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Moutaharrik: volevo aiutare bimbi e non Isis

(Keystone-ATS) Volevano andare in Siria per aiutare la popolazione e i bimbi “martoriati” per la guerra e non per affiancare l’esercito dell’Isis. Hanno spiegato così i loro propositi di lasciare l’Italia e di raggiungere lo Stato Islamico, i coniugi di Lecco arrestati giovedì.

Interrogati stamane, Abderrahim Moutaharrik, il marocchino campione di muay thai, e la moglie Salma Bencharki, casalinga e madre dei suoi due figlioletti di 2 e 4 anni, non hanno negato, come emerge dalle intercettazioni agli atti dell’indagine, di aver parlato di lasciare l’Italia o di martirio.

Secondo il loro difensore, l’avvocato Francesco Pesce, che ha annunciato istanza di scarcerazione al Tribunale del Riesame, “hanno precisato che le frasi da loro pronunciate vanno lette in un contesto più ampio e che dal dire al fare ne passa”.

Durante l’interrogatorio, durato circa mezz’ora ciascuno, il giudice non ha fatto alcuna domanda specifica sull’attentato a Roma, al Vaticano, che il metalmeccanico, secondo l’inchiesta, si sarebbe reso disponibile a compiere eseguendo l’ordine di un non ben identificato sceicco. “Però – ha aggiunto il legale – hanno raccontato di essere in Italia da 16 anni, di essere cresciuti qui e di essersi integrati al punto che mai avrebbero seriamente fatto male a qualcuno”.

Riguardo alle espressioni di ammirazione per il fratello morto ‘martire’ di Abderrahmane Khachia, il 23enne anche lui in carcere da quattro giorni, hanno sostenuto che “nei loro discorsi non hanno esaltato l’attentatore ma il martire”, figura, quest’ultima di un certo rilievo per il Corano. A detta del legale, inoltre, i due, “disperati” in quanto pensano ai loro bambini ora affidati ai nonni, “hanno ammesso di avere avuto rapporti con persone, però non erano direttamente collegate all’Isis, alle quali avevano chiesto il nulla osta, la tazkia, per entrare in Siria dove volevano andare ad aiutare la popolazione dopo avere visto le immagini dei bimbi martoriati”.

Quanto ai finanziamenti chiesti dalla coppia, per gli inquirenti per il viaggio verso il Califfato, “hanno giustificato – ha riferito sempre il difensore – che servivano per coprire altri debiti come l’acquisto on line di un passeggino per un amico”.

Questa mattina davanti al gip si sono difesi anche Abderrahmane Khachia, fratello di Oussama, da qualche mese morto martire nel Califfato, e Wafa Koraichi, sorella di Mohamed Koraichi, altro presunto jiahdista che, con la moglie Alice Brugnoli, più di un anno fa è scomparso da Bulciago (Lecco) per arruolarsi nell’esercito di Al Baghdadi (i due sono destinatari di un provvedimento di arresto).

Wafa, che avrebbe fatto attività di reclutamento e si sarebbe adoperata per far ottenere la ‘tazkia’, ha negato di far parte dell’organizzazione terroristica dello Stato Islamico e di aver fatto opera di proselitismo.

Infine Khachia. “I miei al telefono erano solo discorsi esagerati, fanfaronate – avrebbe detto al magistrato -. Non avevo intenzione di fare assolutamente nulla, non avrei mai fatto male a nessuno”. Il giovane, come ha tenuto a precisare il suo difensore, l’avvocato Luca Bauccio, “ha solo detto delle parole in libertà ma non ci sono fatti sui quali trovare un riscontro”.

Il legale, che presenterà istanza di scarcerazione, ha parlato del suo assistito come di un ragazzo di 23 anni “con una vita normale che non corrisponde alla figura del terrorista. Di uno che è caduto in una situazione di cui non ha saputo capire la gravità”.

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