dimentica. Dal tetto di Londra, primo sindaco musulmano di una metropoli europea in cui gli anglosassoni sono ormai minoranza, offre un messaggio di apertura a “a tutti i londinesi”.

S’impegna a lavorare per dare ad altri “le opportunità” che lui – figlio d’immigrati pachistani – ha avuto, ma non indulge alle pacche sulle spalle neppure nel minuetto cerimoniale della proclamazione del trionfo elettorale. E rivolge parole di sfida, di rivincita, ai Tory che l’avevano avversato con l’arma del sospetto: “Ha vinto la speranza sulla paura, l’unità sulla divisione”, rinfaccia loro.

Arriva nella notte il momento della verità, quello dei numeri definitivi. Un intoppo ai computer, con la lettura errata di alcune schede, getta per ore nel caos la macchina organizzativa dello scrutinio nella capitale britannica. Brutta figura, ma senza conseguenze.

La vittoria di Khan, rivendicata sin dal tardo pomeriggio dal Labour, il suo partito, è ufficiale: 56,8% dei voti al figlio dell’autista di bus, contro 43,2 del conservatore Zac Goldsmith, rampollo d’una schiatta di miliardari, aristocratici e protagonisti del jet set: quasi 14 punti di scarto. “Un’umiliazione” per il partito del premier David Cameron e del sindaco uscente Boris Johnson dopo 8 anni di potere assoluto in città, commenta unanime la stampa del Regno.

L’affluenza è attorno al 46%: buona tenuto conto che nel 2012 era andato alle urne meno del 40. Il mandato è pieno. In Pakistan si fa festa, in Italia Matteo Salvini storce la bocca.

Ma Sadiq guarda alla Gran Bretagna. A 45 anni corona un sogno e ringrazia “ogni londinese che ha reso possibile l’impossibile”. Giura di essere “divorato dall’ambizione” di migliorare la vita di tutti, di contribuire a dare lavoro a più persone, paghe migliori. E ricorda i punti di un programma che mira innanzi tutto ad ampliare il numero degli alloggi a portata di tasca della gente comune: un vero miraggio in gran parte nel turbinoso mercato immobiliare della nuova swinging London di oggi.

Poi torna a toccare il tasto della sua storia personale e familiare, una storia d’immigrazione e riscatto come quella di milioni di concittadini: iniziata in una casa popolare a sud del Tamigi (genitori e 8 figli in un appartamento di tre stanze), proseguita con gli studi nelle scuole pubbliche, sfociata nella laurea in legge, in una carriera d’avvocato impegnato per i diritti umani e infine nella politica: parlamento, governo, Londra. “Ho pensato molto – dice nel discorso di accettazione – al mio defunto papà. Un uomo meraviglioso e un grande papà. Oggi sarebbe così orgoglioso della città che egli scelse come casa e che adesso sceglie uno dei suoi figli come sindaco”.

Ma il momento culmine di una cerimonia con pochi sorrisi e nessun moto di simpatia, a dispetto delle congratulazioni di rito, verso l’imbarazzato rivale Goldsmith al suo fianco deve ancora venire. Oggi, scandisce le parole Khan senza guardarlo in faccia, “ha vinto la speranza sulla paura, l’unità sulla divisione”. “La paura – incalza – non ci rende più sicuri, ci rende più deboli. E la politica della paura semplicemente non è benvenuta nella nostra città”. La sintesi di Owen Jones, columnist di spicco del progressista Guardian, è che il neosindaco non perdona i colpi bassi d’una campagna elettorale mai così velenosa: “Forgive and forget? No chance”, scrive.

Ciò che Khan non sembra voler dimenticare è di essere stato additato in questi mesi – lui, oggetto nel 2013 di una fatwa per aver votato in favore delle nozze gay e artefice di slogan persino bellicosi contro radicalismo e minacce terroristiche – quale “frequentatore di estremisti”. Con sospetti che secondo molti miravano ad agitare un generico spauracchio ‘islamico’ in una città di 8,6 milioni di abitanti in cui i musulmani sono circa un milione.

Non solo da Goldsmith, scaricato da vari compagni di partito e addirittura dalla sorella Jemina solo quando la nave stava ormai affondando, ma da Cameron in persona: che in Parlamento – usando argomenti non dissimili da quel Donald Trump al quale pure mesi fa aveva dato dello “stupido” – ha imputato a Sadiq fantomatiche relazioni con un predicatore bollato come simpatizzante dell’Isis e rivelatosi poi in realtà simpatizzante dei Tory.

Un gioco sporco che non è riuscito a salvare Zac dalla disfatta, come non era servito a infondergli un po’ di popolarità la comune battaglia referendaria anti-Ue con Boris Johnson. Ma che qualche traccia la lascia.

Il neosindaco sarà forse anche, come auspica il conservatore Telegraph, il (futuro) “avversario peggiore” interno al Labour di Jeremy Corbyn: che in complesso le amministrative di giovedì non le ha perse, Scozia a parte, ma nemmeno le ha vinte. Per ora tuttavia il bersaglio è Cameron con i suoi.

E intanto, dopo la proclamazione, Khan giura senza imbarazzi in una chiesa cristiana, la cattedrale di Southwark, introdotto da Doreen Lawrence, madre di Stephen, un ragazzo assassinato in un attacco razzista nel sud-est della città nel 1993. Ammette di non poter quasi credere “a quanto accaduto nelle ultime 24 ore”. Quindi, fra gli applausi di amici e compagni, lo proclama ad alta voce: “My name is Sadiq Khan, I’m Mayor of London”.

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